Il velo di pudore delle pubblicazioni ufficiali
Per gli stessi motivi, mettiamo ugualmente in guardia contro l’uso di altri indicatori, per esempio i rapporti interdecili, spesso utilizzati dall’OCSE e dagli istituti statistici dei vari paesi nei rapporti ufficiali dedicati alle disuguaglianze. Il rapporto interdecile usato più spesso è l’indice P90/P10, vale a dire l’indice tra la soglia di reddito corrispondente al 90° centile della distribuzione e la soglia corrispondente al 10° centile.23 Così, se per rientrare nel gruppo del 10% più ricco bisogna superare la soglia dei 5000 euro al mese, e per far parte del gruppo del 10% più povero bisogna essere al di sotto della soglia dei 1000 euro, si dirà che il rapporto interdecile P90/P10 è pari a 5.
Tali indicatori possono essere utili – è sempre preferibile avere il maggior numero possibile di informazioni sulla forma più completa della distribuzione in corso –, ma è bene essere consapevoli del fatto che, per come sono concepiti, questi indicatori dimenticano del tutto di considerare lo sviluppo della ripartizione al di là del 90° centile. In concreto, per un analogo rapporto interdecile P90/P10, è possibile che la quota del decile superiore nella composizione totale dei redditi o dei patrimoni sia del 20% (come i salari scandinavi degli anni settanta-ottanta), oppure del 50% (come i redditi americani attuali), oppure ancora del 90% (come i patrimoni europei della belle époque). In un caso come nell’altro, consultando le pubblicazioni degli organismi internazionali e degli istituti statistici ufficiali – i quali, essendo inclini a concentrarsi sugli indicatori e a ignorare volutamente i livelli più alti della distribuzione, non danno alcuna indicazione circa i redditi e i patrimoni medi al di là del 90° centile –, non verremo a conoscenza di nulla.
Il fatto trova ampia giustificazione, per molti, nelle “imperfezioni” dei dati disponibili. Ora, non è che le difficoltà non esistano, ma esse possono essere superate se solo si utilizzano fonti più adeguate, come è dimostrato dai dati storici raccolti, sia pure con mezzi limitati, nel World Top Incomes Database (WTID), dati che hanno cominciato a modificare – lentamente – i metodi di lavoro. Diciamo la verità: una tale scelta metodologica da parte degli organismi pubblici nazionali e internazionali è tutt’altro che neutrale. Non per nulla, i rapporti ufficiali che si propongono di informare l’opinione pubblica sulla distribuzione delle ricchezze offrono di solito una visione edulcorata, ad arte, delle disuguaglianze. Per fare un confronto, è un po’ come se un rapporto governativo ufficiale sulle disuguaglianze nella Francia del 1789 decidesse di ignorare totalmente tutto quanto accade al di là del 90° centile (vale a dire una fascia tra cinque e dieci volte più ampia dell’aristocrazia dell’epoca nel suo complesso), per la semplice ragione che è troppo complicato parlarne. E ancora più deplorevole è il fatto che un approccio tanto timido e pudico alimenti le fantasie più incontrollate e il generale discredito di cui soffrono sovente le statistiche e gli statistici, senza recare alcun tipo di sollievo.
Al contrario, i rapporti interdecili fanno emergere a tratti, per motivi di nuovo del tutto artificiali, indici fuori norma. Per esempio, in tema di distribuzione della proprietà da capitale, il 50% che corrisponde complessivamente alla fascia più povera è in genere, per quanto riguarda i patrimoni, vicino allo zero. Quando invece, se si misurano i piccoli patrimoni in un modo diverso – per esempio considerando i beni durevoli o i debiti –, è possibile scoprire, per l’identica realtà sociale soggiacente, stime nettamente diverse dal livello esatto previsto dal 10° centile della gerarchia dei patrimoni: si potranno, a seconda dei casi, scoprire 100, 1000 o anche 10.000 euro, il che, nella sostanza, non fa tanta differenza, ma può comportare rapporti interdecili molto distanti tra loro, a seconda dei paesi e delle epoche – laddove, secondo le stime ufficiali, la quota della metà inferiore dei patrimoni è in ogni caso inferiore al 5% del patrimonio totale. Succede lo stesso, anche se in misura minore, per la distribuzione dei redditi da lavoro: a seconda di come si sceglie di valutare i redditi di sostituzione e le brevi durate dei periodi di lavoro (per esempio, facendo la media dei redditi da lavoro ottenuti nell’arco di una settimana, o di un mese, o di un anno, o di un decennio), ci si può ritrovare con soglie P10 (ossia con rapporti interdecili) estremamente volatili, per cui la quota del 50% dei redditi da lavoro – la fascia più povera – nella composizione del totale dei redditi risulterebbe abbastanza stabile.24
Ecco perché è preferibile analizzare le distribuzioni come le abbiamo presentate noi nelle tabelle 7.1-7.3, insistendo cioè sulle quote detenute dai differenti gruppi – in particolare la metà inferiore e il decile superiore di ciascuna società – sul totale dei redditi e dei patrimoni, anziché sulle soglie. Le quote mettono in chiaro realtà molto più stabili di quanto non facciano i rapporti tra soglie.