Le metamorfosi del capitale nel Regno Unito e in Francia

Per proseguire nel nostro ragionamento, cominciamo a studiare le trasformazioni della struttura del capitale nel Regno Unito e in Francia dopo il XVIII secolo. Si tratta dei due paesi per i quali disponiamo di un maggior numero di fonti storiche e per i quali abbiamo potuto ricostruire le stime più complete e più omogenee sul lungo periodo. I principali risultati ottenuti sono rappresentati nei grafici 3.1 e 3.2, nei quali si cercano di sintetizzare alcuni aspetti di fondo di tre secoli di storia del capitalismo. Due conclusioni appaiono chiaramente.

Innanzitutto, è evidente che il rapporto capitale/reddito ha seguito nei due paesi ritmi di crescita o decrescita estremamente vicini, con una relativa stabilità nel XVIII e nel XIX secolo, seguita da una fase di grave crisi nel XX, per poi tornare, all’inizio del XXI, a livelli vicini a quelli riscontrabili alla vigilia delle due guerre mondiali. In entrambi i paesi, il valore totale del reddito nazionale equivale per tutto il XVIII e il XIX secolo, fino al 1914, a circa sei-sette annualità di reddito nazionale. Dopodiché il rapporto capitale/reddito crolla bruscamente in conseguenza della prima guerra mondiale, delle crisi del periodo tra le due guerre e della seconda guerra mondiale, al punto che il capitale nazionale, negli anni cinquanta, non equivale a più di due-tre annualità di reddito nazionale. Dopo gli anni cinquanta il rapporto capitale/reddito riprende a salire e da allora a oggi non ha più smesso di crescere. Nei due paesi, il valore totale del capitale nazionale si colloca oggi attorno alle cinque-sei annualità di reddito nazionale – in Francia a poco più di sei –, mentre negli anni ottanta dello scorso secolo equivaleva a meno di quattro e negli anni cinquanta a poco più di due. Una valutazione precisa è illusoria, ma l’evoluzione generale è comunque chiarissima.

Grafico 3.1.
Il capitale nel Regno Unito, 1700-2010

Nel Regno Unito, nel 1700, il capitale nazionale equivale a circa 7 annualità di reddito nazionale (4 delle quali in terreni agricoli).
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.

Grafico 3.2.
Il capitale in Francia, 1700-2010

In Francia, nel 1910, il capitale nazionale equivale a quasi 7 annualità di reddito nazionale (1 delle quali collocata all’estero).
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.

Il secolo scorso si caratterizza dunque per una spettacolare curva a U. Il rapporto capitale/reddito si è diviso di circa un terzo nel periodo 1914-1945, per poi moltiplicarsi per più di due tra il 1945 e il 2012.

Si tratta di variazioni di enorme ampiezza, contestuali ai violenti conflitti militari, politici ed economici che hanno segnato il XX secolo, in particolare in materia di capitale, proprietà privata e distribuzione mondiale delle ricchezze. Al confronto, i secoli XVIII e XIX appaiono oasi di pace.

Dopodiché, il rapporto capitale/reddito dal 2010 è praticamente ritornato sui livelli del periodo precedente la prima guerra mondiale. Anzi, se si divide lo stock di capitale per il reddito a disposizione delle famiglie, e non per il reddito nazionale – scelta metodologica discutibile, come vedremo più avanti –, si può dire che lo abbia superato. In ogni caso, malgrado le possibili imperfezioni e inesattezze dei dati disponibili, non c’è dubbio che tra il 1990 e il 2000, sulla scia di un processo di crescita iniziato negli anni cinquanta, sia maturata una prosperità patrimoniale che non si conosceva dai tempi della belle époque. Il capitale che, verso la metà del XX secolo era praticamente scomparso, sembra oggi, all’inizio del XXI secolo, sul punto di tornare sugli alti livelli del XVIII e il XIX secolo. I patrimoni hanno recuperato l’aspetto florido che hanno sempre avuto. In definitiva, sono state le guerre del XX secolo a fare tabula rasa del passato e a dare in larga misura l’illusione di un superamento strutturale del capitalismo.

