La questione centrale: lavoro o eredità?
Ciò che più impressiona, nel discorso di Vautrin, è l’esattezza delle cifre e del quadro sociale che egli traccia. Come vedremo più avanti, quando prenderemo in esame la struttura dei redditi e dei patrimoni nella Francia del XIX secolo, i livelli di vita che è possibile raggiungere accedendo ai vertici della gerarchia dei patrimoni ereditati sono effettivamente molto più alti dei redditi che è possibile acquisire accedendo ai vertici della gerarchia dei redditi da lavoro. In tali condizioni, a che cosa serve lavorare? A che cosa serve mantenere un comportamento morale irreprensibile? Dal momento che la disuguaglianza sociale, nel suo complesso, è immorale e senza rimedio, perché non andare fino in fondo all’immoralità, impadronendosi di un capitale con ogni mezzo, anche il più illecito?
Al di là del dettaglio delle cifre (le quali sono, come si è visto, molto vicine alla realtà), il dato di fondo è che nella Francia dell’inizio del XIX secolo – come peraltro, cent’anni dopo, in quella della belle époque – il lavoro e lo studio non consentono di raggiungere la stessa agiatezza che consentono di raggiungere l’eredità e i redditi da patrimonio. È una realtà talmente evidente, talmente tangibile per tutti, che Balzac non ha alcun bisogno di convincerci con statistiche rappresentative, decili o centili definiti con la massima cura possibile. È una realtà che ritroviamo anche nel Regno Unito dei secoli XVIII e XIX. Per i facoltosi personaggi di Jane Austen il problema del lavoro non si pone nemmeno: conta soltanto il patrimonio di cui si dispone, per eredità o dopo aver contratto un matrimonio vantaggioso. Ed è una realtà che rimarrà invariata in quasi tutti i contesti sociali, fino alle soglie della prima guerra mondiale, vera responsabile del suicidio delle società fondate sul patrimonio. Una delle rare eccezioni è certamente costituita dagli Stati Uniti d’America, o quantomeno dalle microsocietà “pioniere” degli Stati del Nord e dell’Ovest, dove, nei secoli XVIII e XIX, il capitale ereditario ha scarsissimo peso – situazione che comunque non durerà a lungo. Negli Stati del Sud, dove domina il capitale terriero sommato a quello negriero, l’eredità ha lo stesso peso che ha nella vecchia Europa. In Via col vento, i pretendenti di Scarlett O’Hara non puntano più di quanto non faccia Rastignac sullo studio o sul merito per assicurarsi la futura agiatezza: per loro è molto più importante l’estensione della piantagione del padre – o del suocero. Per dimostrare quanta poca considerazione abbia del concetto di morale, Vautrin, nel suo discorso rivolto al giovane Eugène, tiene persino a precisare che vedrebbe se stesso finire alla grande i propri giorni come proprietario di schiavi nel Sud degli Stati Uniti, vivendo nell’opulenza assicuratagli dalle rendite negriere.3 Evidentemente non è l’America di Tocqueville a sedurre l’ex galeotto.
La disuguaglianza dei redditi da lavoro è ben lontana dall’essere equa, e sarebbe esagerato ridurre il problema della giustizia sociale al problema irrisolto del minor peso dei redditi da lavoro rispetto ai redditi da patrimonio. Il fatto di credere in un tipo di disuguaglianza fondata più sul lavoro e sul merito individuale – o comunque sulla speranza riposta in una trasformazione volta in tal senso – che sul diritto acquisito, resta però un elemento costitutivo della nostra modernità democratica. Di fatto, come vedremo, il discorso di Vautrin perde ogni validità, almeno provvisoriamente, nel corso del XX secolo per quanto riguarda le società europee. Nei decenni del dopoguerra, l’eredità si riduce davvero a poca cosa rispetto al passato, e forse per la prima volta nella storia sono il lavoro e lo studio a rappresentare il metodo più sicuro per raggiungere la vetta. In questo inizio di XXI secolo, anche se continuano a sussistere disuguaglianze di ogni tipo e sono venute meno non poche certezze in materia di progresso sociale e democratico, l’impressione diffusa e prevalente è che il mondo sia comunque cambiato, in misura radicale, dai tempi del discorso di Vautrin. Chi, oggi, consiglierebbe a un giovane studente di giurisprudenza di abbandonare gli studi e di seguire la strategia di ascesa sociale suggerita dall’ex galeotto? Può certo esistere qualche raro caso in cui mettere le mani su un patrimonio risulta ancora essere la strategia migliore,4 ma non è, nella stragrande maggioranza dei casi, una soluzione più redditizia, oltre che moralmente più valida, scommettere sullo studio, sul lavoro e sul successo professionale?
È stato dunque il discorso di Vautrin a suggerirci le due domande che seguono, alle quali cercheremo di rispondere nei capitoli successivi con i dati – imperfetti – di cui disponiamo. Siamo proprio sicuri, innanzitutto, che la struttura dei redditi da lavoro e dei redditi da patrimonio si sia trasformata radicalmente dai tempi di Vautrin? E in quali proporzioni? E poi, soprattutto, supponendo che la suddetta trasformazione abbia avuto luogo, almeno in parte, quali ne sono state le ragioni? E sono, tali ragioni, davvero irreversibili?