Piano dell’opera
Il seguito del libro si compone di quattro parti e sedici capitoli. La Parte prima, intitolata Reddito e capitale si compone di due capitoli e introduce nozioni fondamentali che saranno utilizzate in abbondanza nel prosieguo dell’opera. In particolare, il capitolo 1 presenta i concetti di reddito nazionale, di capitale e del rapporto capitale/reddito, per poi descrivere a grandi linee il processo di distribuzione mondiale del reddito e del prodotto. Il capitolo 2 analizza più in dettaglio l’evoluzione dei tassi di crescita della popolazione e della produzione a partire dalla Rivoluzione industriale. La Parte prima non contiene elementi realmente nuovi, per cui il lettore, una volta che ha familiarizzato con le suddette nozioni e con la storia complessiva della crescita mondiale dal XVIII secolo in avanti, può scegliere di passare direttamente alla Parte seconda.
La Parte seconda, intitolata La dinamica del rapporto capitale/reddito, si compone di quattro capitoli. L’obiettivo di questa parte è analizzare il modo in cui si sta presentando oggi il problema dell’evoluzione a lungo termine del rapporto capitale/lavoro e della distribuzione globale, tra redditi da lavoro e redditi da capitale, del reddito nazionale. Il capitolo 3 presenta innanzitutto le metamorfosi del capitale a partire dal XVIII secolo, cominciando con i casi del Regno Unito e della Francia, i meglio conosciuti sul lunghissimo periodo. Il capitolo 4 introduce i casi della Germania e dell’America. I capitoli 5 e 6 estendono le analisi, per quanto è consentito dalle fonti, all’intero pianeta, e soprattutto cercano di trarre insegnamenti dalle esperienze storiche studiate per analizzare la possibile evoluzione del rapporto capitale/reddito e della divisione capitale-lavoro nei decenni a venire.
La Parte terza, intitolata La struttura delle disuguaglianze, si compone di sei capitoli. Il capitolo 7 si propone, all’inizio, di familiarizzare il lettore con gli ordini di grandezza praticamente raggiunti dal processo di disuguaglianza nella distribuzione da una parte dei redditi da lavoro dall’altra del capitale e dei proventi dello stesso. Il capitolo 8 analizza la dinamica storica delle disuguaglianze individuate, cominciando a mettere a confronto il caso della Francia con quello degli Stati Uniti. I capitoli 9 e 10 estendono le analisi all’insieme dei paesi per i quali disponiamo di dati storici (in particolare nel quadro della WTID), esaminando separatamente le disuguaglianze in rapporto al lavoro da un lato e al capitale dall’altro. Il capitolo 11 studia la progressiva importanza dell’eredità sul lungo periodo. Il capitolo 12 analizza le prospettive di sviluppo della distribuzione mondiale dei patrimoni nel corso dei primi decenni del XXI secolo.
La Parte quarta, infine, intitolata Regolamentare il capitale nel XXI secolo, si compone di quattro capitoli. L’obiettivo è trarre indicazioni politiche e normative dalle parti precedenti, quindi l’oggetto è innanzitutto quello di stabilire i fatti e di comprendere le ragioni dei cicli osservati. Il capitolo 13 cerca di tracciare i contorni di quello che potrebbe essere uno Stato sociale adeguato al secolo che si è aperto da poco. Il capitolo 14 propone un ripensamento dell’imposta progressiva sul reddito alla luce delle esperienze passate e delle tendenze recenti. Il capitolo 15 descrive a che cosa potrebbe somigliare un’imposta progressiva sul capitale adeguata al capitalismo patrimoniale del XXI secolo, e paragona questo strumento ideale agli altri modelli di regolamentazione che potrebbero presentarsi, dall’imposta europea sulla ricchezza al controllo dei capitali come in Cina, passando per le politiche sull’immigrazione all’americana o al ritorno generalizzato al protezionismo. Il capitolo 16 tratta la questione scottante del debito pubblico e quella – collegata – dell’accumulazione ottimale del capitale pubblico, in un contesto di possibile degrado del capitale naturale.
