L’esplosione delle disuguaglianze americane dopo gli anni settanta-ottanta
Dagli anni cinquanta agli anni settanta gli Stati Uniti vivono la fase più ugualitaria della loro storia: il decile superiore della gerarchia dei redditi detiene circa il 30-35% del reddito nazionale americano, più o meno il medesimo livello della Francia di oggi. È “l’America che amiamo” di cui parla con nostalgia Paul Krugman, l’America della sua infanzia.25 Negli anni sessanta, al tempo in cui è ambientata la serie Mad Men e del generale de Gaulle, gli Stati Uniti erano, di fatto, più ugualitari della Francia (dove la quota del decile superiore era molto cresciuta e superava nettamente il 35%), perlomeno per gli americani dalla pelle bianca.
Dopodiché, a partire dagli anni settanta-ottanta, assistiamo, negli Stati Uniti, a un’esplosione senza precedenti delle disuguaglianze di reddito. La quota del decile superiore cresce in progressione da circa il 30-35% del reddito nazionale negli anni settanta a circa il 45-50% all’inizio del XXI secolo, con un rialzo di quasi 15 punti di reddito nazionale americano (cfr. grafico 8.5). L’andamento della curva è abbastanza impressionante, e viene naturale chiedersi fino a quale livello possa spingersi da oggi in avanti: per esempio, se le cose procedessero allo stesso ritmo, la quota del decile superiore supererebbe, da qui al 2030, il 60% del reddito nazionale.
Ci sono alcuni punti, in merito a una crescita tanto rilevante, che vanno precisati fin d’ora. In primo luogo ricordiamo che le classi di reddito rappresentate nel grafico 8.5, così come quelle che compaiono nella WTID, considerano unicamente i redditi che figurano nelle dichiarazioni dei redditi stessi, e soprattutto non cercano di correggere le dichiarazioni dei redditi da capitale, che per ragioni legali o extralegali sono riduttive o infedeli. Se si tiene conto del divario crescente tra la massa dei redditi da capitale (in particolare dividendi e interessi) registrata nei bilanci nazionali americani e quella osservata nella dichiarazione dei redditi, e se si tiene conto anche del rapido sviluppo dei paradisi fiscali (flussi che gli stessi bilanci nazionali non annoverano, se non in piccola misura), è probabile che il grafico 8.5 sottovaluti la crescita effettiva della quota del decile superiore. Confrontando le diverse fonti disponibili, si può calcolare che, alla vigilia della crisi finanziaria del 2008 e poi di nuovo all’inizio del decennio successivo, la quota del decile superiore ha senza dubbio leggermente superato il 50% del reddito nazionale americano.26
In secondo luogo, si noterà come l’euforia finanziaria e le plusvalenze spieghino solo in parte la crescita strutturale della quota del decile superiore nel corso degli ultimi trenta-quarant’anni. In effetti, negli Stati Uniti, le plusvalenze hanno toccato, in coincidenza con la bolla di Internet, nel 2000 e poi di nuovo nel 2007, livelli mai toccati: in entrambi i casi le plusvalenze equivalgono da sole a circa 5 punti del reddito nazionale supplementare per il decile superiore, che è una cifra enorme. Il record precedente, datato 1928, alla vigilia del crac di borsa del 1929, era di circa 3 punti di reddito nazionale. Livelli del genere, però, non sono a lungo sostenibili, come dimostrano le fortissime variazioni, da un anno all’altro, osservate nel grafico 8.5. In sostanza, gli incessanti movimenti di breve termine delle plusvalenze e dei mercati di borsa aggiungono molta volatilità alla crescita della quota del decile superiore (e contribuiscono sicuramente alla volatilità dell’economia americana nel suo complesso), ma non incidono in misura determinante sulla crescita strutturale delle disuguaglianze. Se proviamo semplicemente a sottrarre le plusvalenze dei redditi (esercizio comunque non soddisfacente, data l’importanza assunta in America da questa forma di guadagno), ci accorgiamo che la crescita della quota del decile superiore è quasi altrettanto forte: passa dal 32% circa negli anni settanta a più del 46% nel 2010, con un rialzo di 14 punti di reddito nazionale (cfr. grafico 8.5). Negli anni settanta, le plusvalenze, per il decile superiore, oscillano attorno a 1-2 punti di reddito nazionale supplementare, e nel primo decennio e in questi primi anni del XXI secolo (escludendo annualità eccezionalmente buone o eccezionalmente cattive) oscillano attorno ai 2-3 punti. La crescita strutturale è quindi dell’ordine di un punto: che non equivale a nulla, ma non è nemmeno granché in rapporto alla crescita di 14 punti di reddito nazionale della quota del decile superiore escluse le plusvalenze.27
