La società patrimoniale classica: il mondo di Balzac e di Jane Austen
I narratori del XIX secolo non impiegano ovviamente le nostre stesse categorie per raccontare le strutture sociali del loro tempo. Nondimeno descrivono le identiche strutture profonde, quelle di un mondo in cui solo il possesso di un patrimonio importante garantisce una vera agiatezza. E ciò che più sorprende è notare fino a che punto le strutture della disuguaglianza, gli ordini di grandezza e gli importi minuziosamente indicati da Balzac e da Jane Austen siano del tutto identici al di qua e al di là della Manica, malgrado il diverso status monetario, il diverso stile letterario e la diversa trama del racconto. Come abbiamo notato nel capitolo 2, nel mondo senza inflazione descritto da Balzac e Jane Austen i punti di riferimento monetari sono molto stabili, il che aiuta gli scrittori a definire in modo molto preciso a partire da quale livello di ricchezza e di reddito sia possibile vivere con un minimo di eleganza ed evitare una condizione mediocre. In entrambi i casi, la soglia del benessere – materiale e psicologico al tempo stesso – si colloca attorno al reddito medio dell’epoca moltiplicato per venti o trenta. Al di sotto di questa soglia, l’eroe balzachiano o austeniano vive con qualche difficoltà, privo della dignità necessaria. La soglia è perfettamente raggiungibile se nella società francese o inglese del XIX secolo si fa parte dell’1% più ricco per patrimonio e relative rendite (meglio ancora se ci si avvicina allo 0,5% o magari allo 0,1% ricchissimo): una stima che rinvia a una fascia sì minoritaria, ma abbastanza numerosa per strutturare la società e per alimentare un intero universo romanzesco.38 Mentre è una soglia del tutto fuori portata se ci si limita a esercitare un mestiere, per quanto ben pagato esso sia: l’1% delle professioni meglio pagate non consente in alcun modo di accedere a un tenore di vita prestigioso (e nemmeno lo 0,1%).39
Nella maggioranza dei romanzi di Balzac e di Jane Austen, il quadro al tempo stesso finanziario, sociale e psicologico è tracciato fin dalle prime pagine, dopodiché esso viene richiamato di tanto in tanto, in modo che il lettore non dimentichi ciò che distingue i personaggi, ovvero tutti quei connotati patrimoniali che ne condizionano le esistenze, le rivalità, le strategie e le speranze. In Papà Goriot lo stato di decadimento del vecchio viene immediatamente espresso dal fatto che abbia dovuto via via accontentarsi della camera più sudicia e del cibo più misero della pensione Vauquer, per riuscire a ridurre la spesa annua a 500 franchi (più o meno il reddito medio annuo dell’epoca: per Balzac, la miseria assoluta40). Il vecchio ha sacrificato tutto per le figlie, ciascuna delle quali ha ricevuto una dote di 500.000 franchi, ossia una rendita annua di 25.000 franchi, circa cinquanta volte il reddito medio: è questo, in tutti i romanzi di Balzac, il paradigma della fortuna, l’espressione della vera ricchezza e della vita elegante. Insomma, la dicotomia tra i due estremi della società balza subito agli occhi. Tuttavia Balzac non dimentica che tra la miseria assoluta e la vera agiatezza esiste tutta una serie di stadi intermedi, più o meno accettabili. La piccola proprietà di Rastignac, con sede nell’Angoulême, procura a fatica 3000 franchi l’anno (sei volte il reddito medio): per Balzac è l’esempio tipico della piccola nobiltà di provincia, squattrinata, che può giusto fruttare 12.000 franchi l’anno per permettere a Eugène di andare a studiare Giurisprudenza nella capitale. Nel discorso di Vautrin, la retribuzione annua di 5000 franchi (dieci volte il reddito medio) di cui potrebbe usufruire il giovane Rastignac occupando l’incarico di procuratore del re, con chissà quali sforzi e rischi, è l’esempio stesso della mediocrità, che dimostra meglio di qualunque altro discorso che lo studio non porta da nessuna parte. Balzac ci dipinge una società in cui l’obiettivo minimo è godere di un reddito venti o trenta volte superiore al reddito medio dell’epoca, o anche cinquanta volte, come permette di fare la dote di Delphine e Anastasie, o meglio ancora cento volte, come permetterebbe di fare il milione di franchi della signorina Victorine, grazie ai 50.000 franchi di rendita annua che assicurerebbe.
In César Birotteau, anche l’audace profumiere punta a raggiungere il milione di franchi di patrimonio, in modo da riservarne la metà per sé e la moglie e destinarne l’altra metà alla dote della figlia – i 500.000 franchi ritenuti indispensabili per maritarla come si deve e consentire al futuro genero di venire in possesso senza fatica dello studio del notaio Roguin. La moglie vorrebbe riportare César con i piedi per terra, convincerlo che potrebbero benissimo riservare per se stessi la pensione – con 2000 franchi di rendita – e sposare la figlia con la restante rendita di 8000 franchi, ma César non intende sentire ragioni: non vuole finire come il socio Pillerault, che si ritira dagli affari con appena 5000 franchi di rendita. Per vivere bene, ci vuole almeno una rendita equivalente a venti-trenta volte il reddito medio: con una rendita di sole cinque-dieci volte il reddito medio si riesce appena a sopravvivere.
