Il capitale: distribuito in modo sempre più disuguale rispetto al lavoro
In pratica, la prima costante che si registra quando si cerca di quantificare le disuguaglianze da reddito è la seguente: la disuguaglianza determinata dal capitale è sempre molto più elevata di quella determinata dal lavoro. La distribuzione della proprietà del capitale e dei redditi che ne derivano è sistematicamente molto più concentrata della distribuzione dei redditi da lavoro.
Nell’immediato, vanno precisati due punti. Primo: tale costante si ritrova in tutti i paesi e in tutte le epoche per le quali disponiamo di dati sicuri, senza alcuna eccezione, e ogni volta in misura alquanto massiccia. Per offrire un primo ordine di grandezza: il 10% delle persone che percepiscono il reddito da lavoro più elevato percepisce in genere il 25-30% del totale dei redditi da lavoro, mentre il 10% delle persone che detengono il patrimonio più elevato detiene sempre più del 50% del totale dei patrimoni, in determinate società anche il 90%. In termini forse ancora più eloquenti: il 50% delle persone peggio pagate riceve sempre una quota non trascurabile del totale dei redditi da lavoro (in genere tra un quarto e un terzo, approssimativamente quanto quel 10% che rappresenta i meglio pagati), mentre il 50% delle persone patrimonialmente più povere non possiede mai niente o quasi (sempre meno del 10% del patrimonio totale, in genere meno del 5%, ossia dieci volte meno del 10% più ricco). Le disuguaglianze determinate dal lavoro appaiono in qualche modo disuguaglianze prestabilite, modulate, quasi ragionevoli (per quanto può esserlo una disuguaglianza – vedremo che su questo punto non si deve esagerare). Mentre, al confronto, le disuguaglianze determinate dal capitale sono sempre disuguaglianze estreme.
Secondo: d’ora in avanti dovremo insistere sul fatto che tale costante non ha in sé nulla di evidente, e ci informa con sufficiente precisione sulla natura dei processi economici e sociali in merito alla dinamica dell’accumulazione e della distribuzione dei patrimoni.
In effetti, non è difficile immaginare meccanismi che implichino una distribuzione dei patrimoni più ugualitaria di quella dei redditi da lavoro. Supponiamo per esempio che in un determinato momento i redditi da lavoro riflettano non solo la disuguaglianza permanente dei salari tra i vari gruppi di lavoratori, prima di tutto rispetto alle competenze e alla posizione gerarchica degli uni e degli altri, ma anche in rapporto alle crisi di breve termine (per esempio nel caso in cui i salari o la durata del lavoro nei diversi settori d’attività fluttuino notevolmente da un anno all’altro e nell’ambito dei percorsi individuali). Ne risulterebbe una forte disuguaglianza dei redditi da lavoro, in parte fittizia, poiché essa diminuirebbe se si misurassero le disuguaglianze sul più lungo periodo, per esempio su dieci anni e non su uno solo (come si fa di solito, in mancanza di dati a più lungo termine), o anche sul totale della vita degli individui – ipotesi ideale per studiare davvero quelle disuguaglianze di opportunità e di destini di cui parlava Vautrin, ma purtroppo difficile da realizzare per mancanza di dati.
In un mondo simile, l’accumulazione di patrimoni potrebbe rispondere innanzitutto a ragioni di cautela (si accumulano riserve in previsione di una crisi a venire), nel qual caso la disuguaglianza dei patrimoni sarebbe più ridotta di quella dei redditi da lavoro. Per esempio, la disuguaglianza dei patrimoni potrebbe avere lo stesso ordine di grandezza della disuguaglianza permanente dei redditi da lavoro (calcolata sull’insieme della carriera professionale), e dunque sarebbe nettamente inferiore alla disuguaglianza momentanea dei redditi da lavoro (calcolata, cioè, in un determinato momento). Tutto questo, secondo logica, è possibile ma ben poco pertinente, poiché la disuguaglianza dei patrimoni è ovunque e sempre molto più massiccia della disuguaglianza dei redditi da lavoro. L’accumulo cautelativo in vista di crisi a breve termine esiste davvero nel mondo reale, ma è evidente che non si tratta del meccanismo ideale per dar conto della realtà dell’accumulazione e della distribuzione dei patrimoni.
È anche possibile immaginare meccanismi che prevedano che la disuguaglianza dei patrimoni sia comparabile, per ampiezza, a quella dei redditi da lavoro. In particolare, se l’accumulazione patrimoniale fosse soprattutto determinata da motivi precauzionali (si accumula in vista della pensione), come ha teorizzato Modigliani, ciascuno dovrebbe accumulare uno stock di capitale più o meno proporzionale al livello del suo salario, onde mantenere, dopo la cessazione dell’attività, più o meno il medesimo tenore di vita – o la medesima proporzione del tenore di vita. Nel qual caso la disuguaglianza dei patrimoni sarebbe una semplice traslazione nel tempo della disuguaglianza dei redditi da lavoro, e avrebbe in quanto tale un’importanza limitata, poiché la sola vera fonte della disuguaglianza rimarrebbe la disuguaglianza determinata dal lavoro.
Anche qui, un meccanismo teorico del genere è plausibile secondo logica, e svolge chiaramente un ruolo non trascurabile nel mondo reale – specie nelle società che tendono a invecchiare. Ma, da un punto di vista quantitativo, non si tratta del principale meccanismo in gioco. Il risparmio precauzionale in vista della pensione, così come il risparmio cautelativo, non è sufficiente a spiegare la fortissima concentrazione della proprietà da capitale che si osserva nella pratica di ogni giorno. Le persone anziane sono, in media, certamente più ricche delle persone giovani. Ma la concentrazione dei patrimoni, in realtà, è forte tanto all’interno di ciascuna fascia d’età quanto rispetto all’intera popolazione. In altri termini, contrariamente a un’idea molto diffusa, la lotta tra generazioni non ha sostituito la lotta di classe. La fortissima concentrazione di capitale si spiega in primo luogo con l’importanza del patrimonio ereditario e dei suoi effetti cumulativi (per esempio è più facile risparmiare quando si è ereditato un appartamento di quando si ha un affitto da pagare). Anche il fatto che la rendita del patrimonio assuma spesso valori estremi svolge, nel processo dinamico descritto, un ruolo significativo. Nei capitoli successivi della Parte terza torneremo a esaminare in dettaglio questi vari meccanismi e a valutare come il loro peso sia cresciuto nel tempo e nello spazio. Per il momento, teniamo solo presente che l’ampiezza della disuguaglianza da capitale – assoluta e relativa alla disuguaglianza dei redditi da lavoro – orienta verso certi meccanismi anziché altri.