Divergenza internazionale, divergenza oligarchica

A ogni modo, la minaccia di una divergenza internazionale legata all’eventuale conquista dei paesi ricchi da parte della Cina (o dai fondi petroliferi) sembra molto meno credibile e pericolosa di una divergenza di tipo oligarchico, ossia di un processo in cui i paesi ricchi diventino proprietà dei loro stessi miliardari o, più in generale, in cui l’insieme dei paesi – compresa la Cina e i paesi produttori di petrolio – diventi proprietà dei miliardari e degli altri multimilionari dell’intero pianeta. Come abbiamo visto prima, si tratta di una tendenza già bene avviata. Con il calo programmato del tasso di crescita mondiale, e la concorrenza sempre più intensa tra paese e paese per attirare capitali, tutto fa pensare che la disuguaglianza r > g si accentuerà nel secolo che si è appena aperto. Se si aggiunge a questa prima disuguaglianza l’altra disuguaglianza del rendimento da capitale in rapporto al volume di capitale iniziale – che la crescente complessità dei mercati finanziari globalizzati può tendere a incrementare –, si vede bene che esistono tutti gli ingredienti perché la quota del centile e del millile superiori della gerarchia mondiale dei patrimoni nella composizione del capitale del pianeta tocchi livelli mai visti. È molto difficile dire a quale ritmo si produrrà la divergenza. Ma, in tutti i casi, il rischio di una divergenza oligarchica sembra molto più elevato di quello di una divergenza internazionale.48

Occorre però insistere sul fatto che la paura di una conquista da parte della Cina è, per il momento, una paura del tutto immaginaria. I paesi ricchi sono in realtà molto più ricchi di quanto essi stessi pensino. La totalità dei patrimoni immobiliari e finanziari, al netto dei debiti, detenuti dalle famiglie europee equivale oggi a qualcosa come 70.000 miliardi di euro. Mentre la totalità delle attività detenute dai vari fondi sovrani cinesi e dalle riserve della Banca della Cina equivale a circa 3000 miliardi di euro, ossia è più di venti volte inferiore.49 I paesi ricchi non sono sul punto di essere conquistati dai paesi poveri: i quali, per farlo, dovrebbero prima arricchirsi, il che richiederà ancora molti decenni.

Da dove deriva allora l’attuale paura, l’attuale senso di spossessamento, in gran parte irrazionale? È un timore senz’altro spiegabile con la tendenza universale a cercare altrove i responsabili delle proprie difficoltà interne. Per esempio, in Francia, a volte si pensa che l’impennata dei prezzi dell’immobiliare parigino vada imputata ai ricchi compratori stranieri. Ora, se si analizza la curva delle transazioni in rapporto all’identità dei compratori e al tipo di appartamento, si constata che l’aumento del numero dei compratori stranieri (o residenti all’estero) spiega solo il 3% del rialzo dei prezzi. In altri termini, gli altissimi livelli di investimento immobiliare osservabili oggi sono motivati al 97% dall’esistenza di un numero abbastanza elevato e abbastanza ricco di compratori francesi, o di residenti in Francia, in grado di sostenere spese del genere.50

Mi pare insomma che il senso di spossessamento si spieghi prima di tutto con il fatto che i patrimoni sono, all’interno dei paesi ricchi, alquanto concentrati (per una buona parte della popolazione il capitale è un’astrazione), e che sia già ampiamente iniziato l’esodo politico dei patrimoni più consistenti. Per gran parte degli abitanti dei paesi ricchi, in particolare in Europa e in Francia, l’idea secondo cui le famiglie europee detengono un capitale venti volte superiore a quello detenuto dalle riserve cinesi sembra abbastanza astratta, proprio perché si tratta di patrimoni privati e non di fondi sovrani subito disponibili, per esempio per aiutare la Grecia, come ha amabilmente proposto di fare la Cina negli ultimi anni. Eppure questi patrimoni privati sono una realtà concreta, e se i governi dell’Unione Europea decidessero in tal senso, diventerebbe subito possibile metterli a disposizione. Il problema è che è molto difficile, per un governo preso isolatamente, regolare o imporre patrimoni e redditi. Il senso d’impotenza che affligge oggi i paesi ricchi, e i paesi europei in particolare – il cui territorio si trova spezzettato in tanti piccoli Stati tra loro concorrenti perché divisi dall’esigenza, penalizzante, di attrarre capitali –, discende secondo noi proprio da questa perdita di sovranità democratica. E concorre ad aumentarlo anche la crescita molto forte delle posizioni finanziarie lorde tra i vari paesi, ciascuno dei quali si sente sempre meno proprietario di se stesso e sempre più proprietà dei paesi vicini, come abbiamo visto nel capitolo 5.

Nella Parte quarta del volume vedremo in quale misura un’imposta mondiale – o quantomeno europea – sul capitale possa rappresentare uno strumento adatto a superare queste contraddizioni, e quali altre risposte possano dare i governi che dovranno affrontare una tale realtà. Precisiamo subito che la divergenza oligarchica non è soltanto più probabile della divergenza internazionale, ma è anche più difficile da combattere, poiché richiede un alto grado di coordinamento internazionale tra paesi solitamente abituati a farsi concorrenza. D’altra parte, l’esodo patrimoniale tende a cancellare il concetto stesso di nazionalità, dato che i più fortunati possono per così dire andarsene con il loro patrimonio e cambiare nazionalità, fino a cancellare ogni traccia della comunità d’origine. Solo una risposta coordinata a livello macroregionale aiuterà a superare una difficoltà del genere.

Il capitale nel XXI secolo
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