Lo sviluppo di uno Stato sociale nel XX secolo

Per valutare in quale misura sia cambiato il ruolo del potere pubblico nella vita economica e sociale, il metodo più semplice consiste nell’esaminare l’importanza assunta dall’insieme delle imposte e dei prelievi nel reddito nazionale. Nel grafico 13.1 abbiamo tracciato le curve storiche di quattro paesi (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Svezia) rappresentativi in vario modo della diversità delle situazioni osservate nei paesi ricchi.1 Si possono notare da una parte molte somiglianze sorprendenti, dall’altra differenze rilevanti.

Grafico 13.1.
I prelievi fiscali obbligatori nei paesi ricchi

I prelievi fiscali obbligatori rappresentavano meno del 10% del reddito nazionale nei paesi ricchi fino al 1900-10, mentre ne rappresentano fra il 30 e il 55% nel 2000-10.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c

La prima somiglianza è la seguente: in tutti i paesi, nel XIX secolo e fino alla prima guerra mondiale, le imposte equivalgono a meno del 10% del reddito nazionale. Il che significa che l’intervento dello Stato nella vita economica e sociale è minimo. Con il 7-8% del reddito nazionale è possibile assolvere alle grandi funzioni pubbliche (polizia, giustizia, esercito, affari esteri, amministrazione generale ecc.) ma a poco altro. Una volta finanziato il mantenimento dell’ordine, il rispetto del diritto di proprietà e le spese militari (che da sole equivalgono spesso a quasi la metà del totale), non rimane più molto nelle casse pubbliche.2 Gli Stati, all’epoca, finanziano anche vie di comunicazione e infrastrutture minori, un certo numero di scuole, di università e di centri sanitari, mentre i servizi pubblici quali pubblica istruzione e sanità accessibili ai più sono in genere piuttosto carenti.3

A partire dagli anni venti e trenta e fino agli anni settanta e ottanta del Novecento si assiste, in tutto il mondo ricco, a una crescita notevole della quota di reddito nazionale che i vari paesi destinano alle imposte e alle spese pubbliche (in particolare alle spese sociali). In tutti i paesi sviluppati, nell’arco di 50 anni, la quota d’imposta sul reddito nazionale viene moltiplicata per un fattore pari almeno a tre o a quattro (a volte cinque, come nei paesi nordici). Dopodiché, a partire dagli anni ottanta fino a oggi, si rileva, di nuovo in tutti i paesi, una pressoché completa stabilizzazione della quota d’imposta sul reddito nazionale, anche se a livelli molto diversi da paese a paese: appena poco più del 30% del reddito nazionale negli Stati Uniti, attorno al 40% nel Regno Unito, tra il 45% e il 55% nell’Europa continentale (45% in Germania, 50% in Francia, quasi il 55% in Svezia).4 Le disparità tra paesi sono tutt’altro che trascurabili.5 Ma ciò che colpisce è constatare fino a che punto le variazioni, nei secoli, siano complessivamente vicine le une alle altre, soprattutto in merito alla quasi perfetta stabilità osservata in tutti i paesi nel corso degli ultimi tre decenni. Non è che, nel grafico 13.1, le alternanze politiche e le peculiarità nazionali siano del tutto assenti (per esempio riguardo al Regno Unito e alla Francia),6 ma hanno un’importanza tutto sommato limitata rispetto alla stabilità complessiva.7

Per cui tutti i paesi ricchi, senza eccezione alcuna, sono passati, nel corso del XX secolo, da un equilibrio nel cui ambito destinavano alle imposte e alle spese comuni meno di un decimo del reddito nazionale, a un nuovo equilibrio nel cui ambito destinano oggi, stabilmente, una quota che va da un terzo alla metà.8 È un cambiamento fondamentale, a proposito del quale vanno precisati alcuni punti essenziali.

Tanto per cominciare, è facile rilevare come la questione del “ritorno dello Stato” possa apparire a molti del tutto incongrua nel contesto attuale, visto che il peso del potere pubblico non è mai stato tanto elevato. In sostanza, per avere una visione d’insieme del ruolo dello Stato nella vita economica e sociale, occorre far ricorso ad altri indicatori. Lo Stato interviene fissando regole e non solo prelevando imposte per finanziare spese e trasferimenti. Per esempio, a partire dagli anni ottanta e novanta, i mercati finanziari sono regolati molto meno rigidamente di quanto non siano stati dagli anni cinquanta agli anni settanta. Lo Stato può anche intervenire come produttore e detentore di capitale – le privatizzazioni realizzate nel corso degli ultimi tre decenni nel settore industriale e finanziario hanno ridotto ancor più il proprio ruolo rispetto ai tre decenni dell’immediato secondo dopoguerra – ma, dal punto di vista del peso fiscale e di bilancio, peso non da poco, il potere pubblico non ha mai svolto un ruolo economico così importante come negli ultimi decenni. E non si scorge alcuna tendenza al ribasso, contrariamente a quanto a volte si sente dire. Certo, in un quadro complessivo di invecchiamento della popolazione, di progresso delle tecnologie mediche e di bisogno di formazione costantemente più forte, il semplice fatto di stabilizzare i prelievi pubblici in rapporto al reddito nazionale è di per sé una sfida, che è sempre più facile promettere quando si è all’opposizione che mantenere una volta al potere. Resta però il fatto che i prelievi fiscali obbligatori equivalgono oggi, un po’ in tutta Europa, a quasi la metà del reddito nazionale, e che nessuno è in grado di prevedere seriamente, per i decenni a venire, che non vi sia una crescita paragonabile a quella che ha avuto luogo nel corso del periodo 1930-80. Dopo la crisi degli anni trenta e nel quadro del dopoguerra e della ricostruzione si è potuto ragionevolmente pensare che la soluzione ai problemi del capitalismo stesse in una crescita illimitata del peso dello Stato e delle sue spese sociali. Oggi, le scelte sono necessariamente più complesse. Il grande balzo in avanti dell’Europa è già avvenuto, e non avverrà una seconda volta, o, se avverrà, avverrà in altra forma.

Il capitale nel XXI secolo
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