La disuguaglianza dei redditi da lavoro: una gara tra competenza e tecnologia?

Perché la disuguaglianza dei redditi da lavoro, soprattutto la disuguaglianza dei salari, è più o meno forte in società differenti e in epoche differenti? La teoria più diffusa è quella di una gara a inseguimento tra competenza e tecnologia. Diciamolo subito: è una teoria che non basta a spiegare tutto. In particolare, vedremo che non ci aiuta a dar conto in modo soddisfacente dell’aumento dei superdirigenti e delle disuguaglianze salariali americane a partire dagli anni settanta. Tuttavia è una teoria ricca di elementi interessanti, in grado di spiegare determinati sviluppi storici, ed è giusto esporla nei dettagli.

La teoria si fonda su due ipotesi. La prima è che il salario di un determinato salariato è pari alla sua produttività marginale, vale a dire al suo contributo individuale al prodotto dell’impresa o dell’amministrazione nella quale lavora. La seconda è che tale produttività dipende innanzitutto dalla sua qualifica, oltre che dallo stato della domanda e dell’offerta di determinate competenze nella società considerata. Per esempio, in una società in cui sono pochissimi i salariati con la qualifica di ingegnere (o in cui l’“offerta” per questo tipo di qualifica è scarsa) e in cui la tecnologia dominante richiede invece la presenza di molti ingegneri (o in cui è presente una forte “domanda” di ingegneri), ci sono tutte le condizioni perché il divario tra la scarsa offerta e la forte domanda determini un salario molto elevato per gli ingegneri stessi (in rapporto agli altri salariati), e perciò una disuguaglianza salariale sensibile tra i salariati meglio pagati e gli altri.

Pur con tutti i suoi limiti e la sua semplicità (in pratica, la produttività di un salario non è una grandezza immutabile e oggettiva che si ha scritta in faccia, e i rapporti di forza tra gruppi sociali svolgono spesso un ruolo cruciale per fissare i salari degli uni e degli altri), questa teoria – magari semplicistica – ha il merito di porre l’accento su due forze sociali ed economiche che recitano la parte di protagoniste nella determinazione della disuguaglianza dei salari, proprio come lo pongono le teorie più sofisticate e meno semplicistiche: l’offerta e la domanda di competenze. In sostanza, l’offerta di competenze dipende in gran parte dallo stato del sistema educativo: quante persone hanno potuto accedere a questo o quel settore, qual è la qualità della loro formazione, in quale misura le loro abilità sono state completate con adeguate esperienze professionali ecc. Quanto alla domanda di competenze, essa dipende in particolare dallo stato delle tecnologie disponibili per produrre beni e servizi consumati nella società considerata. Quali che siano le altre forze in gioco, è chiaro che questi due elementi – lo stato del sistema formativo e lo stato della tecnologia – svolgono un ruolo essenziale e influiscono non poco sui rapporti di forza tra i diversi gruppi sociali interessati.

I due elementi dipendono a loro volta da una serie di altre forze. Il sistema educativo dipende in particolare dalle politiche pubbliche seguite per le diverse discipline, dai criteri di selezione nei vari settori, dal modello di finanziamento del sistema e dal costo degli studi per gli allievi e le loro famiglie, nonché dalle possibilità di formazione nel corso della vita professionale. Il progresso tecnologico dipende dal ritmo delle invenzioni e dalla loro attuazione pratica, e promuove in genere una domanda di competenze sempre più elevata, un rinnovamento permanente del loro contenuto e dei mestieri corrispondenti. Da qui l’idea della gara a inseguimento tra competenza e tecnologia e tra gruppi sociali: se l’offerta di competenze non cresce allo stesso ritmo delle necessità della tecnologia, i gruppi la cui formazione non è abbastanza evoluta finiscono per trovarsi con salari bassi e mansioni svalutate, con una crescita conseguente delle disuguaglianze determinate dal lavoro. Per evitare che le disuguaglianze aumentino, il sistema educativo deve fornire formazioni e qualifiche con sufficiente rapidità. E affinché le disuguaglianze diminuiscano, l’offerta di competenze deve progredire ancora più in fretta, soprattutto per i gruppi con una formazione inadeguata.