Va anche detto che la crescita del livello globale del rapporto capitale/reddito, per quanto rilevante, non deve comunque far dimenticare le profonde trasformazioni intervenute nella composizione del capitale dopo il 1700. Si tratta della seconda delle due conclusioni annunciate, chiaramente illustrate dai grafici 3.1 e 3.2: a parte gli attivi in questione, il capitale del XXI secolo non ha molto a che vedere con quello del XVIII secolo. Le evoluzioni osservate sono praticamente analoghe nel Regno Unito e in Francia. Per semplificare, possiamo dire che sul lunghissimo periodo i terreni agricoli sono stati progressivamente sostituiti dalle proprietà immobiliari e dal capitale di rischio e finanziario investito in imprese e amministrazioni pubbliche – senza che, con ciò, sia veramente cambiato il valore globale del capitale, calcolato in annualità di reddito nazionale.

Più in dettaglio, ricordiamo che il capitale nazionale – di cui ripercorriamo l’evoluzione nei grafici 3.1 e 3.2 – è per definizione la somma del capitale privato e del capitale pubblico. I debiti pubblici, calcolati come valore attivo per il settore privato e valore passivo per il settore pubblico, finiscono dunque per annullarsi (sempre che ogni paese possieda il proprio debito pubblico). Li reintrodurremo, nella nostra analisi, un po’ più avanti. Come abbiamo notato nel capitolo 1, il capitale nazionale così definito può scomporsi in capitale interno e capitale estero netto. Il capitale interno quantifica il valore dello stock di capitale (immobili, imprese ecc.) collocato sul territorio del paese considerato. Il capitale estero netto – o attivi esteri netti – quantifica la posizione patrimoniale del paese considerato rispetto al resto del mondo, vale a dire la differenza tra gli attivi in possesso dei residenti del paese nel resto del mondo e quelli in possesso del resto del mondo nel paese in questione (compresi quelli rappresentati da titoli di Stato, del debito pubblico).

A prima vista, il capitale interno può a sua volta scomporsi in tre categorie: terreni agricoli; abitazioni (case e immobili d’abitazione, compreso il valore dei terreni annessi); altro capitale interno, categoria che comprende in particolare i capitali utilizzati dalle imprese e dalle amministrazioni pubbliche (immobili ed edifici a uso economico – compresi i terreni annessi –, attrezzature, macchinari, computer, brevetti ecc.), valutati come tutti gli altri attivi secondo il valore di mercato, per esempio il valore delle azioni nel caso di una società per azioni. In questo modo otteniamo la seguente scomposizione del capitale nazionale, che è poi quella che abbiamo utilizzato per stabilire i grafici 3.1 e 3.2:

Capitale nazionale = terreni agricoli + abitazioni + altro capitale interno + capitale estero netto

Si deduce che il valore totale dei terreni agricoli equivarrebbe, all’inizio del XVIII secolo, a quattro-cinque annualità di reddito nazionale, ovvero a circa due terzi del capitale nazionale. Tre secoli dopo, i terreni agricoli valgono, in Francia e nel Regno Unito meno del 10% del reddito nazionale, e rappresentano meno del 2% del patrimonio totale. La curva descritta è sì straordinaria, ma tutt’altro che sorprendente: nel XVIII secolo l’agricoltura costituiva quasi i tre quarti dell’attività economica e dell’occupazione, contro le percentuali minime di oggi. È perciò naturale che il peso del capitale corrispondente abbia seguito una curva analoga.

Il crollo del valore dei terreni agricoli – rispetto al reddito nazionale e al capitale nazionale – è stato compensato per un verso dalla crescita del valore delle abitazioni, passato da appena un’annualità di reddito nazionale nel XVIII secolo a più di tre annualità oggi, per l’altro dalla crescita del valore degli altri capitali interni, che ha registrato una curva di analoga ampiezza (leggermente meno forte: un’annualità e mezza di reddito nazionale nel XVIII secolo, un po’ meno di tre oggi).1

Questa trasformazione strutturale di lunghissimo termine illustra, nel corso del processo di sviluppo economico,2 sia la crescente importanza dell’immobile a uso abitativo – in quanto a estensione, qualità e valore – sia il crescente e altrettanto forte accumulo, dopo la Rivoluzione industriale, di immobili a destinazione produttiva, attrezzature, macchinari, depositi, uffici, strumenti, capitali materiali e immateriali, utilizzati dalle imprese e dalle amministrazioni pubbliche per produrre ogni tipo di bene e servizio non agricolo.3 Il capitale ha cambiato natura – prima era terriero, ora è diventato immobiliare, industriale e finanziario –, ma non ha perduto nulla della sua importanza.

Il capitale nel XXI secolo
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