Il capitale in America: più stabile che in Europa
Prima di studiare più a fondo la fase di ripresa del rapporto capitale/reddito nella seconda metà del XX secolo e di analizzare le prospettive per il XXI – cosa che faremo nel prossimo capitolo –, è venuto il momento di varcare i confini europei e di esaminare le forme e i livelli assunti dal capitale americano nella storia.
Molti fatti balzano subito in primo piano. Innanzitutto, l’America è quel Nuovo Mondo in cui il capitale conta meno che nel Vecchio Mondo, vale a dire nella vecchia Europa. Più esattamente, il valore dello stock di capitale nazionale – secondo le numerose stime effettuate all’epoca, stime che abbiamo raccolto e confrontato tra loro come per gli altri paesi – è al momento dell’Indipendenza americana (tra il 1770 e il 1810), solo di poco superiore a tre annualità di reddito nazionale. Il valore dei terreni agricoli è compreso tra un’annualità e un’annualità e mezza del reddito nazionale (cfr. grafico 4.6). Dando per scontate le dovute incertezze, non c’è dubbio che nelle colonie americane il rapporto capitale/reddito sia molto più basso che nel Regno Unito e in Francia, in cui il capitale nazionale equivale a circa sette annualità di reddito nazionale, di cui quasi quattro in terreni agricoli (cfr. grafici 3.1 e 3.2).
Il punto essenziale è che l’America del Nord ha evidentemente molti più ettari di terra pro capite della vecchia Europa. E complessivamente è molto più alto il capitale pro capite. Per l’esattezza, ne ha un livello talmente alto che il valore di mercato dei terreni finisce per fissarsi su livelli bassissimi: tutti possono possedere enormi quantità di terra, per cui la terra non vale un granché. In altri termini, l’effetto prezzo compensa in larga misura l’effetto volume: quando il volume di capitale di un certo tipo supera determinate soglie, è inevitabile che il prezzo scenda a livelli talmente bassi che il prodotto dei due, ossia il valore del capitale, finisce per essere più basso di quanto potrebbe essere per un volume più modesto.
Grafico 4.6.
Il capitale negli Stati Uniti,
1770-2010
Negli Stati Uniti, nel 1770, il capitale nazionale equivale a 3 annualità di reddito nazionale (1,5 annualità per i terreni agricoli).
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
Lo scarto considerevole dei prezzi dei terreni tra il Nuovo Mondo e l’Europa alla fine del XVIII secolo e all’inizio del XIX è comunque confermato da tutte le fonti storiche disponibili sulle transazioni e sui trasferimenti delle terre agricole (per esempio gli inventari dei beni dei defunti e gli atti di successione).
Il fatto che negli Stati Uniti, sia durante l’età coloniale sia al momento della nascita della Repubblica americana, anche gli altri tipi di capitale – quali abitazioni e altri capitali interni – si attestino su livelli di prezzo relativamente bassi rispetto all’Europa, risponde a una logica diversa ma non deve per nulla sorprendere. I nuovi arrivati, i quali rappresentano la parte più rilevante della popolazione americana, non hanno attraversato l’Atlantico con appresso il loro capitale immobiliare o i loro macchinari, e ci vuole del tempo per accumulare l’equivalente di parecchi anni di reddito nazionale in beni immobili e in attrezzature per le attività economiche.
Non dobbiamo quindi farci trarre in inganno: il basso rapporto capitale/reddito in America riflette una differenza di fondo nella struttura delle disuguaglianze sociali rispetto all’Europa. Il fatto che in America la totalità dei patrimoni rappresenti solo tre annualità di reddito nazionale contro più di sette in Europa, significa in concreto che nel Nuovo Mondo il peso dei proprietari e delle posizioni acquisite nel passato è meno importante. Con pochi anni di lavoro e di produzione è possibile colmare il divario patrimoniale iniziale tra i vari gruppi sociali – o quantomeno è possibile colmarlo più in fretta che in Europa.
Nel 1840 Tocqueville scrive molto giustamente che “negli Stati Uniti la quantità delle grandi ricchezze è molto piccola, e i capitali sono ancora rari”, vedendo in ciò una delle origini più evidenti di quello spirito democratico che secondo lui pervade l’America. Tocqueville aggiunge che tutto dipende, stando a quanto ha osservato, dal basso prezzo dei terreni agricoli: “In America la terra costa poco, e tutti possono diventare proprietari”.10 È l’ideale jeffersoniano di una società di piccoli proprietari terrieri, liberi e uguali.
