A che cosa serve l’imposta sul capitale?
Supponiamo ora di disporre delle dichiarazioni precompilate dei patrimoni. Dobbiamo limitarci a imporre ai patrimoni un tasso molto ridotto (per esempio dello 0,1%, seguendo la logica del diritto di registrazione), oppure conviene applicare tassi più sostanziosi? Ma in nome di quale logica? Proviamo a riformulare la domanda in un altro modo. Sapendo che esiste un’imposta progressiva sul reddito e, nella maggioranza dei paesi, un’imposta progressiva sulle successioni, a che cosa serve avere anche un’imposta progressiva sul capitale? In realtà, a mio parere, le tre imposte progressive rivestono ruoli diversi e complementari, e costituiscono ai miei occhi le tre componenti essenziali di un sistema fiscale ideale.11 A giustificazione di un’imposta sul capitale si possono distinguere due logiche: una logica contributiva e una logica incentivante.
La logica contributiva deriva semplicemente dal fatto che il reddito è un concetto spesso non ben definito per le persone che dispongono di patrimoni molto elevati, e che solo un’imposta diretta sul capitale le renderà consapevoli, in modo corretto, della capacità contributiva di chi è titolare di ricchezze rilevanti. In concreto, pensiamo a una persona che disponga di un patrimonio di 10 miliardi di euro. Come s’è visto esaminando l’elaborazione delle classifiche Forbes, i patrimoni di questo livello sono notevolmente aumentati nel corso degli ultimi tre decenni, con tassi di crescita reali del 6-7% annuo, o anche superiori per le posizioni nella parte alta della classifica (tipo quelle di Liliane Bettencourt e di Bill Gates).12 Per definizione, ciò significa che il reddito in senso economico – includendo tutti i dividendi e le plusvalenze, e più in generale tutte le nuove risorse di cui le persone interessate hanno potuto disporre ogni anno per finanziare i propri consumi e accrescere il proprio patrimonio – è stato nel periodo considerato almeno pari al 6-7% della loro ricchezza (supponendo che il loro consumo sia quasi zero)13. Immaginiamo, per semplificare, che la persona considerata disponga ogni anno di un reddito economico pari al 5% della sua ricchezza, calcolabile in 10 miliardi di euro, quindi di un reddito annuo di 500 milioni di euro. È poco probabile che il reddito fiscale di questa persona, quello che figura nella sua dichiarazione dei redditi, sia così elevato. In Francia, negli Stati Uniti e in tutti i paesi studiati, i redditi più alti dichiarati nel quadro dell’imposta sul reddito non sono superiori, in genere, a poche decine di milioni di euro. Secondo le informazioni giornalistiche, e le somme che la stampa ha rivelato circa l’ammontare delle loro imposte, sembrerebbe per esempio che il reddito fiscale dichiarato dall’erede L’Oréal, prima in classifica da anni per la ricchezza, non abbia mai superato i 5 milioni di euro annui, cioè poco più di un decimillesimo della sua ricchezza (la quale supera oggi i 30 miliardi di euro). Al di là delle inesattezze e dei dettagli sul caso in questione, di per sé poco rappresentativo, conta il fatto che il reddito fiscale equivalga in un caso del genere a meno di un centesimo del reddito economico.14
Il punto essenziale è che una tale realtà non ha, di solito, nulla a che vedere con la frode fiscale o con conti in Svizzera non dichiarati (o quantomeno non in prima istanza). Deriva semplicemente dal fatto che, anche vivendo con gusto ed eleganza, non è facile spendere 500 milioni di euro l’anno per finanziare i propri consumi correnti. In genere, basta versare alcuni milioni di euro annui in dividendi (o in altra forma) e lasciare che il resto del rendimento del patrimonio si accumuli in una holding di famiglia o in una struttura giuridica ad hoc, il cui compito è appunto quello di gestire un patrimonio di tale importanza, come succede per le dotazioni universitarie. Il tutto è perfettamente legittimo e non pone di per sé alcun problema.15 A patto però che se ne traggano le conseguenze per il sistema fiscale. È evidente che se determinate persone vengono tassate in base a un reddito fiscale pari a un centesimo del loro reddito economico, o anche pari a un decimo del loro reddito economico, non servirà a nulla applicare un tasso del 50% o anche del 98% a un imponibile così insignificante. Il problema è che, in pratica, è così che funziona il sistema fiscale in tutti i paesi sviluppati. Risultano ai vertici della gerarchia delle ricchezze, tassi effettivi d’imposta (espressi in percentuale del reddito economico) estremamente ridotti, ed è un problema grave, perché il fatto che il rendimento cresca in proporzione al patrimonio di partenza – quando il sistema fiscale dovrebbe invece attenuare una logica tanto disuguale – accentua il carattere esplosivo della dinamica delle disuguaglianze patrimoniali.
Esistono alcuni modi per risolvere questo problema. Uno consiste nell’integrare nel reddito fiscale individuale l’insieme dei redditi che si accumulano nelle holding, nei trust funds o nelle società in cui ciascuno abbia una partecipazione, proporzionata alla partecipazione stessa. Un altro, più semplice, consiste nel fondarsi, per calcolare l’imposta dovuta, sul valore del patrimonio in questione. Nel caso, si può scegliere di applicare un rendimento forfettario (per esempio il 5% annuo) per stimare il reddito teorico maturato dal capitale in oggetto, e integrare il reddito teorico nel reddito globale soggetto all’imposta progressiva sul reddito. Alcuni paesi, come l’Olanda, hanno cercato di seguire questa strada, incontrando però varie difficoltà, soprattutto in merito all’ampiezza degli attivi coperti e alla scelta del rendimento da applicare.16 Un altro modo ancora consiste nell’applicare direttamente una scala di tassi progressiva al patrimonio globale individuale: in altri termini, l’imposta progressiva sul patrimonio globale. Il considerevole vantaggio di questa soluzione è che consente di graduare il tasso d’imposta in base al livello della ricchezza in questione, e soprattutto in base ai tassi di rendimento effettivamente osservati, in quella stessa fascia di patrimonio.
Data l’escalation dei rendimenti riscontrata ai vertici della classifica dei patrimoni, l’argomento contributivo è, in merito all’imposta progressiva sul capitale, l’argomento decisivo. Secondo la logica che lo sottende, il capitale è semplicemente il migliore indicatore – più efficace del reddito, difficile da misurare –, della capacità contributiva delle persone più fortunate. L’imposta sul capitale serve insomma a integrare l’imposta sul reddito per tutte quelle persone il cui reddito fiscale appare manifestamente insufficiente se comparato al loro patrimonio.17