Fattori di convergenza, fattori di divergenza

Ora, la questione cruciale è che il fattore ugualitario, per quanto importante sia, in particolare per consentire la convergenza tra paesi diversi, possa essere a volte controbilanciato e dominato da potenti fattori di segno opposto, operanti nel senso della divergenza, vale a dire dell’allargamento e della moltiplicazione delle disuguaglianze. L’assenza di un investimento adeguato nella formazione può impedire a interi gruppi sociali di accedere ai benefici della crescita, o può determinarne la discesa nella scala sociale rispetto a nuovi soggetti entranti, com’è dimostrato dal riequilibrio mondiale attualmente in corso (gli operai cinesi prendono il posto degli operai americani e francesi, e così via). In altri termini, il principale fattore di convergenza – la diffusione delle conoscenze – è soltanto in parte un fattore naturale e spontaneo: esso dipende in larga parte dalle politiche condotte in materia di educazione e di accesso alla formazione e alle competenze adeguate, e dalle istituzioni preposte.

Nel contesto del libro, porremo inoltre l’accento su fattori di divergenza ancor più inquietanti, poiché possono determinarsi in un mondo in cui tutti gli investimenti adeguati per la maturazione delle competenze potrebbero essere già avvenuti, e in cui tutte le condizioni di efficienza dell’economia di mercato – nell’accezione data dagli economisti – appaiano realizzate. Questi fattori di divergenza sono principalmente due: il primo è il processo di allontanamento, scollamento, delle retribuzioni più elevate rispetto alle altre, un fenomeno che potrà essere molto rilevante, benché per il momento sia abbastanza localizzato; il secondo, ancora più grave, è l’affermazione di una serie di squilibri legati al processo di accumulazione e concentrazione dei patrimoni, in un mondo caratterizzato da una crescita debole e da un rendimento elevato del capitale. Il secondo può risultare anche più destabilizzante del primo, e costituisce senza dubbio la minaccia numero uno per la dinamica della distribuzione delle ricchezze a lunghissimo termine.

Entriamo ora nel vivo della questione. Nei grafici I.1 e I.2 abbiamo rappresentato due indicatori fondamentali che cercheremo di comprendere e che illustrano la potenziale importanza di questi processi di divergenza. Entrambe le rappresentazioni disegnano una curva a U, decrescita e poi crescita, e si potrebbe pensare che corrispondano a realtà similari. Invece non è così: queste rimandano a fenomeni del tutto diversi, basati su meccanismi economici, sociali e politici ben distinti. Inoltre, la prima riguarda innanzitutto gli Stati Uniti, la seconda soprattutto l’Europa e il Giappone. Non è sicuramente escluso che nel corso del XXI secolo le due evoluzioni e quindi i due fattori di divergenza finiscano per sovrapporsi negli stessi paesi – di fatto vedremo che la cosa sta già avvenendo – o a livello planetario, il che potrebbe portare a livelli di disuguaglianza finora sconosciuti, in particolare a una struttura delle disuguaglianze radicalmente nuova. Per il momento, comunque, i due indicatori, di per sé impressionanti, corrispondono nella loro sostanza a due fenomeni distinti.

Il primo indicatore, rappresentato nel grafico I.1, indica la curva seguita dalla quota del decile superiore della gerarchia dei redditi nella distribuzione del reddito nazionale americano durante il secolo successivo al 1910. Si tratta semplicemente dell’estensione delle classi storiche di reddito fissate da Kuznets negli anni cinquanta. E vi ritroviamo, di fatto, la forte compressione delle disuguaglianze osservata dallo stesso Kuznets tra il 1913 e il 1948, ossia un calo di 15 punti di reddito nazionale per quanto riguarda la quota compresa nel decile superiore, equivalente al 45-50% del reddito nazionale relativo al periodo dal 1910 al 1920, percentuale scesa poi al 30-35% alla fine degli anni quaranta. La disuguaglianza si stabilizzerà a tale livello tra il 1950 e il 1970. Dopodiché, a partire dagli anni settanta e ottanta, si osserva un rapidissimo processo in senso inverso, al punto che la parte compresa nel decile superiore torna, nel decennio tra il 2000 e il 2010, a un livello del 45-50% del reddito nazionale. L’ampiezza dell’inversione è notevolissima. Per cui viene naturale chiedersi fin dove possa spingersi una tendenza del genere.

Vedremo che un’evoluzione tanto spettacolare corrisponde in larga parte all’esplosione senza precedenti dei più alti redditi da lavoro, e che riflette innanzitutto un fenomeno oggi ben visibile: un numero crescente di alti dirigenti delle grandi imprese sta prendendo il sopravvento. Una prima possibile spiegazione può essere un’improvvisa ascesa dei livelli di qualificazione e di produttività degli alti dirigenti rispetto alla massa degli altri salariati. Una seconda spiegazione, a mio avviso più plausibile e più coerente con i fatti osservati, è che sono gli stessi alti dirigenti in larga misura a fissare le proprie retribuzioni, a volte senza alcun contegno, e spesso senza un chiaro rapporto con la produttività individuale, molto difficile da stimare nell’ambito di aziende di grandi dimensioni.

Grafico I.1.
La disuguaglianza dei redditi negli Stati Uniti, 1910-2010

La quota del decile superiore nella ripartizione del reddito nazionale è passata dal 45%-50% nel decennio 1910-20 a meno del 35% negli anni cinquanta (si tratta della compressione rilevata da Kuznets); per poi risalire da meno del 35% negli anni settanta al 45%-50% nel decennio 2000-10.
Fonti e classi di reddito: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
Il capitale nel XXI secolo
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