Nel corso del XIX secolo, la situazione cambierà. La quota dell’agricoltura nella produzione complessiva diminuisce progressivamente, e il valore dei terreni agricoli diventa sempre più basso, come in Europa. Tuttavia gli Stati Uniti accumulano un sostanzioso stock di capitale immobiliare e industriale, per cui nel 1910 il capitale nazionale finisce per equivalere a poco meno di cinque annualità di reddito nazionale, contro le tre annualità nel 1810. Il divario rispetto alla vecchia Europa sussiste sempre, ma si è notevolmente ridotto: in un secolo si è dimezzato (cfr. grafico 4.6). L’America è diventata un paese capitalista, anche se negli Stati Uniti il peso del patrimonio continua a essere inferiore rispetto a quello dell’Europa nel periodo della belle époque, e ancora più ridotto se si considera l’immenso territorio americano nel suo insieme. Se si considera la sola East Coast, il divario si riduce ancora. Nel film Titanic il regista James Cameron mette in scena la struttura sociale americana del 1912, mostrandoci come tra i proprietari terrieri americani la brama di ricchezza – nonché l’arroganza e il disprezzo classista – sembri aver uguagliato quella dei proprietari europei: basti pensare all’odioso personaggio di Hockley, che vuole trascinare con sé la giovane Rose a Filadelfia e sposarla (per quanto lei, eroicamente, rifiuti di essere trattata come una proprietà, e diventi alla fine Rose Dawson). Anche i romanzi di Henry James, le cui vicende si svolgono tra Boston e New York dal 1880 al 1910, mettono in scena società in cui i patrimoni immobiliare, industriale e finanziario contano quasi quanto nei romanzi europei: i tempi, infatti, sono cambiati, non sono più quelli dell’America senza capitale dell’epoca dell’Indipendenza.
In ogni caso l’America viene investita molto meno violentemente dell’Europa dagli sconvolgimenti politici ed economici del XX secolo, per cui negli Stati Uniti il rapporto tra capitale nazionale e reddito nazionale si mantiene assai più stabile: dal 1910 al 2010 oscilla tra quattro e cinque annualità di reddito nazionale (cfr. grafico 4.6), mentre in Europa passa da più di sette annualità a meno di tre, per poi risalire a cinque-sei (cfr. grafici 3.1 e 3.2).
Naturalmente, anche i patrimoni americani subiscono i contraccolpi delle crisi esplose tra il 1914 e il 1945. Negli Stati Uniti l’indebitamento pubblico cresce moltissimo in conseguenza delle guerre – in particolare nel corso della seconda guerra mondiale –, il tutto a scapito del risparmio nazionale e in un contesto economico instabile: all’euforia degli anni venti segue la crisi degli anni trenta (Cameron racconta che l’odioso Hockley si suicida nell’ottobre del 1929). Inoltre gli Stati Uniti, sotto la presidenza di Roosevelt, per ridurre il peso del capitale privato, adottano lo stesso tipo di politiche pubbliche dell’Europa, come la regolamentazione degli affitti. Dopo la seconda guerra mondiale, la capitalizzazione immobiliare e dei mercati azionari si assestano su livelli storicamente bassi. In materia di fiscalità progressiva gli Stati Uniti si spingono molto più avanti dell’Europa, a riprova che gli americani si preoccupano più di ridurre le disuguaglianze che di sradicare la proprietà privata (torneremo più avanti sull’argomento). Il paese non adotta nessuna massiccia politica di nazionalizzazione. I primi investimenti pubblici importanti vengono tuttavia avviati solo a partire dagli anni trenta e quaranta del Novecento, in particolare nel settore delle infrastrutture. Negli anni cinquanta e sessanta l’inflazione e la crescita finiscono comunque per far scendere il debito pubblico a livelli modesti, per cui nel 1970 il patrimonio pubblico appare nettamente in attivo (cfr. grafico 4.7). Anche se, in definitiva, i patrimoni privati americani sono passati da cinque annualità circa di reddito nazionale nel 1930 a meno di tre annualità e mezza nel 1970 – il che, in ogni caso, rappresenta un calo tutt’altro che trascurabile (cfr. grafico 4.8).
Grafico 4.7.
La ricchezza pubblica negli Stati Uniti,
1770-2010
Negli Stati Uniti, nel 1950, i debiti pubblici equivalgono a 1 anno di reddito nazionale (indicativamente quanto gli attivi).
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
Grafico 4.8.
Capitale privato e pubblico negli Stati
Uniti, 1770-2010
Nel 2010 il capitale pubblico equivale al 20% del reddito nazionale, mentre è più del 400% per il capitale privato.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
Resta il fatto che la curva a U rovesciata seguita nel XX secolo dal rapporto capitale/reddito è negli Stati Uniti di un’ampiezza molto meno marcata che in Europa. Espresso in termini di annualità di reddito o di prodotto, il capitale sembra aver raggiunto in America, dall’inizio del XX secolo, una relativa stabilità – al punto che nei manuali americani (come quello di Samuelson) la stabilità del rapporto capitale/reddito o capitale/prodotto viene a volte considerata una legge universale. Al confronto, nel secolo scorso, l’Europa ha vissuto un rapporto estremamente caotico con il capitale, in particolare il rapporto con il capitale privato: è passata da un’idea in cui il patrimonio era assolutamente indiscutibile, come nel periodo della belle époque, al secondo dopoguerra, in cui ha dato l’idea di voler sradicare il capitalismo, a una situazione, all’inizio del XXI secolo, in cui il continente dà l’idea di volersi proporre come capofila del nuovo capitalismo patrimoniale, con patrimoni privati che hanno di nuovo superato quelli americani. Vedremo nel prossimo capitolo che il tutto è spiegabile con la bassa crescita economica e soprattutto demografica che caratterizza l’Europa in rapporto agli Stati Uniti, fattore che comporta automaticamente un maggior peso delle ricchezze accumulate nel passato. Comunque sia, è evidente che durante il secolo scorso l’America ha conosciuto un rapporto capitale/reddito molto più stabile di quello europeo, e ciò spiega forse la ragione per cui l’opinione pubblica americana dà l’impressione di avere un rapporto molto più disteso con il capitalismo.