L’imposta progressiva nel XX secolo: l’effimero prodotto del caos

Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire meglio come si sia arrivati fin qui. Innanzitutto, è importante comprendere che l’imposta progressiva, nel XX secolo, è stata il prodotto delle guerre almeno quanto lo è stata la democrazia. L’imposta progressiva è stata varata, quasi ovunque, in una situazione di caos e di improvvisazione, il che spiega almeno in parte perché non sia stata abbastanza valutata in tutti i compiti a essa assegnati e perché oggi sia rimessa in discussione.

In molti paesi l’imposta progressiva sul reddito è stata istituita prima dello scoppio della prima guerra mondiale. A parte il caso della Francia, dove il voto della legge del 15 luglio 1914 che vara l’imposta generale sul reddito è esplicitamente dettato dagli imperativi finanziari del conflitto che si annuncia (la legge era da anni insabbiata al senato, e solo l’imminenza della dichiarazione di guerra sblocca la situazione),11 il varo della legge avviene generalmente “a freddo”, nel quadro della normale dialettica delle istituzioni parlamentari, come nel 1909 nel Regno Unito e nel 1913 negli Stati Uniti. Nell’Europa del Nord, in molti Länder tedeschi, in Giappone, la creazione dell’imposta progressiva sul reddito è ancora più precoce: nel 1870 in Danimarca, nel 1887 in Giappone, nel 1891 in Prussia, nel 1903 in Svezia. Attorno al periodo 1900-10, anche se l’imposta sul reddito non riguarda ancora tutti i paesi sviluppati, si va estendendo, in merito al principio di progressività e alla sua applicazione al reddito globale (vale a dire alla somma dei redditi da lavoro, salariali e non da lavoro dipendente, e dei redditi da capitale di qualsiasi natura: affitti, interessi, dividendi, profitti, a volte plusvalenze),12 un consenso sempre più marcato, di portata internazionale. A molti un sistema del genere appare un modo, giusto ed efficace insieme, di ripartire le imposte: il reddito globale non fa altro che misurare la capacità contributiva di ciascuno, e la progressività permette di limitare le disuguaglianze prodotte dal capitalismo industriale, il tutto nel rispetto della proprietà privata e delle forze della concorrenza. Molti rapporti e libri, pubblicati all’epoca, contribuiscono a rendere popolare l’idea e a convincere una parte delle élite politiche e degli economisti liberali, anche se molti continueranno a essere molto ostili al principio stesso della progressività, soprattutto in Francia.13

L’imposta progressiva sul reddito potrebbe allora essere definita il figlio naturale della democrazia e del suffragio universale? Le cose sono più complicate. In effetti, come è facile rilevare, i tassi applicati anche ai redditi più astronomici rimangono estremamente bassi, almeno fino alla prima guerra mondiale. In tutti i paesi, senza eccezione alcuna. Le dimensioni del trauma politico prodotto dal conflitto appaiono con tutta chiarezza nel grafico 14.1: in esso abbiamo tracciato l’evoluzione dell’aliquota superiore (il tasso applicato ai redditi più elevati) negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Germania e in Francia, dal 1900 al 2013; e si vede benissimo come l’aliquota superiore sia rimasta stabile, a livelli davvero insignificanti, fino al 1914, per poi calare bruscamente a conclusione del primo conflitto mondiale. Queste curve sono rappresentative dell’andamento osservato nell’insieme dei paesi ricchi.14

Grafico 14.1.
Il tasso superiore d’imposta sul reddito, 1900-2013

Negli Stati Uniti il tasso marginale d’imposta sul reddito (applicabile ai redditi più elevati) è passato dal 70% nel 1980 al 28% nel 1988.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.

In Francia, nel quadro dell’imposta sul reddito istituita nel 1914, l’aliquota più alta è appena del 2%, e riguarda un’infima minoranza di contribuenti. Solo dopo la guerra, in un contesto politico e finanziario radicalmente cambiato, l’aliquota superiore verrà innalzata a un livello “moderno”: 50% nel 1920, poi 60% nel 1924, e persino 72% nel 1925. Colpisce il fatto che la legge decisiva del 25 giugno 1920, che innalza il livello superiore al 50% e che può davvero paragonarsi a una seconda nascita dell’imposta sul reddito, viene adottata dalla “Chambre bleu horizon” (una delle Camere più spostate a destra dell’intera storia della Repubblica) e dalla maggioranza del Blocco nazionale, costituita in gran parte da gruppi parlamentari che alla vigilia della prima guerra mondiale si erano ferocemente opposti alla creazione di un’imposta sul reddito con un’aliquota superiore al 2%. La conversione a trecentosessanta gradi dei deputati schierati a destra dello scacchiere politico si spiega evidentemente con la disastrosa situazione finanziaria ereditata dalla guerra. Lo stato ha accumulato durante il conflitto debiti considerevoli e, al di là dei discorsi rituali sul tema “pagherà la Germania”, tutti si rendono conto che è indispensabile reperire nuove risorse fiscali. In un contesto in cui la penuria e la necessità di stampare nuova moneta hanno portato l’inflazione a livelli sconosciuti prima della guerra, in cui i salari operai non hanno più riagganciato il potere d’acquisto del 1914 e in cui, nei mesi di maggio e giugno del 1919 e poi di nuovo nella primavera del 1920, ondate di scioperi minacciano di paralizzare il paese, si ha l’impressione che il colore politico conti ben poco: occorre trovare nuove risorse fiscali, e si sbaglia a pensare che i titolari di alti redditi debbano essere risparmiati. L’imposta progressiva è nata, nella sua forma moderna, in questo contesto politico, caotico ed esplosivo, e influenzato al contempo anche dalla Rivoluzione bolscevica del 1917.15

