Ridurre il debito pubblico: imposta sul capitale, inflazione o austerità

Come fare per ridurre in modo significativo un debito pubblico rilevante, qual è il debito europeo attuale? Esistono soprattutto tre metodi principali, coniugabili in proporzioni diverse: l’imposta sul capitale, l’inflazione e l’austerità. L’imposta eccezionale sul capitale privato è la soluzione più equa ed efficace. Al suo posto, può svolgere un ruolo utile l’inflazione: che è poi il modo in cui, nel corso della storia, è stata assorbita la gran parte dei debiti pubblici più importanti. La soluzione peggiore, in termini di giustizia come in termini di efficacia, è una cura prolungata di austerità. Eppure è proprio la soluzione che si sta applicando oggi in Europa.

Cominciamo con il fare mente locale sulla struttura d’insieme del patrimonio nazionale in Europa all’inizio del XXI secolo. Come abbiamo visto nella Parte seconda del libro, il patrimonio nazionale si avvicina oggi, nella maggioranza dei paesi europei, alle sei annualità di reddito, ed è detenuto quasi totalmente dai privati (cioè dalle famiglie). Il valore totale degli attivi pubblici è equivalente a quello del debito pubblico dei vari paesi (attorno a un’annualità di reddito nazionale), per cui il patrimonio pubblico netto è quasi nullo.1 I patrimoni privati si dividono in due metà più o meno uguali: gli attivi immobiliari e quelli finanziari (al netto dei debiti privati). La posizione patrimoniale ufficiale dell’Europa rispetto al resto del mondo è mediamente abbastanza vicina all’equilibrio, il che significa che sia le imprese europee sia i debiti pubblici europei sono detenuti, in media, dalle famiglie europee (o, più precisamente, ciò che è detenuto dal resto del mondo è compensato da ciò che gli Europei detengono nel resto del mondo). È certo una realtà offuscata dalla complessità del sistema d’intermediazione finanziaria (si deposita il proprio capitale in banca su un conto risparmio o in un prodotto finanziario, dopodiché la banca provvede a investire il tutto altrove) e dall’ampiezza delle partecipazioni incrociate tra paese e paese, ma è né più né meno che la realtà: le famiglie europee (o, quantomeno, chi possiede qualcosa: non dimentichiamo che i patrimoni sono sempre molto concentrati, con oltre il 60% del totale nelle mani del 10% più ricco) possiedono l’equivalente di tutto quanto c’è da possedere in Europa, compresi ovviamente i debiti pubblici.2

Come fare, in tali condizioni, per ridurre il debito pubblico a zero? Una prima soluzione sarebbe quella di privatizzare tutti gli attivi pubblici. Stando ai conti nazionali stabiliti nei vari paesi europei, il prodotto della vendita di tutti gli edifici pubblici, scuole, licei, università, ospedali, caserme, infrastrutture varie ecc.,3 consentirebbe più o meno il rimborso completo dei debiti pubblici. Anziché detenere il debito pubblico tramite i loro investimenti finanziari, le famiglie europee più ricche di patrimonio diventerebbero direttamente proprietarie di scuole, ospedali, caserme ecc. Dopodiché, bisognerebbe versare loro un affitto per poter utilizzare quegli attivi e continuare a produrre i servizi pubblici corrispondenti. È una soluzione che, anche se viene a volte evocata con assoluta serietà, deve essere, a mio avviso, totalmente respinta. Perché lo Stato sociale europeo possa assolvere in modo corretto e duraturo ai suoi compiti, in particolare nel campo dell’istruzione, della sanità e della sicurezza, mi pare indispensabile che continui a detenere gli attivi pubblici corrispondenti a quei determinati settori. Anche se è importante capire che la situazione di oggi, per la quale dobbiamo versare ogni anno interessi assai gravosi in ragione del debito pubblico (e non di locazioni immobiliari), non varia poi di molto, poiché gli interessi finiscono per pesare in misura notevole sui bilanci pubblici.

La soluzione di gran lunga più soddisfacente per ridurre il debito pubblico consiste nel prelievo di un’imposta eccezionale sul capitale privato. Per esempio, un’imposta proporzionale del 15% su tutti i patrimoni privati procurerebbe quasi un’annualità di reddito nazionale e permetterebbe quindi di rimborsare immediatamente gli interi debiti pubblici. Lo Stato continuerebbe a detenere gli attivi pubblici, ma il valore del suo debito sarebbe azzerato, e non avrebbe più interessi da pagare.4

Questa soluzione equivarrebbe alla cancellazione totale del debito pubblico, pur con due differenze essenziali.5

