La questione dell’imposta progressiva nella Terza Repubblica
È interessante notare che lo stesso discorso vale per l’imposta progressiva sulle successioni, la seconda grande innovazione fiscale – con l’imposta sul reddito – dell’inizio del XX secolo. Anche qui i tassi rimangono relativamente modesti fino al 1914 (cfr. grafico 14.2). E, davvero, quello della Francia sotto la Terza Repubblica resta un caso a suo modo emblematico: ecco un paese, ritenuto intimamente legato all’idea di uguaglianza, un paese in cui nel 1871 è stato reintrodotto il suffragio universale maschile, che però rifiuta con ostinazione, per quasi mezzo secolo, di muoversi senza riluttanze in favore della progressività fiscale, un paese che modificherà il proprio atteggiamento solo con la prima guerra mondiale. È vero, infatti, che l’imposta di successione istituita dalla Rivoluzione francese, rigorosamente proporzionale dal 1791 al 1901, diventa progressiva in seguito alla legge del 25 febbraio 1901. Ma in realtà il provvedimento non cambia molto le cose: il tasso più alto viene fissato, dal 1902 al 1910, al 5%, poi, dal 1911 al 1914, al 6,5%, e viene applicato solo a poche decine di grandissimi patrimoni ogni anno. Un tale salasso fiscale appare esorbitante agli occhi dei più ricchi contribuenti dell’epoca, inclini a ritenere che un “figlio che succede al padre” non faccia altro che compiere un “sacro dovere” di perpetuazione di un’identica proprietà familiare, e che questa semplice perpetuazione non debba dar luogo ad alcuna imposta.19 Ma in realtà quella norma non impedisce ai patrimoni più cospicui di essere trasmessi praticamente intatti da una generazione all’altra. Dopo la riforma del 1901, il tasso effettivo medio a livello del centile superiore della gerarchia dell’eredità non supera il 3% (contro l’1% previsto dal regime proporzionale del XIX secolo). Insomma, se si considerano le cose con quel giusto distacco di cui oggi disponiamo, è evidente che la riforma ha avuto un impatto ben misero sul processo di accumulazione e di iperconcentrazione patrimoniale dei primi anni del XX secolo, checché ne abbiano potuto pensare i contemporanei.
Grafico 14.2.
Il tasso superiore d’imposta sulle
successioni, 1900-2013
Negli Stati Uniti il tasso marginale superiore d’imposta sulle successioni (applicabile alle successioni più elevate) è passato dal 70% nel 1980 al 35% nel 2013.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
In generale, è sorprendente notare fino a che punto gli oppositori della progressività, nettamente maggioritari tra le élite economiche e finanziarie nella Francia della belle époque, ricorrano di continuo, non senza una dose di malafede, all’argomento di una Francia per natura ugualitaria, che non avrebbe perciò alcun bisogno di un’imposta progressiva. Un esempio più che mai rappresentativo e illuminante è quello di Paul Leroy-Beaulieu, uno degli economisti più influenti del tempo, che pubblica nel 1881 il famoso Essai sur la répartition des richesses et sur la tendance à une moindre inégalité des conditions, opera che verrà costantemente rieditata fino all’inizio degli anni dieci del Novecento.20 Per la verità Leroy-Beaulieu non dispone di alcun dato, di alcuna fonte in grado di dimostrare la “tendenza a una minore disuguaglianza delle condizioni”. Ma cosa importa: muovendo da dati del tutto inadeguati, non esita a produrre ragionamenti dubbi e poco convincenti pur di dimostrare a tutti i costi che la disuguaglianza dei redditi è in via di diminuzione.21 Talvolta, Leroy-Beaulieu pare rendersi conto che il ragionamento non regge, e allora reagisce scrivendo che la tendenza non tarderà a verificarsi, e che in tutti casi non si deve interferire in alcun modo con il meraviglioso processo della globalizzazione commerciale e finanziaria, che consente al risparmiatore francese di investire sul canale di Panama o sul