Ancora una cosa: nel 1913 sarebbe stato alquanto azzardato pubblicare un libro intitolato Il capitale nel XX secolo. Per cui il lettore mi perdoni se pubblico, nel 2013, un libro intitolato Il capitale nel XXI secolo. Sono ben consapevole della mia totale incapacità di prevedere quale forma assumerà il capitale nel 2063 o nel 2093. Come ho già notato, e come avremo ampiamente occasione di vedere, la storia dei redditi e dei patrimoni è sempre una storia profondamente politica, quindi caotica e imprevedibile. Essa dipende da come ciascuna società concepisce le disuguaglianze, e dalle politiche e istituzioni che ciascuna società si dà per modellarle e trasformarle, in un senso o in un altro. Nessuno può sapere quale forma assumeranno nei decenni a venire tali cambiamenti. Resta nondimeno il fatto che le lezioni della storia sono utili per cercare di capire un po’ più chiaramente quali saranno le scelte e le dinamiche operanti nel secolo che si è aperto da poco. È questo l’unico obiettivo, l’obiettivo di fondo, del libro. Il quale, secondo logica, avrebbe potuto intitolarsi Il capitale all’alba del XXI secolo: tentare di ricavare dall’esperienza dei secoli passati alcune modeste chiavi d’interpretazione dell’avvenire, senza farsi eccessive illusioni sulla loro reale utilità, perché la storia reinventa ogni giorno le proprie vie e i propri percorsi.
1 Thomas Robert Malthus (1766-1834) è un economista inglese, considerato uno dei pensatori più influenti della scuola “classica”, accanto a Adam Smith (1723-1790) e a David Ricardo (1772-1823).
2 Esiste certo anche una scuola liberale, più incline all’ottimismo: un ottimista per eccellenza è Adam Smith, il quale non si pone però il problema di una possibile discrepanza nella distribuzione delle ricchezze a lungo termine. Lo stesso vale per Jean-Baptiste Say (1767-1832), il quale crede a sua volta nell’armonia naturale.
3 L’altra possibilità è naturalmente l’aumento dell’offerta, accompagnata dalla scoperta di nuovi giacimenti (o di nuove fonti di energia, se possibile più pulite), o dalla concentrazione dell’habitat urbano (tramite, per esempio, la costruzione di torri più alte), il che pone tuttavia un altro ordine di difficoltà. In ogni caso, sono tutte alternative che comportano tempi molto lunghi.
4 Friedrich Engels (1820-1895), che diventerà amico e collaboratore di Marx, ha un’esperienza diretta dell’argomento: nel 1842 va ad abitare a Manchester e dirige una fabbrica di proprietà del padre.
5 Di recente, lo storico Robert Allen ha proposto di chiamare “pausa di Engels” questa lunga stagnazione dei salari: cfr. R. Allen, Engels’ Pause: A Pessimist’s Guide to the British Industrial Revolution, Oxford, Oxford University Press, 2007. Cfr. anche R. Allen, “Engels’ Pause: Technical Change, Capital Accumulation, and Inequality in the British Industrial Revolution”, in Explorations in Economic History, 2009.
6 E prosegue poi così: “Tutte le potenze della vecchia Europa si sono congiunte in una Santa Alleanza per dare la caccia a questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi”. Il talento letterario e polemico di Karl Marx (1818-1883), filosofo ed economista tedesco, spiega sicuramente, almeno in parte, la sua immensa influenza.
7 Marx ha pubblicato nel 1847 Miseria della filosofia, libro nel quale ironizza sulla Filosofia della miseria pubblicata alcuni anni prima da Proudhon.
8 Nel capitolo 6 torneremo sull’uso delle statistiche da parte di Marx. Riassumendo: Marx tenta a volte di ricorrere come meglio può all’apparato statistico del suo tempo (che, dal decennio di Malthus e Ricardo, ha fatto segnare qualche progresso, pur restando obiettivamente piuttosto rudimentale), ma lo fa, il più delle volte, in una maniera poco rigorosa, senza stabilire sempre in modo chiaro il nesso tra le statistiche e i propri argomenti teorici.
9 S. Kuznets, “Economic Growth and Income Inequality”, in The American Economic Review, 1955. Trente glorieuses è l’appellativo dato spesso – soprattutto nell’Europa continentale – ai tre decenni successivi alla seconda guerra mondiale (dal 1945 al 1975), caratterizzati da una crescita particolarmente elevata (torneremo oltre sull’argomento).