E dall’altra parte della Manica si ritrovano i medesimi ordini di grandezza. In Ragione e sentimento si entra nel cuore dell’intreccio, di natura al tempo stesso finanziaria e psicologica, fin dalle prime dieci pagine, leggendo il terrificante dialogo tra John Dashwod e la moglie Fanny. John ha appena ereditato l’immensa proprietà di Norland, che gli assicura una rendita di 4000 sterline l’anno, più di cento volte il reddito medio dell’epoca (nel Regno Unito dei primi decenni dell’Ottocento, poco superiore a 30 sterline annue).41 È l’esempio perfetto della grandissima proprietà terriera, quella che nei romanzi di Jane Austen costituisce il vertice dell’agiatezza. Con 2000 sterline l’anno (più di sessanta volte il reddito medio), il colonnello Brandon e la sua proprietà di Delaford rappresentano la normalità in fatto di grande proprietà terriera dell’epoca – in altre circostanze, si rileva che a un personaggio di spicco immaginato da Jane Austen possono bastare anche 1000 sterline l’anno. Invece, con 600 sterline (venti volte il reddito medio), John Willoughby occupa il punto più basso della traiettoria dell’agiatezza, al punto che ci si chiede come faccia il seducente e intraprendente giovane a vivere alla grande con così poco. Uno stato di necessità che spiega senza dubbio il motivo per cui abbandona Marianne, disorientata e inconsolabile, per la signorina Gray e la sua dote di 50.000 sterline di capitale (2500 sterline di rendita annua, ottanta volte il reddito medio) – si noterà, di sfuggita, che, in base al tasso di cambio franco-sterlina dell’epoca, è quasi identica all’ammontare della dote da un milione di franchi della signorina Victorine. Come in Balzac, una dote equivalente alla metà di tale somma, come quella di Delphine e Anastasie, è comunque più che soddisfacente. Per esempio, la signorina Morton, figlia unica di lord Morton, con le sue 30.000 sterline di capitale (1500 di rendita, cinquanta volte il reddito medio), è l’ereditiera perfetta, l’obiettivo di tutte le suocere, a cominciare dalla signora Ferrars, che la vedrebbe benissimo sposata al figlio Edward.42
Fin dalle prime pagine di Ragione e sentimento, all’agiatezza di cui gode John Dashwood viene contrapposta la relativa povertà delle sue sorellastre Elinor, Marianne e Margaret, le quali, con la madre, devono accontentarsi di sole 500 sterline di rendita annua da dividere in quattro (125 sterline ciascuna: appena quattro volte il reddito medio pro capite), del tutto insufficiente per maritare le ragazze. La signora Jennings, fulcro dei pettegolezzi mondani nella campagna del Devonshire, si compiace di riaffermare il concetto tutte le volte che può, in occasione di balli, visite di cortesia e spettacoli musicali, nel corso cioè di tutti gli intrattenimenti che scandiscono la loro vita, nel corso dei quali le tre ragazze incontrano giovani e affascinanti pretendenti che si rivelano purtroppo fuori dalla loro portata: “La modestia della vostra ricchezza potrebbe indurli a tirarsi indietro.” Come in Balzac, anche nel romanzo di Jane Austen con l’equivalente di cinque o dieci volte il reddito medio si vive molto modestamente. I redditi prossimi alla media di 30 sterline, o anche inferiori, non vengono nemmeno nominati: è più o meno il guadagno di una domestica, e dunque parlarne non serve a molto. Quando Edward Ferrars prende in considerazione l’idea di diventare pastore e di accettare la parrocchia di Delaford per 200 sterline annue (tra sei e sette volte il reddito medio), passa quasi per un santo. Anche integrando le 200 sterline con i redditi del piccolo capitale che la famiglia ha lasciato a Edward per punirlo del suo matrimonio con una donna di rango inferiore, e con la magra rendita recata da Elinor, i due sposi non andranno lontano, e tutti si stupiscono che possano essere talmente “accecati dall’amore da credere che 350 sterline l’anno li manterranno negli agi.”43 Il loro connubio felice e virtuoso non deve in ogni caso far dimenticare un’iniquità di fondo: rifiutandosi, su consiglio dell’odiosa Fanny, di aiutare le sorellastre e di dividere con loro, anche assegnando loro una quota minima, la propria immensa fortuna, John Dashwood costringe Elinor e Marianne a una vita mediocre, per non dire umiliante. E il loro destino viene sancito in tutto e per tutto dal terribile dialogo introduttivo tra John e Fanny.
Alla fine del XIX secolo, la stessa disparità nella struttura della circolazione del denaro trova la sua raffigurazione romanzesca anche in America. In Washington Square, romanzo pubblicato nel 1881 da Henry James e magnificamente trasposto nel film L’ereditiera di William Wyler nel 1949, l’intreccio è interamente costruito su una questione di denaro e di dote, e si scopre che quello del denaro è un argomento a rischio, a proposito del quale occorre agire con la massima prudenza. Catherine Sloper lo impara a sue spese: vede il fidanzato darsela letteralmente a gambe quando viene a sapere che la sua dote equivale ad appena 30.000 dollari in titoli bancari (esattamente venti volte il reddito medio americano, anziché sessanta volte). “Sei troppo brutta,” le rinfaccia il padre, vedovo, ricchissimo e tirannico, proprio come fa il principe Bolkonskij con la principessa Marie in Guerra e pace. Anche la situazione dei maschi può rivelarsi a rischio: nel film L’orgoglio degli Amberson Orson Welles ci mostra il declassamento di un erede arrogante, l’aristocratico George, il quale, all’apice della ricchezza, dispone di 60.000 dollari di rendita (centoventi volte il reddito medio), prima di essere travolto, attorno al 1900-10, dalla Rivoluzione industriale americana, in particolare dall’avvento dell’automobile, e di finire con un impiego pagato 350 dollari, cioè meno del reddito medio.