È poi particolarmente interessante il caso della Germania, dove, allo scoppio della guerra, l’imposta progressiva sul reddito esiste da più di vent’anni. E dove, durante il periodo di pace, le aliquote fiscali non sono mai cresciute in misura significativa. In Prussia, l’aliquota superiore rimane stabile, al 3%, dal 1891 al 1914, per passare al 4% dal 1915 al 1918 e impennarsi bruscamente fino al 40% tra il 1919 e il 1920, in un contesto politico radicalmente diverso. Negli Stati Uniti, che sono peraltro il paese meglio predisposto, sul piano sia intellettuale sia politico, all’idea di una fiscalità pesantemente progressiva, e che tra le due guerre sarà il paese capofila di questa corrente di pensiero, bisogna attendere il periodo 1918-19 perché l’aliquota superiore sia improvvisamente portata prima al 67% e poi al 77%. Nel Regno Unito, il tasso applicabile ai redditi più elevati è stato fissato, nel 1909, all’8%, un livello relativamente alto per l’epoca, ma alla fine della guerra sarà improvvisamente portato a oltre il 40%.

Ovviamente, è impossibile dire che cosa sarebbe accaduto senza lo choc del 1914-18. Sarebbe sicuramente nato un movimento favorevole al rialzo del tasso, ma è evidente che l’iter in direzione della progressività sarebbe stato molto più lento – e forse non avrebbe mai raggiunto i livelli che ha raggiunto. I tassi praticati prima del 1914, sempre inferiori al 10% (e in genere inferiori al 5%), anche per i redditi più elevati, in realtà non si differenziano molto dai tassi applicati nel corso del XVIII e XIX secolo. Va ricordato infatti che, se l’imposta progressiva sul reddito globale è stata istituita tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, esistono forme molto più antiche di imposte sui redditi, di solito con regole diverse a seconda dei redditi, e il più delle volte con tassi proporzionali o quasi proporzionali (per esempio con un tasso fisso, a parte una riduzione). Nella maggioranza dei casi, i tassi sono dell’ordine del 5-10% (al massimo), come nel caso del sistema d’imposta “cedolare”, ossia con tassi separati per ciascuna categoria o “cedola” di reddito (rendita fondiaria, interessi, profitti, salari ecc.), varata nel Regno Unito nel 1842 e destinata a fungere da imposta britannica sul reddito fino all’istituzione, nel 1909, della super tax (imposta progressiva sul reddito globale.)16

Anche in Francia, sotto l’ancien régime, esistono varie forme di imposte dirette sui redditi, come la taglia, la decima e la ventesima, con tassi medi del 5% o 10% (come testimonia il nome), che vengono applicate a imponibili più o meno incompleti e, a volte, con numerose eccezioni. Il progetto di dixme royale, proposto nel 1707 da Vauban, che si prefigge di tassare la totalità dei redditi del regno (compresa la rendita fondiaria dell’aristocrazia e del clero) a un tasso del 10%, non verrà mai del tutto applicato, cosa che non impedisce al sistema fiscale francese nel corso del XVIII secolo di subire alcune correzioni.17 Per ripulsa nei confronti delle procedure inquisitorie associate alla monarchia, e certo per evitare alla borghesia industriale in pieno sviluppo di dover pagare imposte troppo gravose, il legislatore rivoluzionario ha scelto di istituire una fiscalità “indicizzata”, secondo la quale l’imposta dovuta viene calcolata a partire da indici commisurati alla presunta capacità contributiva del contribuente e non a partire dal reddito in sé, che non viene mai dichiarato. Per esempio, la contribuzione relativa a porte e finestre è calcolata in rapporto al numero delle porte e delle finestre dell’abitazione principale del contribuente, un indicatore di agiatezza che ha il grande merito, per il contribuente, di permettere al fisco di determinare l’imposta dovuta senza dover entrare in casa, e ancor meno dover frugare nei suoi libri dei conti. L’imposta più importante del nuovo sistema, ovvero l’imposta fondiaria, introdotta nel 1792, viene calcolata in rapporto al valore di locazione di tutte le proprietà fondiarie possedute dal contribuente.18 L’importo dell’imposta è fissato a partire da stime relative al valore di locazione medio, rivedute e corrette in occasione delle grandi verifiche decennali organizzate dall’amministrazione fiscale per censire il complesso delle proprietà del territorio, per cui il contribuente non deve dichiarare il reddito realmente percepito ogni anno – fatto in sé poco importante, in considerazione della bassa inflazione. In pratica, questa tassa fondiaria assomiglia a un’imposta patrimoniale sulla rendita fondiaria, e non è tanto diversa dall’imposta cedolare britannica (il tasso effettivo varia a seconda dei periodi e dei dipartimenti, senza mai superare il 10%).

Per completare il proprio sistema fiscale, la nascente Terza Repubblica decide di istituire, nel 1872, un’imposta sul reddito dei valori mobiliari. Si tratta di un’imposta proporzionale che si applica agli interessi, ai dividendi e alle altre rendite finanziarie, allora in pieno sviluppo in Francia e pressoché esenti da imposta, mentre sono compresi dal sistema cedolare britannico. Ma anche qui il tasso viene fissato a un livello estremamente basso (3% dal 1872 al 1890, poi 4% dal 1890 al 1914), quantomeno in rapporto ai tassi osservati a partire dai primi anni venti. Fino alla prima guerra mondiale, in tutti i paesi sviluppati, si ritiene che un tasso d’imposta “ragionevole” non debba mai superare il 10%, quale che sia il livello dei redditi interessati e per quanto alti siano.

Il capitale nel XXI secolo
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