10 R. Solow, “A Contribution to the Theory of Economic Growth”, in Quarterly Journal of Economics, 1956.
11 Cfr. S. Kuznets, Shares of Upper Income Groups in Income and Saving, New York, NBER, 1953. Simon Kuznets è un economista americano, nato in Ucraina nel 1901 e stabilitosi negli Stati Uniti a partire dal 1922, prima studente della Columbia University, poi docente a Harvard. Premio Nobel per l’economia nel 1972. È morto a Cambridge (Massachusetts) nel 1985. È autore dei primi studi sulla contabilità nazionale americana e pubblica le prime serie storiche di dati sull’ineguaglianza.
12 Dato che le dichiarazioni dei redditi riguardano spesso solo una parte della popolazione e dei redditi stessi, diventa essenziale disporre, per calcolare il totale dei redditi, anche dei bilanci nazionali.
13 In altri termini, le classi popolari e quelle medie, che si può dire costituiscano il 90% degli americani più poveri, hanno visto la loro quota di reddito compresa nel reddito nazionale crescere considerevolmente: dal 50-55% negli anni dieci e venti del XX secolo al 65-70% alla fine degli anni quaranta.
14 Cfr. Kuznets, Economic Growth, cit., pp. 12-18. La curva di Kuznets viene a volte chiamata “curva a U rovesciata” (“inverted-U-curve”). Il meccanismo specifico descritto da Kuznets si fonda sull’idea di uno spostamento progressivo della popolazione da un settore agricolo povero a un settore industriale ricco (all’inizio, sarà solo una minoranza a beneficiare delle ricchezze del settore industriale – da qui una crescita delle disuguaglianze – ma successivamente ne beneficeranno tutti – da qui la riduzione delle stesse), e ovviamente questo meccanismo, alquanto essenziale, può assumere una forma più generale (ad esempio con trasferimenti progressivi di manodopera all’interno di settori industriali diversi, o differenti lavori più o meno remunerativi ecc.).
15 È interessante notare che Kuznets non ha a disposizione serie di dati che dimostrino la crescita delle disuguaglianze nel XIX secolo, ma si trattava per lui, e per la maggioranza degli osservatori del tempo, di un fenomeno evidente.
16 Come precisa egli stesso: “This is perhaps 5 per cent empirical information and 95 per cent speculation, some of it possibly tainted by wishful thinking”, in Kuznets, Economic Growth, cit., p. 26.
17 “The future prospect of underdeveloped countries within the orbit of the free world”, ibid.
18 In questi modelli, che si sono imposti sia nella ricerca sia nell’insegnamento a partire dagli anni sessanta e settanta del Novecento, si suppone per induzione che ciascun individuo riceva lo stesso salario, possegga lo stesso patrimonio e disponga degli stessi redditi, come se, per definizione, tutti i gruppi sociali beneficiassero della crescita nelle stesse proporzioni. Una tale semplificazione della realtà si può giustificare se si intendono studiare problemi estremamente specifici, ma limita in modo grave la possibilità di affrontare l’insieme delle questioni economiche che si pongono.
19 Le ricerche sui redditi e sui bilanci familiari realizzate dagli istituti di statistica iniziano raramente prima degli anni settanta e ottanta del Novecento, e tendono a sottostimare in modo grave gli alti redditi – il che crea dei problemi, in quanto il decile superiore rappresenta spesso la metà o quasi del reddito nazionale. Eppure, malgrado i suoi limiti, i dati di fonte fiscale mettono meglio in evidenza gli alti redditi e permettono di risalire al secolo precedente.
20 Cfr. T. Piketty, Les hauts revenus en France au XXe siècle. Inégalités et redistribution, 1901-1998, Paris, Grasset, 2001, 2a ed. Hachette, 2006. Per una sintesi, cfr. anche “Income Inequality in France, 1901-1998”, in Journal of Political Economy, 2003.
21 Cfr. A. Atkinson, T. Piketty, Top Incomes over the 20th Century: A Contrast between Continental-European and English-speaking Countries, Oxford, Oxford University Press, 2010.
22 Cfr. T. Piketty, E. Saez, “Income Inequality in the United States, 1913-1998”, in The Quarterly Journal of Economics, 2003.
23 I riferimenti bibliografici completi sono disponibili online nell’allegato tecnico. Cfr. anche l’articolo di sintesi: A. Atkinson, T. Piketty, E. Saez, “Top Incomes in the Long-run of History”, in Journal of Economic Literature, 2011.
