Il fattore di divergenza fondamentale: r > g

Il secondo indicatore, rappresentato nel grafico I.2, rimanda a un fattore di divergenza che è in un certo modo più semplice e trasparente, e che è senza dubbio ancora più decisivo per la curva a lungo termine della distribuzione delle ricchezze. Il grafico I.2 indica la variazione, nel Regno Unito, in Francia e in Germania, del valore complessivo dei patrimoni privati (immobiliari, finanziari e di investimento, al netto dei debiti), espressa in annualità di reddito nazionale, dal 1870 a oggi. Si noterà in primo luogo l’altissimo grado di prosperità patrimoniale che ha caratterizzato l’Europa alla fine del XIX secolo e della belle époque: il valore dei patrimoni privati si fissa attorno alle sei-sette annualità di reddito nazionale, che è un fatto considerevole. Successivamente si può constatare un forte calo, determinato dagli eventi scioccanti intercorsi tra il 1914 e il 1945: il rapporto capitale/reddito cala a due-tre annualità di reddito nazionale. Dopodiché si nota una crescita continua a partire dagli anni cinquanta, al punto che i patrimoni privati sembrano quasi raggiungere, oggi, i livelli riscontrati alla vigilia della prima guerra mondiale: nei primi dieci anni del XXI secolo il rapporto capitale/reddito si colloca attorno a cinque-sei annualità di reddito nazionale sia nel Regno Unito sia in Francia (in Germania si colloca a un livello inferiore, nazione che però è partita da un livello più basso: la tendenza è comunque netta anche in questo paese).

Grafico I.2.
Il rapporto capitale/reddito in Europa, 1870-2010

Nel 1910, in Europa, il totale dei patrimoni privati vale attorno alle 6-7 annualità di reddito nazionale, nel 1950 vale attorno alle 2-3 annualità, nel 2010 vale attorno alle 4-6 annualità.
Fonti e classi di reddito: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.

La curva a U, di grande ampiezza, corrisponde a una trasformazione davvero cruciale, sulla quale avremo ampiamente occasione di tornare. Vedremo in particolare che il ritorno dell’elevato rapporto tra lo stock di capitale e il flusso di reddito nazionale negli ultimi decenni si spiega in larga parte con il ritorno a un regime di crescita relativamente lenta. Nelle società a crescita debole i patrimoni ereditati dal passato assumono per loro natura un rilievo sproporzionato poiché, ad accrescere in modo continuativo e sostanziale l’ampiezza dello stock, basta anche un debole flusso di nuovo risparmio.

Se poi il tasso di rendimento da capitale raggiunge livelli consistenti e duraturi tali da superare il tasso di crescita (il che non è automatico, ma è tanto più probabile quanto più è debole il tasso di crescita) esiste allora un rischio molto forte di divergenza caratterizzata dalla distribuzione delle ricchezze.

Questa disuguaglianza fondamentale, che esprimeremo con la formula r > g – dove r indica il tasso annuo di rendimento da capitale (vale a dire quanto rende in media il capitale nel corso di un anno, sotto forma di profitti, dividendi, interessi, affitti e altri redditi da capitale in percentuale del suo valore) e g indica il tasso di crescita (vale a dire la crescita annua del reddito e del prodotto) – ricoprirà nel libro un ruolo essenziale. Anzi, in qualche modo, ne riassumerà la logica d’insieme.

Quando il tasso di rendimento del capitale supera in misura significativa il tasso di crescita – e vedremo che è il caso più frequente nel corso della storia, quantomeno fino al XIX secolo, destinato con ogni probabilità a essere la norma nel XXI, il fenomeno implica automaticamente che i patrimoni ereditati dal passato si ricapitalizzino più in fretta rispetto all’andamento del processo di produzione e dei redditi. Per cui, per chi eredita patrimoni dal passato, basta risparmiare una quota anche limitata di reddito del proprio capitale perché quest’ultimo si accresca più in fretta rispetto alla crescita economica nel suo complesso. In tali condizioni, è pressoché inevitabile che i patrimoni ricevuti in eredità prevalgano largamente sui patrimoni accumulati nel corso di una vita di lavoro, e che la concentrazione del capitale raggiunga livelli assai elevati, potenzialmente incompatibili con i valori meritocratici e i principi di giustizia sociale che costituiscono il fondamento delle nostre moderne società democratiche.

Questo determinante fattore di divergenza può inoltre essere rafforzato da meccanismi aggiuntivi, per esempio quando il tasso di risparmio cresce in sintonia con la crescita del grado di ricchezza,37 e ancor più quando il tasso di rendimento medio effettivamente ottenuto è tanto più elevato quanto più è elevato il capitale iniziale (fenomeno che, come avremo modo di vedere, si avvia a prevalere). Il carattere imprevedibile e arbitrario dei rendimenti da capitale e delle forme di arricchimento che ne derivano diventano così ragione per rimettere in discussione l’ideale meritocratico. Infine, tali effetti, nel loro insieme, possono essere aggravati da un meccanismo di tipo ricardiano, di divergenza strutturale dei prezzi degli immobili e del petrolio.

Riassumendo. Il processo di accumulazione e di distribuzione dei patrimoni contiene in sé fattori talmente potenti da spingere verso la divergenza, o quantomeno verso un livello di disuguaglianza estremamente elevato. Esistono sì fattori di convergenza, tali da riuscire a prevalere in determinati paesi e in determinate epoche, ma i fattori di divergenza possono in ogni momento riprendere il sopravvento, come sembra accadere in questo inizio di XXI secolo, e come lascia prevedere il probabile calo della crescita demografica ed economica nei decenni a venire.

Le mie conclusioni sono meno apocalittiche di quelle implicite nel principio di accumulazione infinita e di divergenza perpetua espresso da Marx (la cui teoria si fonda, di fatto, su un’idea di crescita zero della produttività a lungo termine). Nello schema proposto la divergenza non è perpetua, è solo uno dei possibili scenari futuri. Tuttavia non sono, le mie, conclusioni molto rassicuranti. In particolare, è importante sottolineare che la disuguaglianza di fondo r > g, massimo fattore di divergenza nel nostro schema esplicativo, non ha niente a che vedere con una qualunque imperfezione di mercato. Anzi, si tratta piuttosto del contrario: più il mercato del capitale è “perfetto”, nel significato che gli economisti danno a questo aggettivo, più è probabile che la disuguaglianza si verifichi. È possibile immaginare istituzioni e politiche pubbliche che permettano di contrastare gli effetti di tale logica implacabile, come un’imposta mondiale progressiva sul capitale. Ma la loro concreta attuazione pone problemi notevoli in termini di coordinamento internazionale. È purtroppo probabile che le risposte che verranno date, nella pratica, siano molto più modeste e inefficaci – penso a manovre di varia natura a livello nazionale.

Il capitale nel XXI secolo
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