Il fatto di esaminare le traiettorie senza le plusvalenze consente inoltre di individuare meglio il carattere strutturale della crescita delle disuguaglianze americane. Di fatto, dalla fine degli anni settanta a oggi, la crescita della quota del decile superiore (escluse le plusvalenze) appare relativamente costante e continua: negli anni ottanta supera la barriera del 35%, poi, negli anni novanta, quella del 40%, e infine, all’inizio del XXI secolo, quella del 45% (cfr. grafico 8.5).28 C’è però una cosa che colpisce: il livello raggiunto nel 2010 – ossia il 46% abbondante del reddito nazionale americano per il decile superiore, escluse le plusvalenze – è già più elevato del livello raggiunto nel 2007, alla vigilia della crisi finanziaria. E i primi dati disponibili per gli anni 2011-12 fanno pensare che il dislivello stia aumentando.
Si tratta di un punto essenziale: questi fatti dimostrano in modo chiarissimo che non bisogna contare sulla crisi finanziaria in quanto tale per porre un termine alla crescita strutturale delle disuguaglianze americane. Certo, nell’immediato un crac di borsa porta a un rallentamento della loro crescita, così come un boom economico tende ad accelerarla: per esempio, gli anni 2008-9, all’indomani del fallimento della Lehman Brothers, così come gli anni 2001-2, subito dopo lo scoppio della prima bolla di Internet, sono stati di sicuro anni infausti per la realizzazione di plusvalenze di borsa. Ma questi movimenti di breve termine non modificano minimamente la tendenza a lungo termine, che obbedisce ad altre forze di cui dovremo comprendere la logica.
Per procedere oltre nella nostra comprensione del fenomeno, riteniamo pertanto utile scomporre il decile superiore della gerarchia dei redditi in tre gruppi: l’1% più ricco, il 4% inferiore e il 5% ancora inferiore (cfr. grafico 8.6). Constatiamo così che la crescita è essenzialmente dovuta all’“1%”, la cui quota nella composizione del reddito nazionale è passata da circa il 9% negli anni settanta a circa il 20% all’inizio del XXI secolo (con forti variazioni conseguenti alle plusvalenze), con una crescita quindi di circa 11 punti. Anche il “5%” (i cui redditi annui, nel 2010, si scaglionano da 108.000 a 150.000 dollari per nucleo familiare) e il “4%” (i cui redditi si scaglionano da 150.000 a 352.000 dollari) hanno registrato crescite considerevoli: la quota detenuta dal “5%” nella composizione del reddito nazionale americano è passata dall’11% al 12% (con un rialzo di 1 punto), e quella detenuta dal “4%” è passata dal 13% al 16% (con un rialzo di 3 punti29). Per definizione, questo significa che i gruppi sociali privilegiati hanno registrato, negli anni settanta-ottanta, una crescita del reddito sensibilmente superiore alla crescita media dell’economia americana – fatto tutt’altro che trascurabile.
All’interno di tali gruppi si trovano rappresentati, per esempio, gli economisti universitari americani, i quali sono perlopiù propensi a giudicare che l’economia degli Stati Uniti vada piuttosto bene e che premi, in particolare, il talento e il merito con equità e rigore: insomma, una reazione più che umana e comprensibile.30 La verità, però, è che i gruppi sociali che occupano la fascia superiore alla loro sono molto più fortunati: sui 15 punti di reddito nazionale supplementare acquisiti dal decile superiore, circa 11 punti – quasi i tre quarti – sono stati assorbiti dall’“1%” più facoltoso (detentore nel 2010 di redditi annui superiori a 352.000 dollari), e la metà di essi è stata a sua volta assorbita dallo “0,1%” ancora più facoltoso (detentore di redditi annui superiori a 1,5 milioni di dollari31).