24 Nell’ambito del presente volume, destinato a offrire una sintesi d’insieme, non potremo evidentemente trattare in modo dettagliato i casi di ciascun paese. Ricordiamo al lettore interessato che le serie dei dati relative al reddito complete sono disponibili online sul sito della WTID (cfr. http://topincomes.parisschoolofeconomics.eu) e all’interno delle opere e degli articoli specifici sopra indicati. Molti testi e documenti sono anche disponibili nell’allegato tecnico: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
25 La WTID è attualmente in corso di ristrutturazione in una World Wealth and Income Database (WWID) che integra questi tre sottoinsiemi di dati complementari. Nel volume presentiamo i principali elementi attualmente disponibili.
26 È anche possibile utilizzare le dichiarazioni dei patrimoni relative all’imposta annua sul patrimonio delle persone viventi, ma sono dati più rari rispetto a quelli sulla successione nella lunga durata.
27 Cfr. le prime edizioni delle seguenti opere: R. J. Lampman, The Share of Top Wealth-holders in National Wealth, 1922-1956, Princeton, Princeton University Press, 1962; A. B. Atkinson, A. J. Harrison, Distribution of Personal Wealth in Britain, 1923-1972, Cambridge, Cambridge University Press, 1978.
28 Cfr. T. Piketty, G. Postel-Vinay, J. L. Rosenthal, “Wealth Concentration in a Developing Economy: Paris and France 1807-1994”, in American Economic Review, 2006.
29 Cfr. J. Roine, D. Waldenström, “Wealth Concentration over the Path of Development: Sweden, 1873-2006”, in Scandinavian Journal of Economics, 2009.
30 Cfr. T. Piketty, On the Long-run Evolution of Inheritance: France 1820-2050, École d’Économie de Paris, 2010 (una versione riassunta è stata pubblicata in Quarterly Journal of Economics, 2011). Questi documenti sono disponibili nell’allegato tecnico.
31 Cfr. T. Piketty e G. Zucman, Capital is Back: Wealth-income Ratios in Rich Countries, 1700-2010, École d’Économie de Paris, 2013.
32 Cfr. in particolare R. W. Goldsmith, Comparative National Balance Sheets: A Study of Twenty Countries, 1688-1978, Chicago, The University of Chicago Press, 1985. Riferimenti più completi si trovano nell’allegato tecnico.
33 Cfr. A. H. Jones, American Colonial Wealth: Documents and Methods, New York, Arno, 1977.
34 Cfr. A. Daumard, Les fortunes françaises au XIXe siècle. Enquête sur la répartition et la composition des capitaux privés à Paris, Lyon, Lille, Bordeaux et Toulouse d’après l’enregistrement des déclarations de successions, Paris, Mouton, 1973.
35 Cfr. in particolare F. Simiand, Le salaire, l’évolution sociale et la monnaie: essai de théorie expérimentale du salaire. Introduction et étude globale, Paris, Alcan, 1932; E. Labrousse, Esquisse du mouvement des prix et des revenus en France au XVIIIe siècle, Paris, Dalloz, 1933; J. Bouvier, F. Furet e M. Gilet, Le mouvement du profit en France au XIXe siècle. Matériaux et études, Paris, Mouton, 1965.
36 Esistono anche ragioni propriamente intellettuali che spiegano il declino degli studi economici e sociali dedicati all’evoluzione dei prezzi.
37 Questo meccanismo chiaramente destabilizzante (più si è ricchi, più si accresce il proprio patrimonio) preoccupava già molto Kuznets. Da lì il titolo dato al suo libro del 1953: Shares of Upper Income Groups in Income and Savings, Cambridge (MA), National Bureau of Economic Research, 1953. Anche se a Kuznets mancava la giusta distanza storica per analizzarlo ampiamente. Il fattore di divergenza è altresì al centro del testo classico di J. Meade, Efficiency, Equality, and the Ownership of Property, London, Allen & Unwin, 1964, e dell’opera di Atkinson e Harrison, Distribution of Personal Wealth in Britain, 1923-1972, cit., che è in qualche misura il prolungamento storico del testo di J. Meade. I nostri lavori si collocano direttamente sulla scia degli autori citati.