Choc subiti dal capitale nel XX secolo

Una volta impostato, in termini generali, il problema del rapporto capitale/reddito e della divisione pubblico-privato sul lungo periodo, è ora il momento di riprendere il filo cronologico, e soprattutto cercare di capire le ragioni del crollo – e poi della straordinaria ripresa – del rapporto capitale/reddito nel corso del XX secolo.

Precisiamo innanzitutto che si tratta di un fenomeno che interessa l’intero complesso dei paesi europei. Tutte le fonti di cui disponiamo indicano che le evoluzioni osservate nel Regno Unito, in Francia e in Germania (i tre paesi che, nel 1910 come nel 2010, rappresentano da soli più dei due terzi del PIL dell’Europa occidentale, e più della metà del PIL europeo), rispecchiano in misura più che plausibile la situazione dell’intero continente, certo con variazioni interessanti tra paese e paese, ma con un invariabile schema di fondo. Per esempio, in Italia e in Spagna, si nota dopo il 1970 una crescita molto forte del rapporto capitale/reddito, ancor più marcata che nel Regno Unito e in Francia, mentre i dati storici disponibili suggeriscono che il rapporto capitale/reddito era, durante la belle époque, dell’ordine di sei-sette annualità nazionali. Anche le stime disponibili per il Belgio, l’Olanda e l’Austria vanno nella stessa direzione.7

Occorre poi insistere sul fatto che il crollo osservato tra il 1914 e il 1945 si spiega solo in parte con le distruzioni materiali del capitale (immobili, fabbriche, infrastrutture ecc.) causate dalla guerra. Nel 1913, nel Regno Unito come in Francia e in Germania, il valore del capitale nazionale era compreso tra sei annualità e mezza e sette annualità di reddito nazionale, e nel 1950 è passato a circa due annualità e mezza, con una caduta spettacolare di più di quattro annualità di reddito nazionale (cfr. grafici 4.4 e 4.5). Le distruzioni materiali di capitale sono certo state gravissime, soprattutto in Francia durante la prima guerra mondiale (le zone del fronte nordorientale furono duramente colpite), e in Francia e Germania durante la seconda guerra mondiale, a causa dei massicci bombardamenti tra il 1944 e il 1945 (i combattimenti sono durati meno rispetto al conflitto mondiale del 1914-18, ma la tecnologia è stata ben più distruttiva). In totale, le distruzioni accumulate sono valutabili in Francia attorno a un’annualità di reddito nazionale (ossia tra un quinto e un quarto della diminuzione totale del rapporto capitale/reddito), e in Germania attorno a un’annualità e mezza (ossia circa un terzo della diminuzione totale). Per quanto significative, le distruzioni spiegano dunque solo in parte – una parte molto ridotta – la discesa del reddito, anche nei due paesi più direttamente toccati dai conflitti. Nel Regno Unito, le distruzioni materiali sono state, al confronto, più limitate – inesistenti durante la prima guerra mondiale, e meno del 10% del reddito nazionale durante la seconda guerra mondiale a causa dei bombardamenti tedeschi. Il che non ha impedito al capitale nazionale di precipitare di quattro annualità di reddito nazionale (più di quaranta volte le distruzioni materiali), così come in Francia e in Germania.

In realtà, le catastrofi politiche e di bilancio provocate dalle guerre hanno avuto, per il capitale, un effetto ancor più distruttivo delle guerre stesse. A parte le distruzioni materiali, i principali fattori che possono spiegare la discesa vertiginosa del rapporto capitale/reddito tra il 1913 e il 1950 sono, da un lato, il crollo dei portafogli esteri e il bassissimo risparmio nel periodo (aggiunti al fattore distruzioni, i due fattori cumulati giustificano tra i due terzi e i tre quarti del calo), dall’altra, il basso livello dei prezzi dei componenti attivi dei bilanci – nel nuovo contesto politico della proprietà mista e regolata del dopoguerra (tra un quarto e un terzo del calo).

Grafico 4.5.
Il capitale nazionale in Europa, 1870-2010

In Europa, nel 1950, il capitale nazionale (capitale pubblico + capitale privato) equivale a 2-3 annualità di reddito nazionale.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.

Abbiamo già ricordato, poco sopra, l’importanza delle perdite di attivi esteri, in particolare nel Regno Unito, dove il capitale estero netto è passato da circa due annualità di reddito nazionale alla vigilia della prima guerra mondiale a una posizione di poco negativa negli anni cinquanta. La perdita subita sui portafogli internazionali del Regno Unito è dunque stata molto più forte delle distruzioni materiali di capitale interno francese o tedesco, e ha più che compensato la scarsa entità delle distruzioni sul suolo britannico.

