La disuguaglianza mondiale: da 150 euro mensili a 3000 euro mensili

Riassumendo, la disuguaglianza a livello mondiale crea situazioni in cui ci sono paesi il cui reddito medio pro capite si aggira sui 150-200 euro mensili (Africa subsahariana, India) e altri il cui reddito medio pro capite raggiunge i 2500-3000 euro mensili (Europa occidentale, America del Nord, Giappone), ovvero dieci-venti volte tanto. La media mondiale, che corrisponde più o meno al livello della Cina, si aggira attorno ai 600-800 euro mensili.

Si tratta di ordini di grandezza molto significativi, che meritano di essere tenuti presenti. Occorre tuttavia precisare che essi comportano un margine d’errore non trascurabile: è, di norma, più difficile valutare le disuguaglianze tra paesi (o anche tra epoche) differenti che tra categorie differenti di una data società.

Per esempio, la disuguaglianza mondiale sarebbe sensibilmente più forte se si utilizzassero i tassi di cambio correnti e non le parità di potere d’acquisto, come abbiamo fatto fin qui. Per differenziare le due nozioni, consideriamo in primo luogo il caso del tasso di cambio euro/dollaro. Nel 2012, 1 euro valeva in media sul mercato dei cambi 1,3 dollari. Un europeo che disponeva di 1000 euro di reddito poteva recarsi in banca e ottenere in cambio 1300 dollari. Se partiva per gli Stati Uniti per spendere quel denaro, il suo potere d’acquisto sarebbe effettivamente stato di 1300 dollari. Ma, secondo i dati ufficiali ICP, i prezzi, nell’eurozona, sono in media più elevati del 10% rispetto agli Stati Uniti, per cui il potere d’acquisto dell’europeo – se spende il suo denaro in Europa – è più vicino a un reddito americano di 1200 che non di 1300 dollari. Diremo dunque che la “parità di potere d’acquisto” è di 1,20 dollari per euro, ed è questa la parità che abbiamo utilizzato nella tabella 1.1 per convertire il PIL americano in euro – così come abbiamo fatto per gli altri paesi. I differenti PIL vengono pertanto comparati sulla base del potere d’acquisto che ciascun paese offre realmente ai propri abitanti – i quali, il più delle volte, spendono il loro reddito in patria e non all’estero.25

In secondo luogo, è più vantaggioso utilizzare le parità di potere d’acquisto perché esse sono, in linea di principio, più stabili dei tassi di cambio correnti. I quali, in realtà, riflettono non solo lo stato della domanda e dell’offerta per beni e servizi scambiati da diversi paesi, ma anche le conseguenze della collocazione degli investimenti internazionali e le ipotesi di futuri cambiamenti in merito alla stabilità politica e finanziaria di questo o quel paese – per non parlare del processo a volte caotico delle varie politiche monetarie. I tassi di cambio correnti possono dunque essere molto volatili, come dimostrano le fortissime fluttuazioni del dollaro nel corso degli ultimi decenni, il cui tasso di cambio è passato da più di 1,30 dollari per euro negli anni novanta a meno di 0,90 dollari nel 2001, prima di risalire vertiginosamente e avvicinarsi, nel 2008, agli 1,50 dollari e poi ridiscendere, nel 2012, a 1,30 dollari circa. In questo periodo, la parità del potere d’acquisto è aumentata senza scosse particolari, da circa 1 dollaro per euro nei primi anni novanta a circa 1,20 dollari per euro all’inizio del secondo decennio del XXI secolo (cfr. grafico 1.4).26