È sempre molto difficile prevedere il grado d’incidenza finale di una cancellazione, anche parziale. Misure simili, di non pagamento completo o parziale del debito pubblico, sono state spesso impiegate in situazioni di crisi estrema da sovraindebitamento, per esempio in Grecia tra il 2011 e il 2012, in forma di haircut ad ampiezza variabile (secondo la formula d’uso): si diminuisce del 10% o del 12% (o anche più) il valore dei titoli del debito pubblico detenuti dalle banche e dai vari creditori. Il problema è che, se la misura viene applicata su vasta scala, per esempio su scala europea e non solo greca (in Grecia il PIL equivale ad appena il 2% del PIL europeo), è molto probabile che si scateni un’ondata di panico bancario e ne consegua una serie di fallimenti a catena. A seconda dell’identità delle banche detentrici di questa o quella categoria di titoli, della struttura dei loro bilanci, dell’identità degli istituti che hanno prestato loro denaro, delle famiglie che hanno investito i loro risparmi in quegli istituti, sotto qualsiasi forma ecc., alla fine ci si può ritrovare con esiti del tutto differenti, impossibili da prevedere nella loro esatta portata. Inoltre è possibile che i detentori dei maggiori patrimoni facciano in tempo a ristrutturare il loro portafogli in modo da sfuggire quasi del tutto all’haircut. A volte si pensa che l’haircut faccia pagare chi ha preso più rischi. Ebbene, non esiste niente di più falso: considerate le transazioni incessanti che caratterizzano i mercati finanziari e le scelte di portafoglio, nulla può garantire che a pagare sia chi deve effettivamente pagare. Il vantaggio dell’imposta eccezionale sul capitale, assimilabile in qualche modo a un haircut fiscale, consiste appunto nel far sì che le cose si organizzino nel modo più civile. Ci si assicura che ciascuno contribuisca per la propria parte allo sforzo richiesto, e si eviteranno soprattutto i fallimenti bancari, poiché a contribuire saranno i detentori finali dei patrimoni (le persone fisiche) e non gli istituti finanziari. Ecco perché è indispensabile che le autorità pubbliche dispongano in permanenza delle trasmissioni automatiche di informazioni bancarie sull’insieme degli attivi finanziari detenuti da tutti. Senza catasto finanziario, tutte le politiche eventualmente seguite diventano di per sé arbitrarie.

Di più, e soprattutto: il vantaggio della soluzione fiscale è che permette di modulare lo sforzo richiesto a seconda del livello di patrimonio di ciascuno. In concreto, non avrebbe molto senso prelevare un’imposta eccezionale proporzionale del 15% su tutti i patrimoni privati europei. Meglio applicare un’aliquota progressiva, in modo da risparmiare i patrimoni più modesti e da chiedere di più ai patrimoni più elevati. In una certa misura, è già quanto stanno promuovendo le leggi bancarie europee, quando, in genere, garantiscono in caso di fallimento i depositi inferiori ai 100.000 euro. L’imposta progressiva sul capitale è come una generalizzazione di questa logica, in quanto aiuta a graduare con molta più cura lo sforzo richiesto applicando più tranche (garanzia completa fino a 100.000 euro, garanzia parziale da 100.000 euro a 500.000 euro, e così via, con tante tranche quante risulta utile che siano). Inoltre è uno strumento applicabile all’insieme degli attivi (comprese le azioni quotate e non quotate) e non soltanto ai depositi bancari: aspetto quanto mai essenziale, se si vuole davvero sottoporre a contributo i detentori dei maggiori patrimoni, le cui disponibilità vengono raramente investite su un conto bancario.

In ogni caso, sarebbe eccessivo pretendere di azzerare il debito pubblico in un colpo solo. Più realisticamente, supponiamo che si cerchi di ridurre i debiti degli Stati europei del 20% circa del PIL, che permetterebbe di passare da circa il 90% del PIL attuale al 70%, un livello che si avvicinerebbe alla quota d’indebitamento massimo – 60% del PIL – fissata dagli attuali trattati europei.6 Come abbiamo già notato nel capitolo precedente, un’imposta progressiva sul capitale che prelevi lo 0% sui patrimoni netti inferiori a 1 milione di euro, l’1% sulla fascia di patrimonio compresa tra 1 e 5 milioni di euro e il 2% sulla fascia superiore a 5 milioni di euro, farebbe guadagnare l’equivalente circa del 2% di PIL europeo. Per ottenere in una sola volta il 20% del PIL in entrate fiscali, basterebbe dunque applicare un’imposta eccezionale con tassi due volte più alti: 0% fino a 1 milione di euro, 10% tra 1 e 5 milioni di euro e 20% oltre i 5 milioni di euro.7 È interessante notare come il prelievo eccezionale sul capitale applicato in Francia nel 1945, il cui scopo principale era ridurre massicciamente l’indebitamento pubblico, prevedesse un’aliquota progressiva e crescente, dallo 0% fino al 25% per i patrimoni più cospicui.8

È anche possibile ottenere il medesimo risultato applicando per dieci anni l’imposta progressiva con tassi dello 0%, dell’1% e del 2% e destinando le entrate a un alleggerimento del debito, per esempio con i cosiddetti “fondi di redenzione del debito”, proposto nel 2011 dal consiglio di esperti economici attivato dal governo tedesco. La proposta, che punta prima alla condivisione di tutti i debiti pubblici dei paesi dell’eurozona che superano del 60% il PIL (in particolare quelli della Germania, della Francia, dell’Italia e della Spagna), e poi al progressivo azzeramento di questi fondi, è tutt’altro che perfetta. Le manca in particolare la governance democratica, senza la quale la messa in comune dei debiti europei non può funzionare, come vedremo più avanti. Ma ha il merito di esistere, e potrebbe coniugarsi perfettamente con un prelievo eccezionale o decennale sul capitale.9

Il capitale nel XXI secolo
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