Capitale ed economie di scala

La spiegazione principale per i fatti fin qui descritti sembra collegarsi alle economie di scala e agli effetti di volume connessi alle spese di gestione dei portafogli. In concreto, Harvard spende attualmente, per gestire la propria dotazione di capitale, quasi 100 milioni di dollari l’anno in management cost. Il che rappresenta una bella somma, destinata come compenso globale a un gruppo brillante e superspecializzato di gestori di portafogli, capace di scovare le migliori opportunità di investimenti alternativi in ogni parte del mondo. Eppure il valore scalare delle spese di gestione previste dalla dotazione di Harvard (circa 30 miliardi di dollari) corrisponde ad appena lo 0,3% annuo. Se, con una spesa del genere, si può ottenere un rendimento annuo del 10% e non del 5%, è ovvio che si tratta di un buon affare. Per un’università la cui dotazione è solo di un miliardo di dollari (che sarebbe già di per sé una bella dotazione) è invece da escludere che si possano pagare 100 milioni di dollari per un gruppo specializzato di gestori: il che significa un risparmio del 10% di spese di gestione annuo. In pratica le università limitano le loro spese di gestione a meno dell’1% annuo, il più delle volte a meno dello 0,5% annuo: per gestire un miliardo di dotazione, si spenderanno perciò 5 milioni di dollari, cifra che non permette di pagare il board di specialisti in investimenti alternativi che ci si può permettere avendo a disposizione 100 milioni. Quanto al North Iowa Community College e alla sua dotazione di 11,5 milioni di dollari, anche se destina l’1% annuo alle spese di gestione, vale a dire 115.000 dollari, dovrà accontentarsi di un gestore precario a mezzo servizio, o addirittura a un quarto del servizio, visti i prezzi di mercato – facendo comunque meglio dell’americano medio, il quale, con solo 100.000 dollari da investire, non potrà che essere il gestore di se stesso, oppure dovrà accontentarsi dei consigli del cognato. È vero che gli intermediari finanziari e i gestori di patrimoni non sono sempre infallibili (è il meno che si possa dire), ma è anche vero che, nella misura in cui sono abbastanza bravi a individuare gli investimenti più redditizi, sono loro la spiegazione vivente del motivo per cui le dotazioni maggiori ottengono rendimenti più elevati.

Si tratta di risultati sorprendenti, poiché illustrano in modo particolarmente chiaro e concreto i meccanismi che possono portare a una notevole disuguaglianza del rendimento da capitale in rapporto al volume del capitale iniziale. Soprattutto, è importante capire che sono rendimenti del genere a spiegare in gran parte la prosperità delle più grandi università americane, e non le donazioni degli ex allievi, che fruttano somme molto più ridotte, cinque o dieci volte più basse del rendimento annuo ricavato dalla dotazione.30

In ogni caso risultati del genere vanno interpretati con cautela. In particolare, sarebbe eccessivo pretendere di applicarli immaginando di poter prevedere automaticamente quale sarà la crescita della disuguaglianza mondiale delle ricchezze individuali nel corso dei decenni a venire. In primo luogo, i rendimenti elevatissimi osservati nei periodi 1980-2010 e 1990-2010 rispecchiano in parte il fenomeno del riaggancio a lungo termine del prezzo degli attivi immobiliari e finanziari a livello mondiale che abbiamo analizzato nella Parte seconda (nel qual caso tutti i rendimenti a lungo termine sopra ricordati dovrebbero essere leggermente ridotti per i decenni a venire).31 In secondo luogo, è possibile che le economie di scala comportino effetti massicci solo per portafogli molto importanti e si rivelino meno forti per le ricchezze più “modeste”, sui 10 o 50 milioni di euro, ricchezze che abbiamo già visto pesare, a livello mondiale e quindi in termini di massa globale, molto più di quelle dei miliardari di Forbes. In terzo luogo, va sottolineato che anche al netto di tutte le spese di gestione i rendimenti riflettono comunque la capacità, da parte della fondazione, di scegliere gestori validi. Ora, una famiglia non è una fondazione: arriva sempre un momento in cui un figliol prodigo dilapida l’eredità, cosa che il board di Harvard non è sicuramente disposto a fare, per la semplice ragione che tanti reagirebbero e si mobiliterebbero per espellere i responsabili del fattaccio. Sono proprio questi i “traumi” che, nell’ambito delle traiettorie familiari, impediscono una crescita infinita delle disuguaglianze a livello individuale e favoriscono la convergenza verso una più equa distribuzione del patrimonio.

Detto questo, non è poi che gli argomenti fin qui esposti siano del tutto rassicuranti. Sarebbe perlomeno imprudente fare interamente affidamento su una forza del genere, eterna ma incerta – il dissesto economico delle famiglie – per vedere ridotta la crescita futura del numero dei miliardari. Abbiamo già notato che basterebbe una disuguaglianza r > g anche di modesta ampiezza per far volgere la distribuzione d’equilibrio in un senso alquanto disuguale. Non è necessario, per arrivarci, che il rendimento raggiunga il 10% annuo per tutti i maggiori patrimoni: basterebbe uno scarto ben più ridotto per provocare un trauma importante sulla scala della disuguaglianza.

È inoltre opportuno aggiungere che le famiglie dotate di grandi patrimoni inventano di continuo formule giuridiche sempre più sofisticate per collocare il proprio patrimonio – trust funds, fondazioni –, sovente per ragioni fiscali, ma anche, a volte, per impedire alle generazioni future di disporre a loro volontà, magari dissennatamente, delle attività in questione. In altri termini, il confine tra individui fallibili e fondazioni eterne è più poroso di quanto si creda. Le restrizioni arrecate ai diritti delle generazioni future sono state ridotte, in linea di principio, grazie all’abolizione delle entails, più di due secoli fa (cfr. cap. 10). Tuttavia, nella pratica, le regole restrittive possono essere aggirate, se gli obiettivi lo impongono. In particolare, è spesso difficile distinguere tra fondazione a carattere esclusivamente privato e familiare e fondazione a carattere davvero benefico. Di fatto, le famiglie interessate attribuiscono alla struttura delle fondazioni entrambe le funzioni, e si preoccupano di controllare quelle fondazioni di cui detengono le attività, anche quando esse si presentano come istituti essenzialmente benefici.32 In genere, non è facile sapere quali siano, in importi complessi come questi, i diritti precisi dei figli e dei parenti prossimi, poiché i dettagli importanti sono contenuti in statuti che non sono resi pubblici, senza contare che un trust fund a vocazione più spiccatamente familiare e successoria finisce per sdoppiare una fondazione a fini benefici in una a fini fiscali.33 È anche interessante notare che le donazioni dichiarate al fisco calano sempre in misura piuttosto brusca quando si inaspriscono le condizioni di controllo (per esempio quando si esige che il donatore presenti ricevute molto precise, oppure che le fondazioni interessate presentino conti più dettagliati di prima, onde attestare che il loro obiettivo ufficiale è pienamente rispettato e che gli impieghi privati non sono eccessivi), il che conferma l’idea di una certa permeabilità tra gli impieghi privati e gli impieghi pubblici in strutture come queste.34 In definitiva, è molto difficile dire con esattezza quale frazione delle fondazioni soddisfi obiettivi che si possano davvero definire di interesse generale.

Il capitale nel XXI secolo
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