Perché la disuguaglianza patrimoniale del passato non si è ricostituita?
Passiamo ora a esaminare una questione di fondo. Perché la disuguaglianza patrimoniale della belle époque non si è ricostituita? E siamo sicuri che le ragioni per le quali non si è ricostituita siano definitive e irreversibili?
Precisiamo subito che non ci è possibile fornire una risposta assolutamente certa e del tutto soddisfacente. Sono molti i fattori che hanno svolto un ruolo importante e che continueranno a svolgerlo in futuro, per cui è semplicemente impossibile pervenire, in materia, a certezze di tipo matematico.
La componente più facile da spiegare è la fortissima riduzione delle disuguaglianze patrimoniali seguita agli eventi del periodo 1914-45. Come abbiamo visto nella Parte seconda, i patrimoni hanno patito una serie di dissesti estremamente gravi a causa delle guerre e delle politiche adottate in conseguenza delle guerre stesse, politiche che hanno portato al crollo del rapporto capitale/reddito. Si potrebbe pensare che la riduzione delle ricchezze avrebbe dovuto colpire proporzionalmente tutti i patrimoni, quale che fosse il loro livello nella scala gerarchica, lasciando quindi immutata la disuguaglianza da capitale. Ma non è stato così. Se ragionassimo in questo modo, dimenticheremmo che i patrimoni non hanno tutti la stessa origine e non svolgono tutti la stessa funzione. Al vertice della gerarchia delle ricchezze, il patrimonio è perlopiù il prodotto di un’accumulazione che viene da lontano, e per ricostituire ricchezze tanto elevate occorre molto più tempo di quanto ne occorra per rimettere insieme un patrimonio modesto e di media grandezza.
Inoltre i patrimoni più cospicui servono a finanziare un determinato tenore di vita. Ora, i dati dettagliati che abbiamo raccolto negli archivi delle successioni dimostrano senza ambiguità che molti rentiers non hanno ridotto di colpo, nel periodo tra le due guerre, il proprio tenore di vita, a seguito della riduzione dei patrimoni e dei loro redditi dopo la prima guerra mondiale e gli anni venti e trenta, per cui si sono trovati a decurtare il capitale progressivamente, per finanziare le spese correnti, e a trasmettere quindi un patrimonio molto inferiore a quello che avevano ricevuto, e tale da non permettere loro in alcun modo di perpetuare l’equilibrio precedente. Su questo punto i dati della città di Parigi sono assai eloquenti. Per esempio, possiamo calcolare che durante la belle époque l’1% degli ereditieri parigini più ricchi dispone di un patrimonio che gli consente di finanziare un tenore di vita ottanta-cento volte superiore a quello consentito dal salario medio dell’epoca,33 reinvestendo una piccola parte della rendita in modo da aumentare il livello del patrimonio ricevuto. Dal 1872 al 1912, il sistema appare perfettamente equilibrato: il gruppo dei superprivilegiati trasmette alla generazione successiva un patrimonio con il quale gli eredi possono a loro volta sostenere un tenore di vita ottanta-cento volte superiore a quello consentito dal salario della generazione successiva, o anche più: da qui, una crescita tendenziale della concentrazione delle ricchezze. L’equilibrio si spezza di netto nel periodo tra le due guerre: l’1% degli ereditieri parigini più ricchi continua a vivere più o meno come in passato, ma il patrimonio che lascia alla generazione successiva consente di sostenere un tenore di vita appena trenta-quaranta volte superiore a quello consentito dal salario medio dell’epoca – e solo venti volte alla fine degli anni trenta. Per i rentiers è l’inizio della fine. Siamo sicuramente in presenza del meccanismo che spiega meglio di tutti la deconcentrazione dei patrimoni osservata in tutti i paesi europei (e in minor misura negli Stati Uniti) dopo gli avvenimenti degli anni 1914-45.
Aggiungiamo che la composizione dei patrimoni più cospicui ha, di norma, esposto in misura più massiccia i rentiers alle perdite di capitale causate dalle due guerre mondiali. In particolare, i dati dettagliati sulla composizione dei portafogli, messi a disposizione dagli archivi delle successioni, mostrano che le attività estere equivalevano fino a un quarto dei patrimoni più rilevanti, alla vigilia della prima guerra mondiale, metà di cui investita in obbligazioni pubbliche emesse da Stati esteri (soprattutto dalla Russia, Stato sull’orlo della bancarotta). Anche se purtroppo non disponiamo, per il Regno Unito, di dati analoghi e altrettanto precisi, non c’è dubbio che le attività estere abbiano svolto un ruolo altrettanto importante anche per i grandi patrimoni britannici. Dopo le due guerre mondiali, sia in Francia sia nel Regno Unito le attività estere sono quasi completamente scomparse.
È bene comunque non sopravvalutare l’importanza di questo fattore esplicativo, dal momento che i detentori dei patrimoni più sostanziosi sono anche quelli più bravi a procedere, al momento giusto, alle ricollocazioni più vantaggiose del proprio portafogli. Di più. Il fatto sorprendente è che tutti i livelli di patrimonio, e non solo i più elevati, comprendessero, alla vigilia della prima guerra mondiale, quantità non trascurabili di attivi esteri. In genere, se esaminiamo la struttura dei patrimoni parigini alla fine del XIX secolo e durante la belle époque, non possiamo non stupirci del carattere estremamente diversificato e “moderno” dei suddetti portafogli. Alla vigilia della prima guerra mondiale, i beni immobili equivalgono ad appena un terzo, o poco più, degli attivi (più o meno i due terzi per i beni immobili parigini e circa un terzo per i beni posseduti in provincia, qualche volta sotto forma di terreni agricoli), mentre gli attivi finanziari equivalgono a quasi due terzi, scomponibili in vari insiemi omogenei di azioni e obbligazioni, francesi e straniere, con un relativo equilibrio per tutti i livelli di patrimonio (cfr. tabella 10.1).34
Tabella 10.1.
La composizione dei patrimoni parigini,
1872-1912
A Parigi, nel 1912, gli attivi immobiliari equivalgono al 36% del patrimonio totale, gli attivi finanziari al 62%, i mobili e gli oggetti di valore al 3%.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
La società dei rentiers che si sviluppa durante la belle époque non è una società del passato, fondata sul capitale terriero e su una nozione statica della proprietà, anzi, essa incarna un certa modernità patrimoniale e finanziaria. Solo che la logica cumulativa della disuguaglianza r > g la rende straordinariamente e stabilmente disuguale. In una società del genere, anche mercati più liberi e più concorrenziali, o diritti di proprietà meglio garantiti, hanno poche possibilità di ridurre le disuguaglianze, poiché si tratta di condizioni già soddisfatte ai più alti livelli. Di fatto, a modificare radicalmente l’equilibrio saranno solo i dissesti patiti dai patrimoni e dai loro redditi a partire dalla prima guerra mondiale.
Ricordiamo infine che, in molti paesi europei, specie in Francia, il periodo 1914-45 si è concluso con un numero di redistribuzioni che ha inciso molto di più sui grossi patrimoni – in particolare gli azionisti delle grandi società industriali – che sui patrimoni medi e di modesta entità. Pensiamo soprattutto alle nazionalizzazioni varate al momento della Liberazione (l’esempio emblematico è quello della Renault, statalizzata) e all’imposta di solidarietà nazionale istituita anch’essa nel 1945. L’imposta, eccezionale e progressiva, prelevata sia sul capitale sia sulle ricchezze accumulate nel corso dell’Occupazione, venne applicata una sola volta, ma i tassi molto alti costituirono uno choc supplementare, e pesantissimo, per le persone interessate.35