canale di Suez, e tra poco nella Russia degli zar. Leroy-Beaulieu è evidentemente affascinato dalla mondializzazione del suo tempo, ed è terrorizzato all’idea che una brusca rivoluzione possa rimettere tutto in discussione.22 Il suo accecamento non ha niente di riprovevole in sé, a condizione che non impedisca di analizzare seriamente i problemi della sua epoca. Nella Francia del periodo 1900-10 il grande problema non è un’imminente Rivoluzione bolscevica (non più di oggi comunque) quanto, più modestamente, l’istituzione di imposte progressive. Per Leroy-Beaulieu e i suoi colleghi – detti di “centro destra” in opposizione alla destra monarchica –, il primo dovere è invece contrastarle in ogni modo, con un argomento implacabile: la Francia è un paese ugualitario, grazie all’opera della Rivoluzione francese, la quale ha redistribuito in qualche modo le terre e soprattutto ha istituito l’uguaglianza nel codice civile, l’uguaglianza in materia di proprietà e il libero scambio. Per cui la Francia non ha alcun bisogno di un’imposta progressiva che rapini i contribuenti. Imposte del genere sarebbero sì utili in società classiste o in società aristocratiche come il vicino Regno Unito, ma non in Francia.23
Nel caso, basterebbe che Leroy-Beaulieu consultasse i nuovi bollettini sulle successioni pubblicati dall’amministrazione fiscale poco dopo la riforma del 1901 per constatare che la concentrazione dei patrimoni, nella Francia repubblicana, è quasi pari a quella della belle époque o a quella del Regno Unito monarchico. Nel corso dei dibattiti parlamentari tra il 1907 e il 1908, i fautori dell’imposta sul reddito fanno riferimento proprio a queste statistiche.24 Ed è un esempio interessante, perché dimostra che un’imposta, pur introdotta applicando tassi molto ridotti, può costituire una fonte di conoscenza e di trasparenza democratica.
Anche negli altri paesi si rileva come la prima guerra mondiale segni una frattura netta nella storia dell’imposta successoria. In Germania, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, la questione dell’introduzione di una fiscalità minima sui trasferimenti patrimoniali più alti è molto presente nei dibattiti parlamentari. I responsabili del partito socialdemocratico, a cominciare da August Bebel e Eduard Bernstein, sottolineano che l’imposta sulle successioni servirebbe ad alleggerire le pesanti imposte indirette pagate dagli operai e dalle altre classi salariate, le quali avrebbero perciò più opportunità per migliorare le proprie condizioni di vita. Ma i dibattiti al Reichstag non danno esito: le riforme del 1906 e del 1909 si risolvono nell’istituzione di una tassa sulle successioni di portata modestissima, mentre le successioni in linea diretta e tra coniugi (quindi la grande maggioranza dei casi) restano completamente esenti, a qualunque importo ammontino. Bisogna attendere il 1919 perché l’imposta successoria tedesca colpisca i trasferimenti familiari, con un tasso superiore che viene improvvisamente portato dallo 0% al 35% per le successioni più elevate.25 Il peso della guerra e delle divisioni politiche che essa comporta sembra quindi assolutamente decisivo: senza questi avvenimenti non si vede come e perché sarebbe stato possibile superare il blocco del periodo 1906-8.26
Tra l’altro, nel grafico 14.2, si può notare come nel Regno Unito avvenga un lieve ritocco verso l’alto durante la belle époque, più netto per l’imposta sulle successioni rispetto all’imposta sui redditi. Il Regno Unito, il quale, dopo la riforma del 1896, applica già sulle successioni più cospicue un tasso superiore all’8%, passa nel 1908 al 15%, cioè a un prelievo che inizia a farsi sostanzioso. Negli Stati Uniti, l’imposta federale su successioni e donazioni viene istituita solo nel 1916, ma in questo caso il tasso sale rapidamente a livelli superiori a quelli applicati in Francia e Germania.