La crescita: una diversificazione dei modelli di vita
Esaminiamo, per concludere, il caso dei servizi, per i quali la varietà delle situazioni è certo la più elevata. In linea di principio, le cose sono abbastanza chiare: la produttività, nel settore, è cresciuta con minor forza, per cui il potere d’acquisto espresso in servizi è aumentato meno nettamente. Il caso tipico di servizio “puro”, che non comporta alcuna innovazione tecnica palese nel corso dei secoli, è considerato quello dei parrucchieri: un taglio di capelli necessita oggi dello stesso tempo di lavoro richiesto all’inizio del secolo, per cui si è moltiplicato il costo di un parrucchiere per lo stesso coefficiente del salario dei parrucchieri, il quale è cresciuto a sua volta al ritmo del salario medio e del reddito medio (in linea di massima). In altri termini, lavorando un’ora, il salario medio di un parrucchiere di oggi equivale più o meno a quello di un parrucchiere di un secolo fa: in sostanza, si rileva che il potere d’acquisto espresso in termini di tagli di capelli non è aumentato, anzi, è leggermente diminuito.16
Tabella 2.4.
L’impiego per settore d’attività in Francia
e negli Stati Uniti, 1800-2012
Nel 2012 l’agricoltura equivaleva in Francia al 3% dell’impiego totale, contro il 21% dell’industria e il 76% dei servizi. Il settore delle costruzioni – nel 2012 il 7% dell’impiego in Francia – è stato incluso nell’industria (in Francia come negli Stati Uniti).
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
In realtà, la varietà dei casi è talmente elevata che la nozione stessa di “settore dei servizi” non ha più molto senso. La scomposizione in tre settori di attività – primaria, secondaria, terziaria – è stata concepita intorno alla metà del XX secolo, all’interno di società in cui ciascun settore raggruppava proporzioni analoghe – o quantomeno comparabili – dell’attività economica e della forza lavoro (cfr. tabella 2.4). Ma, a partire dal momento in cui i servizi raggruppano, in tutti i paesi sviluppati, il 70-80% della manodopera, vuol dire che una categoria statistica del genere finisce per non risultare più pertinente: nel senso che dà poche informazioni sulla natura dei mestieri e dei servizi prodotti nella società considerata.
Per orientarsi in questo enorme aggregato di attività, al cui sviluppo si deve in larga parte, a partire dal XIX secolo, il miglioramento delle condizioni di vita, conviene distinguere più blocchi. In primo luogo possiamo considerare i servizi relativi alla salute e alla scuola, che da soli, nei paesi più avanzati (nei quali tutti i settori industriali sono collegati), rappresentano il 20% dell’impiego totale – e tutto fa pensare, tenendo conto dei progressi della medicina e del continuo sviluppo degli studi superiori, che la percentuale sia destinata a crescere. Gli impieghi del commercio, di alberghi, bar e ristoranti, della cultura e del tempo libero, anch’essi in forte crescita, rappresentano ormai più del 20% dell’impiego totale (o anche più del 25% in determinati paesi). I servizi per le imprese (consulenza, contabilità, design, informatica ecc.), aggiunti ai servizi immobiliari e finanziari (agenzie immobiliari, banche, assicurazioni ecc.) e dei trasporti, sono anch’essi vicini al 20% dell’impiego totale. Se si aggiungono i servizi relativi alle necessità dello Stato e alla sicurezza (amministrazione generale, giustizia, polizia, esercito ecc.), vicini nella maggioranza dei paesi al 10% dell’impiego totale, si raggiunge più o meno il 70-80% rilevato dalle statistiche ufficiali.17
Precisiamo che una parte consistente di questi servizi, in particolare nei settori della sanità e della scuola, è finanziata dalle tasse dei contribuenti e fornita gratuitamente alla popolazione. Le modalità di finanziamento variano a seconda dei paesi, così come la quota esatta della componente finanziata con le tasse – quota più alta, per esempio, in Europa che negli Stati Uniti e in Giappone. Essa è comunque assai elevata in tutti i paesi sviluppati – in genere, almeno la metà del costo totale dei servizi sanitari e scolastici, oltre i tre quarti in molti paesi europei. Il che introduce, di fatto, nuove difficoltà e incertezze in merito alla misurazione e alla comparazione della crescita del tenore di vita sul lungo periodo e tra paese e paese. Non è affatto una questione di poco conto: a parte il fatto che i due settori rappresentano nei paesi più avanzati oltre il 20% del PIL e dell’impiego, percentuale destinata ad aumentare ulteriormente in futuro, è nella sanità e nella scuola che si ravvisano i miglioramenti più concreti e notevoli delle condizioni di vita nel corso degli ultimi secoli. A società in cui l’aspettativa di vita era di appena quarant’anni e in cui quasi tutti gli abitanti erano analfabeti, si sono sostituite società in cui la vita supera correntemente gli ottant’anni e in cui ciascun abitante dispone di un accesso minimo alla cultura.