La caduta degli investimenti esteri si spiega da una parte con le espropriazioni comportate dalle rivoluzioni e dai processi di decolonizzazione (si pensi, per esempio, ai prestiti russi, abbondantemente sottoscritti dai risparmiatori francesi della belle époque e cancellati nel 1917 dai bolscevichi, o alla nazionalizzazione del canale di Suez decisa da Nasser nel 1956 e all’enorme ammanco patito degli azionisti britannici e francesi proprietari del canale e percettori dei dividendi e delle royalty fin dal 1869), dall’altra, e in maggior misura, con il bassissimo tasso di risparmio nazionale registrato nei paesi europei tra il 1914 e il 1945, dove i risparmiatori britannici e francesi (in minor misura quelli tedeschi) cercavano di disfarsi un po’ per volta dei propri investimenti esteri. Considerata la bassa crescita e le ripetute recessioni, il periodo 1914-45 rappresenta un periodo nero per tutti i cittadini europei, in particolare per i detentori di patrimoni, i cui redditi sono molto meno floridi che durante la belle époque. I tassi di risparmio privato sono quindi relativamente bassi (soprattutto se si calcolano le riparazioni e le sostituzioni rese necessarie dai danni di guerra), e alcuni risparmiatori, per mantenere il livello di vita abituale, decidono di vendere un po’ per volta una parte dei propri investimenti. Le ricadute della crisi degli anni trenta portano alla rovina anche numerosi azionisti e possessori di obbligazioni.

Lo scarso risparmio privato viene inoltre assorbito dagli enormi deficit pubblici, in particolare nel corso delle due guerre mondiali: tra il 1914 e il 1945 il risparmio nazionale, somma del risparmio privato e del risparmio pubblico, è molto basso tanto nel Regno Unito quanto in Francia e in Germania. I risparmiatori prestano in misura massiccia ai governi, a volte vendendo i propri investimenti esteri, e alla fine si trovano pure espropriati dall’inflazione, molto rapidamente in Francia e in Germania, più lentamente nel Regno Unito: una circostanza che illude i possessori di patrimoni britannici, i quali, ancora nel 1950, ritengono di essersela cavata meglio rispetto ai colleghi continentali. In realtà, il patrimonio nazionale ha subito perdite gravi tanto nel Regno Unito quanto in Francia e Germania (cfr. grafici 4. e 4.5). In altri casi i governi contraggono direttamente prestiti all’estero, ed è così che gli Stati Uniti passano da un dato negativo alla vigilia della prima guerra mondiale a un dato positivo negli anni cinquanta. Ma il fenomeno vale anche per il patrimonio nazionale del Regno Unito e della Francia.8

In definitiva, il calo del rapporto capitale/reddito tra l’anno 1913 e il 1950 non è altro che la storia del suicidio dell’Europa e, a livello individuale, non è che l’eutanasia dei capitalisti europei.

Questa storia politica, militare e di bilanci nazionali sarebbe tuttavia incompleta se non si insistesse sul fatto che il basso livello del rapporto capitale/reddito nel secondo dopoguerra europeo costituisce in parte una scelta positiva, nel senso che la realtà dei fatti rispecchia per certi versi la scelta di politiche pubbliche volte a ridurre – più o meno consapevolmente, e con più o meno efficacia – il valore di mercato degli attivi e il potere economico dei loro detentori. In concreto, negli anni cinquanta e sessanta del Novecento, i prezzi sia degli immobili sia delle imprese si fissano su livelli storicamente bassi rispetto al prezzo dei beni e dei servizi, il che spiega in una certa misura il basso rapporto capitale/reddito. Ricordiamo infatti che tutte le forme di patrimonio sono sempre valutate in base ai prezzi di mercato vigenti nelle diverse epoche. È vero che ciò implica un margine di arbitrio (i mercati sono spesso capricciosi), ma è anche vero che è l’unico metodo disponibile per calcolare lo stock di capitale nazionale: come potremmo fare, altrimenti, per sommare gli ettari di terreni agricoli con i metri quadrati degli immobili e degli altiforni?

Ebbene, nel dopoguerra i prezzi delle abitazioni sono storicamente bassi, soprattutto in ragione delle politiche di blocco degli affitti adottate quasi ovunque nei periodi di forte inflazione, nei primi anni venti come, ancor più, negli anni quaranta. Il prezzo degli affitti è cresciuto meno degli altri prezzi. Per gli affittuari è diventato meno costoso trovare casa, per cui, stante il calo del prezzo degli immobili, gli affitti arricchiscono di meno i proprietari. In ugual modo, negli anni cinquanta e sessanta il prezzo delle imprese, vale a dire il valore delle azioni e delle partecipazioni in società quotate e non quotate, si colloca a livelli piuttosto bassi. Per un verso la fiducia nei mercati borsistici è stata notevolmente scossa dalla crisi degli anni trenta e dalle nazionalizzazioni del dopoguerra, per l’altro sono state adottate nuove politiche di regolazione finanziaria e di tassazione dei benefici e dei dividendi, che contribuiscono a ridurre il potere degli azionisti e il valore dei loro investimenti.

Le stime dettagliate che abbiamo rilevato per il Regno Unito, la Francia e la Germania dimostrano come il basso valore degli attivi immobiliari e azionari del dopoguerra concorra a spiegare, almeno in parte, il calo del rapporto capitale nazionale/reddito nazionale tra il 1913 e il 1950: tra un quarto e un terzo della caduta avviene differentemente a seconda dei paesi, mentre gli effetti di insieme (basso risparmio nazionale, perdita di investimenti esteri, distruzioni) rappresentano tra i due terzi e i tre quarti del calo stesso.9 Vedremo nel prossimo capitolo come la fortissima ripresa dei prezzi degli immobili e del mercato azionario dopo gli anni settanta e ottanta, in particolare nell’ultimo decennio del XX secolo, spieghi in gran parte il rialzo del rapporto capitale/reddito, sebbene, anche in questo caso, meno significativo degli effetti complessivi, legati questa volta alla discesa strutturale del tasso di crescita.

Il capitale nel XXI secolo
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