Prendiamo il caso delle disuguaglianze salariali in Francia. Abbiamo visto come la gerarchia dei salari sia rimasta piuttosto stabile sul lungo periodo. Dall’inizio del XX secolo il salario medio è enormemente cresciuto, ma il dislivello tra i salari, per esempio tra i decili pagati meglio e quelli pagati peggio, è rimasto invariato. Com’è possibile che la disparità sia rimasta la stessa, malgrado la democratizzazione massiccia del sistema scolastico verificatasi nel secolo scorso? La spiegazione più naturale è che tutti i livelli di competenza sono cresciuti più o meno allo stesso ritmo, per cui le disuguaglianze si sono semplicemente spostate verso l’alto. Chi possiede soltanto un diploma di scuola dell’obbligo è passato dalla terza media alla maturità, ma i diplomati sono passati prima alla laurea breve e poi al dottorato di ricerca. In altri termini, la democratizzazione del sistema scolastico non ha ridotto le disuguaglianze delle competenze e non ha quindi contribuito a ridurre le disuguaglianze dei salari. Ma se questo processo non fosse avvenuto e i discendenti dei possessori della semplice licenza elementare di un secolo fa (i tre quarti della popolazione, all’epoca) fossero rimasti a quel livello, le disuguaglianze determinate dal lavoro, specie quelle legate ai salari, sarebbero sicuramente cresciute parecchio.

Esaminiamo il caso americano. Alcuni ricercatori hanno confrontato in modo sistematico le due traiettorie in oggetto, in un periodo compreso tra il 1890 e il 2005: da una parte, la differenza di salario tra i laureati e chi ha soltanto il diploma di scuola superiore; dall’altra, il ritmo di crescita del numero dei laureati. Per Goldin e Katz, la conclusione è categorica: le due curve seguono evoluzioni contrarie l’una all’altra. In particolare, il divario salariale, che fino agli anni settanta è diminuito abbastanza costantemente, a partire dagli anni ottanta – ossia nel momento in cui per la prima volta il numero dei laureati ha smesso di crescere, o quantomeno ha preso a crescere meno in fretta rispetto al passato – ha improvvisamente cominciato ad allargarsi.1 I due ricercatori non hanno dubbi in proposito: l’aumento delle disuguaglianze salariali si spiega con il fatto che gli Stati Uniti non hanno investito abbastanza nell’insegnamento superiore o, più esattamente, hanno lasciato gran parte della popolazione fuori dai percorsi di formazione, mantenendo tasse d’iscrizione troppo alte per i redditi medi delle famiglie. Solo reinvestendo con forza nella formazione, e garantendo l’accesso universitario a un maggior numero di giovani, si potrà invertire la tendenza.

La lezione che possiamo trarre dalle esperienze francese e americana è univoca e punta nella medesima direzione. A lungo termine, il modo migliore per ridurre le disuguaglianze determinate dal lavoro, e anche per aumentare la produttività media della manodopera e lo sviluppo globale dell’economia, è senza dubbio quello di investire nella formazione. Se in un secolo il potere d’acquisto dei salari si è moltiplicato per cinque, è perché il progresso delle competenze e i mutamenti tecnologici hanno contribuito a moltiplicare per cinque il prodotto del lavoratore salariato. Sul lungo periodo, è evidente che le forze della competenza e della tecnologia si rivelano determinanti per la formazione dei salari.

Se gli Stati Uniti – o la Francia – investissero molto di più e in modo più massiccio nella formazione professionale superiore, o nell’eccellenza, se permettessero a più ampi settori della popolazione di accedervi, saremmo di fronte alla politica più efficace e meglio finalizzata all’aumento dei salari bassi e medi e alla diminuzione della quota del decile superiore nella composizione sia della massa salariale sia del reddito totale. Tutto fa pensare che i paesi scandinavi, i quali – come abbiamo fatto notare – si distinguono per caratteristiche salariali più ugualitarie, debbano questo risultato soprattutto al fatto che il loro sistema di formazione è relativamente ugualitario e inclusivo.2 Il problema del modello di finanziamento dell’educazione, in particolare dell’assunzione dei costi dell’insegnamento superiore, è in tutti i paesi uno dei problemi di fondo del XXI secolo. Su questioni del genere, i dati disponibili al pubblico sono purtroppo assai limitati, soprattutto in Francia e negli Stati Uniti. In entrambi i paesi, pur persuasi del ruolo centrale della scuola e della formazione nel processo di promozione sociale, i discorsi teorici sulla meritocrazia non considerano, stranamente, la realtà delle origini sociali, spesso estremamente favorevoli, che permettono di accedere ai percorsi più prestigiosi. Torneremo sull’argomento nella Parte quarta (cfr. cap. 13).

Il capitale nel XXI secolo
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