Nei bilanci nazionali, il valore dei servizi pubblici gratuiti viene sempre stimato a partire dai costi di produzione coperti dalle amministrazioni pubbliche – e dunque, in buona sostanza, dai contribuenti. Tali costi includono in particolare la massa salariale versata al personale della sanità e agli insegnanti impiegati negli asili, nelle scuole e nelle università pubbliche. Il metodo ha dei difetti, ma è plausibile dal punto di vista logico, e in ogni caso è di gran lunga più soddisfacente del metodo che semplicemente esclude i servizi pubblici gratuiti dal calcolo del PIL e si concentra sulla sola produzione delle merci: esclusione di per sé assurda, poiché porta a sottovalutare in maniera del tutto artificiale il livelli di prodotto interno e di reddito nazionale dei paesi che scelgono un sistema sanitario e scolastico pubblico anziché un sistema privato – e non considera che i servizi a disposizione dei cittadini sono assolutamente gli stessi in entrambi i casi.
Il metodo utilizzato dai bilanci nazionali consente perlomeno di correggere il suddetto dislivello, anche se non è un metodo del tutto perfetto: in particolare, per il momento, non misura oggettivamente la qualità dei servizi resi (sono comunque previsti progressi in tal senso). Per esempio, se un sistema di assicurazione sanitaria privato costa più caro di un sistema pubblico, senza che la qualità delle cure prestate sia effettivamente superiore – come fa pensare il confronto tra Stati Uniti ed Europa –, il PIL, nei paesi che privilegiano un sistema privato, finisce per essere artificialmente sopravvalutato. Occorre anche notare che i bilanci nazionali scelgono per convenzione di non contabilizzare alcuna remunerazione per il capitale pubblico, tipo edifici e strutture ospedaliere o scolastiche o universitarie,18 con un’ovvia conseguenza: un paese che privatizza i servizi sanitari e scolastici vede aumentare artificialmente il suo PIL, anche se i servizi prestati e i salari versati al personale interessato restano esattamente gli stessi.19 Possiamo anche ritenere che questo metodo di valutazione basato sui costi porti a sottovalutare il “valore” di fondo dell’educazione o della salute, e di conseguenza la crescita raggiunta durante i periodi di ampia espansione scolastica e sanitaria.20
Non esistono dubbi, quindi, sul fatto che la crescita economica abbia contribuito a migliorare in misura notevole le condizioni di vita sul lungo periodo, con – secondo le più accreditate stime disponibili – una moltiplicazione per dieci (e oltre) del reddito medio a livello mondiale tra il 1700 e il 2012 (da 70 euro mensili a 760) e per venti (e oltre) nei paesi più ricchi (da 100 euro mensili a 2500). Se però teniamo conto delle difficoltà legate al calcolo di trasformazioni tanto radicali, soprattutto se cerchiamo di sintetizzarle in un indicatore unico, dobbiamo ribadire che cifre del genere non vanno in alcun modo sopravvalutate, anzi, vanno considerate dei semplici valori di grandezza.