I limiti delle dichiarazioni dei redditi
Al di là di tutte queste costanti di indubbio rilievo, è sempre bene sottolineare i limiti della fonte qui utilizzata: il fisco. Tanto per cominciare, noi, nei grafici 8.3 e 8.4, diamo esclusivamente conto dei redditi da capitale che figurano nelle dichiarazioni dei redditi, il che ci porta a sottostimarne il valore reale, sia per gli effetti dell’evasione fiscale (è più facile dissimulare un reddito da investimento che un salario, per esempio attraverso conti bancari detenuti all’estero, in paesi poco collaborativi con il paese di residenza del detentore) sia per l’esistenza di regimi in deroga che permettono, a determinate categorie di reddito da capitale, di sottrarsi in tutta legalità all’imposta generale sul reddito (il cui principio generale, all’origine, in Francia come in tutti paesi, era l’imposta su tutti i redditi, di qualunque natura essi fossero). Considerando il fatto che i redditi da capitale sono sovrarappresentati all’interno del decile superiore, la dichiarazione riduttiva o infedele dei redditi da capitale implica anche che le quote del decile superiore e del centile superiore indicate nei grafici 8.1 e 8.2, fondate unicamente sui redditi dichiarati, per la Francia come per gli altri paesi che ci accingiamo a studiare, sono altrettanto sottostimate. Nel senso che, essendo in ogni caso quote approssimative e più che altro interessanti per gli ordini di grandezza che propongono (come del resto tutte le statistiche economiche e sociali), devono essere ritenute stime relativamente basse della disuguaglianza dei redditi davvero esistente.
Nel caso della Francia, possiamo valutare, confrontando le dichiarazioni dei redditi con altre fonti disponibili (in particolare i bilanci nazionali e le fonti che riguardano direttamente la distribuzione dei patrimoni), che la sottostima implicita nella dichiarazione riduttiva o infedele dei redditi da capitale può corrispondere a parecchi punti di reddito nazionale (forse fino a 5 punti, in relazione a una stima di evasione massima, più realisticamente intorno ai 2-3 punti), valore tutt’altro che trascurabile. In altri termini, la quota del decile superiore della gerarchia dei redditi, la quale, secondo il grafico 8.1, è passata dal 45-50% circa del reddito nazionale del 1910 a circa il 30-35% un secolo dopo, era, durante la belle époque, in realtà molto vicina al 50% (se non superiore), e oggi è leggermente superiore al 35%.13 Il che non pare comunque incidere in misura significativa sulla crescita complessiva della disuguaglianza dei redditi, poiché, anche se le possibilità di evasione legale ed extralegale tendono a progredire negli ultimi decenni (in particolare con lo sviluppo dei paradisi fiscali, sui quali torneremo più avanti), non bisogna dimenticare che i problemi legati alla dichiarazione riduttiva o infedele dei redditi da capitale mobiliare erano già molto forti all’inizio del XX secolo e nel periodo tra le due guerre (e tutto fa pensare che i bordereaux de coupon, le distinte delle cedole inventate dai governi dell’epoca, non fossero meno fallibili delle convenzioni bilaterali di oggi).
In altri termini, possiamo giudicare, a prima vista, che una valutazione del grado di evasione – legale o meno – ci porterebbe a quantificare, sulla base delle dichiarazioni dei redditi, livelli di disuguaglianza non lontani da quelli di altre epoche, e quindi a non dover sostanzialmente modificare le tendenze e le traiettorie temporali già stabilite.
È tuttavia necessario insistere sul fatto che fino a oggi, nei diversi paesi, non si è cercato di correggere quelle traiettorie in maniera sistematica e coerente. È, questo, un limite non da poco della WTID, in conseguenza del quale le nostre classi di reddito sottostimano, sia pure di poco, la crescita delle disuguaglianze osservate in quasi tutti i paesi dagli anni settanta-ottanta del Novecento e, in particolare, sottovalutano il ruolo svolto dai redditi da capitale. Per la verità, le dichiarazioni dei redditi rappresentano una fonte sempre meno valida per studiare i redditi da capitale, ed è indispensabile integrarne i dati con quelli provenienti da altre fonti, macroeconomiche (come quelle utilizzate nella Parte seconda per studiare la dinamica del rapporto capitale/reddito e la divisione capitale-lavoro del reddito nazionale) o microeconomiche (come quelle che permettono di studiare direttamente le distribuzioni dei patrimoni e che utilizzeremo nei prossimi capitoli).
Precisiamo inoltre che le differenti norme fiscali in merito ai redditi da capitale possono anche condizionare, al ribasso, il confronto tra paese e paese. In genere, gli affitti, gli interessi e i dividendi vengono calcolati nei vari paesi in modo più o meno uguale.14 Esistono però variazioni sensibili a proposito delle plusvalenze. Per esempio, nei dati fiscali francesi, le plusvalenze non vengono considerate in modo completo e omogeneo (per cui le abbiamo semplicemente escluse), mentre sono sempre state registrate con una certa cura nei dati fiscali americani. Il che può fare la differenza, una differenza anche notevole, poiché le plusvalenze – soprattutto i profitti realizzati con la vendita delle azioni – costituiscono la forma di reddito da capitale più concentrata all’interno della fascia di reddito più alta (a volte ancor più concentrata dei dividendi). Per esempio, se nei grafici 8.3 e 8.4 includessimo le plusvalenze, la quota dei redditi da capitale al livello del dieci-millile superiore sarebbe non già del 60%, ma del 70-80% (a seconda degli anni15). Per non abbassare troppo i livelli del confronto tra paesi, sarà nostra cura presentare i risultati ottenuti per gli Stati Uniti con e senza plusvalenze.
Il secondo grosso limite delle dichiarazioni dei redditi è dato dal fatto che una fonte del genere non dà, per definizione, alcuna informazione circa l’origine dei patrimoni. Prendiamo atto di redditi prodotti dai capitali posseduti in un determinato momento dai contribuenti, ma ignoriamo del tutto se quei capitali provengono da un’eredità o se sono stati accumulati dalla persona in questione nel corso della sua vita partendo dai redditi da lavoro (oppure partendo dai redditi prodotti da altri capitali). In altri termini, un’analoga disuguaglianza dei redditi da capitale può corrispondere a situazioni in realtà molto diverse e, se ci limitiamo a utilizzare le dichiarazioni dei redditi, non ne sapremo mai nulla. In genere, per quanto riguarda i più alti redditi da capitale, il livello dei patrimoni corrispondenti appare talmente elevato che è difficile pensare che siano il frutto di un modesto risparmio salariale (fosse pure il risparmio considerevole di un altissimo dirigente): tutto, invece, fa pensare che prevalga la massa di capitale ereditario. Nei prossimi capitoli vedremo comunque come la rispettiva importanza dell’eredità e del risparmio nella formazione dei patrimoni sia molto cresciuta nel corso della storia, e come il problema meriti di essere studiato da vicino. E, anche in questo caso, dovremo ricorrere a fonti che riguardano direttamente i patrimoni e le successioni.