L’affermazione della classe media patrimoniale
Il doppio interrogativo che non può non assillarci è pertanto il seguente. Perché le disuguaglianze patrimoniali sono state così estreme – e in crescita costante – fino alla prima guerra mondiale? E perché, malgrado i patrimoni nel loro complesso abbiano ritrovato, all’inizio del XXI secolo, la stessa prosperità dell’inizio del XX secolo (come mostra la crescita del rapporto capitale/reddito), la concentrazione del capitale è oggi nettamente inferiore ai record storici? Due interrogativi che ne richiamano un terzo: siamo sicuri che le nostre risposte saranno definitive e incontrovertibili?
In effetti, la seconda conclusione che si ricava con la massima chiarezza dai dati francesi rappresentati nel grafico 10.1 è che la concentrazione dei patrimoni, come quella dei redditi derivati dai patrimoni, non si è mai del tutto ripresa dai contraccolpi subiti nel periodo 1914-45. La quota del decile superiore, che negli anni dieci del Novecento raggiungeva il 90% del patrimonio totale, è scesa tra gli anni cinquanta e settanta al 60-70%; la quota del centile superiore ha registrato una caduta ancora più forte, passando dal 60% degli anni dieci al 20-30% degli anni cinquanta-settanta. Rispetto alle tendenze anteriori al primo conflitto mondiale, la discontinuità è notevole. A partire dagli anni ottanta-novanta, le disuguaglianze patrimoniali hanno sì ripreso a crescere – e vedremo come la globalizzazione finanziaria renda sempre più difficile la stima dei patrimoni e della loro distribuzione nel quadro nazionale, per cui la disuguaglianza del capitale nel XXI secolo dovrà sempre più misurarsi a livello mondiale –, ma, per quanto imprecise siano, in ogni caso sono nettamente inferiori a quelle di un secolo fa: oggi, per il decile superiore, esse si aggirano attorno al 60-65%, una percentuale certo elevata ma molto inferiore a quella della belle époque. La differenza fondamentale è che oggi esiste una classe media patrimoniale che possiede circa un terzo del patrimonio nazionale, che non è affatto poco.
Anche i dati disponibili per gli altri paesi europei confermano che si tratta di un fenomeno generale. Nel Regno Unito, la quota del decile superiore è passata da oltre il 90% alla vigilia del primo conflitto mondiale a circa il 60-65% negli anni settanta, e oggi si aggira sul 70%; la quota del centile superiore si è più che dimezzata dopo i dissesti del XX secolo, passando da quasi il 70% negli anni dieci a poco più del 20% negli anni settanta, per assestarsi oggi sul 25-30% (cfr. grafico 10.3). In Svezia i livelli di concentrazione da capitale sono sempre un po’ più bassi che nel Regno Unito, ma la traiettoria d’insieme è sostanzialmente simile (cfr. grafico 10.4). In ogni caso, si constata che la forte flessione del 10% più ricco della gerarchia delle ricchezze è stata essenzialmente a beneficio della classe media patrimoniale (quella che abbiamo definito il restante 40%), e non della metà più povera della popolazione, la cui quota nella composizione del patrimonio totale è sempre stata esigua (in genere attorno al 5%), Svezia compresa (dove non ha mai superato il 10%). In certi casi, in particolare nel Regno Unito, si rileva che la flessione dell’1% più ricco ha favorito in maniera non trascurabile il residuo 9% del decile superiore. Comunque, al di là delle peculiarità nazionali, ciò che colpisce è la sostanziale vicinanza tra le varie traiettorie europee. E la trasformazione strutturale più importante è appunto la comparsa di una fascia intermedia che equivale più o meno alla metà della popolazione, una metà costituita da persone che sono riuscite ad accedere al patrimonio e che, nel complesso, detengono tra un quarto e un terzo del patrimonio nazionale.