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MERITO ED EREDITÀ SUL LUNGO PERIODO
Ora sappiamo che l’importanza globale del capitale non è, in questo inizio di XXI secolo, tanto differente da quella del XVIII. È mutata solo la forma: allora il capitale era terriero, oggi è divenuto immobiliare, industriale e finanziario. Sappiamo anche che la concentrazione dei patrimoni resta altissima, anche se molto meno elevata rispetto a un secolo fa o ai secoli passati. La metà più povera non possiede nulla, ma oggi esiste una classe media patrimoniale che possiede tra un quarto e un terzo dei patrimoni, e il 10% più ricco ne possiede due terzi, mentre prima ne possedeva nove decimi. Abbiamo visto, inoltre, che i processi paralleli del rendimento del capitale e del tasso di crescita, nonché quello della disuguaglianza r > g, ci aiutano a dar conto di una parte importante degli sviluppi in esame, in particolare della logica cumulativa che spiega le fortissime concentrazioni patrimoniali osservate nella storia.
Per meglio comprendere questa logica cumulativa, dobbiamo però studiare direttamente la crescita a lungo termine dell’importanza dell’eredità e del risparmio nella composizione dei patrimoni. Si tratta di un problema di fondo, poiché, in assoluto, un uguale livello di concentrazione patrimoniale può benissimo rimandare a realtà completamente diverse. Potrebbe darsi il caso che il livello globale del capitale sia rimasto lo stesso ma che la sua natura profonda si sia del tutto trasformata, per esempio per il fatto di essere passati da un capitale in gran parte ereditario a un capitale frutto dei risparmi di un’intera vita a partire da redditi da lavoro. Una possibile spiegazione, spesso ricordata per motivare un tale cambiamento, può essere quella dell’allungamento dell’aspettativa di vita, suscettibile di una crescita strutturale dell’accumulazione del capitale in vista della pensione. Vedremo però come questa trasformazione della natura del capitale, certo notevole, sia stata in realtà meno forte di quanto si pensasse, e come in determinati paesi non sia addirittura avvenuta. Per cui, verosimilmente, sarà l’eredità a svolgere, nel XXI secolo, un ruolo decisivo, paragonabile a quello già svolto in passato.
In termini ancora più precisi, la nostra conclusione sarà la seguente: nella misura in cui il tasso di rendimento da capitale è molto più alto del tasso di crescita dell’economia (r > g), e se si mantiene tale nel corso del tempo, è pressoché inevitabile che l’eredità, ossia i patrimoni frutto del passato, prevalga sul risparmio, ossia sui patrimoni frutto del presente. Da un punto vista strettamente teorico, le cose potrebbero andare in modo diverso, ma le forze che spingono in questa direzione sono enormemente superiori. La disuguaglianza r > g sta a significare, in un certo modo, che il passato tende a divorare il futuro: le ricchezze provenienti dal passato crescono automaticamente, molto più in fretta – e senza dover lavorare – delle ricchezze prodotte dal lavoro, sul cui fondamento è possibile risparmiare. Il che, quasi inevitabilmente, porta ad assegnare un’importanza smisurata e duratura alle disuguaglianze costituitesi nel passato, e dunque all’eredità.
Quanto più il XXI secolo si caratterizzerà per una diminuzione della crescita (demografica ed economica) e per il rendimento elevato del capitale (in un contesto di spietata concorrenza tra paesi, onde attirare capitali), perlomeno nei paesi in cui si produrrà un tale sviluppo, tanto più l’eredità riacquisterà un’importanza analoga a quella che ha avuto nel XIX secolo. Una tendenza del genere è già chiaramente visibile in Francia e in parecchi paesi europei, nei quali, durante gli ultimi decenni, la crescita si è ridotta di parecchio. Mentre, per il momento, è meno pronunciata negli Stati Uniti, per effetto, se non altro, di una crescita demografica più sostenuta che in Europa. Se però, nel corso del XXI secolo, il livello di crescita finirà per abbassarsi un po’ ovunque, come fanno pensare sia le previsioni demografiche globali delle Nazioni Unite sia alcune previsioni prettamente economiche, il sopravvento dell’eredità sul frutto del lavoro riguarderà verosimilmente l’intero pianeta.
Ciò non significa che nel XXI secolo la struttura delle disuguaglianze sarà la medesima del XIX, un po’ perché la concentrazione patrimoniale è meno estrema (ci saranno sicuramente più rentiers piccoli e medi e meno rentiers grandi, quantomeno nell’immediato), un po’ perché la gerarchia dei redditi da lavoro tende ad allargarsi (l’ascesa dei superdirigenti) e un po’ perché le due realtà sono molto più collegate tra loro di un tempo. Nel XXI secolo si può essere al contempo superdirigenti e rentiers di media grandezza: d’altronde è il nuovo ordine meritocratico a favorire la conciliazione delle due identità, sicuramente a scapito del lavoratore piccolo e medio, soprattutto se detentore di una rendita esigua.