A ogni modo, quali che siano gli sforzi compiuti dagli enti internazionali coinvolti nelle ricerche ICP, è giocoforza riconoscere che le parità di potere d’acquisto restano in genere incerte, con margini d’errore dell’ordine del 10%, o poco più, anche tra paesi dal livello di sviluppo analogo. Per esempio, nell’ultima ricerca disponibile, si rileva che in Europa alcuni prezzi sono effettivamente superiori (energia, alloggio, alberghi e ristoranti), ma che altri sono nettamente inferiori (spese mediche e scolastiche).27 In linea di principio, i calcoli ufficiali valuterebbero i differenti valori in relazione alla stima dei differenti beni e servizi nel bilancio medio di ciascun paese, ma è evidente che calcoli del genere non possono essere del tutto precisi, dal momento che, nel caso di numerosi servizi, è molto difficile valutare le differenze qualitative. È comunque importante sottolineare che ciascuno di tali indici di prezzo misura aspetti diversi della realtà sociale. Il costo dell’energia valuta il potere d’acquisto in fatto di energia (più elevato negli Stati Uniti), quello della spesa sanitaria valuta il potere d’acquisto in fatto di salute (più elevato in Europa). La realtà della disuguaglianza tra paese e paese è insomma multidimensionale, e sarebbe illusorio pretendere di riassumere il tutto con un unico indicatore monetario in grado di assicurare una classificazione univoca, specie tra paesi con un reddito medio relativamente omogeneo.

Grafico 1.4.
Tassi di cambio e parità di potere d’acquisto: euro/dollaro

Nel 2012 un euro vale secondo il tasso di cambio corrente 1,30 dollari, ma ne vale 1,20 a parità di potere d’acquisto.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.

Nei paesi più poveri, le variazioni introdotte dalle parità di potere d’acquisto sono molto forti: sia in Africa sia in Asia, i valori sono due volte più bassi che nei paesi ricchi, essendo il PIL circa due volte più elevato quando si passa dal tasso di cambio corrente alla parità di potere d’acquisto. Il che deriva essenzialmente dal costo più basso dei servizi e dei beni non scambiabili sul piano internazionale, più facili da produrre nei paesi poveri perché più intensivi in quanto a lavoro poco qualificato (più abbondante nei paesi meno sviluppati) e meno intensivi in quanto a lavoro qualificato e in quanto a capitale (relativamente meno abbondanti).28 In genere, la variazione è tanto più elevata quanto più il paese è povero: nel 2012, il coefficiente di correzione è stato dell’1,6 in Cina e del 2,5 in India.29 Oggi, l’euro vale 8 yuan cinesi al tasso di cambio corrente e 5 yuan a parità di potere d’acquisto. La forbice si restringe man mano che la Cina si sviluppa e rivaluta lo yuan (cfr. grafico 1.5). Alcuni autori, tra cui Maddison, considerano tuttavia che la disparità sia meno limitata di quanto possa sembrare, e che le statistiche ufficiali sottovalutino il PIL cinese.30

Queste incertezze sul tasso di cambio e sulle parità di potere d’acquisto devono indurci a trattare i redditi medi sopra indicati (150-250 euro mensili per i paesi più poveri, 600-800 euro per i paesi medi, 2500-3000 euro per i paesi più ricchi) come ordini di grandezza e non come certezze matematiche. Per esempio, la quota di reddito dei paesi ricchi (Unione Europea, Stati Uniti/Canada, Giappone) ha raggiunto nel 2012 il 46% se si considera la parità di potere d’acquisto, ma il 57% se si considerano i tassi di cambio correnti.31 La “verità”, probabilmente, sta nel mezzo, ed è certo più prossima alla prima cifra. In ogni caso, l’insieme non rimette in discussione gli ordini di grandezza, né il fatto che la quota dei paesi ricchi diminuisca costantemente a partire dagli anni settanta-ottanta del Novecento. Quale che sia l’indice utilizzato, il mondo sembra ormai decisamente entrato in una fase di convergenza tra paesi ricchi e paesi poveri.

Grafico 1.5.
Tasso di cambio e parità di potere d’acquisto: euro/yuan

Nel 2012 l’euro vale, secondo il tasso di cambio corrente, circa 8 yuan, ma ne vale 5 a parità di potere di acquisto.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
Il capitale nel XXI secolo
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