A che cosa serve il capitale?
Abbiamo analizzato come si è evoluto il rendimento del capitale nel corso della storia secondo i dati più attendibili di cui disponiamo. Parliamo ora dei meccanismi che ne spiegano l’evoluzione: come si determina il tasso di rendimento del capitale in vigore in una data società? Quali sono le principali forze economiche e sociali in gioco? Come si possono valutare i processi storici osservati? Che cosa si può dire, soprattutto, in merito alla prevedibile crescita dei tassi di rendimento del capitale nel XXI secolo?
Secondo i modelli economici più semplici, ipotizzando una concorrenza “pura e perfetta” sul mercato del capitale e sul mercato del lavoro, il tasso di rendimento del capitale dovrebbe equivalere esattamente alla “produttività marginale” del capitale (vale a dire il contributo addizionale di un’unità di capitale supplementare alla produttività considerata). Secondo i modelli più complessi e più realistici, il tasso di rendimento del capitale dipende anche dal potere di contrattazione e dai rapporti di forza tra gli uni e gli altri, e può, a seconda delle situazioni e dei settori, essere più alto o più basso rispetto alla produttività marginale del capitale (a maggior ragione per il fatto che quest’ultima non è sempre quantificabile con precisione).
In ogni caso, il tasso di rendimento del capitale è determinato, in particolare, da due forze: la tecnologia (a che cosa serve il capitale?) e l’abbondanza dello stock di capitale (troppo capitale uccide il capitale).
La tecnologia svolge un ruolo naturalmente centrale. Se il capitale non serve a niente come fattore produttivo, per definizione la sua produttività marginale diventa nulla. In assoluto, si può anche immaginare una società in cui il capitale non rivesta alcuna utilità nel processo produttivo, in cui nessun investimento contribuisca a migliorare la produttività dei terreni agricoli, in cui nessuna strumentazione o attrezzatura consentano di produrre di più, in cui il fatto di disporre di un tetto per dormire non rechi alcun benessere supplementare rispetto al dormire all’esterno. Il capitale, in una società del genere, potrebbe forse svolgere un ruolo importante come pura riserva di valore: per esempio, ognuno potrebbe decidere di accumulare montagne di cibo (sempre che i sistemi di conservazione lo permettano) in previsione di un’eventuale carestia futura, e ancora meglio per ragioni meramente estetiche (aggiungendovi, nel caso, montagne di gioielli e di ornamenti vari). In assoluto, niente impedisce d’immaginare una società in cui il rapporto capitale/reddito β sarebbe sì molto elevato ma in cui il rendimento di capitale r sia rigorosamente nullo. Nel caso, la quota di capitale nel reddito nazionale α = r × β sarebbe anch’essa rigorosamente nulla. In una società del genere, il totale del reddito nazionale e della produzione si tradurrebbero interamente in lavoro.
Niente impedisce d’immaginare una società del genere, ma in tutte le società umane conosciute, comprese le più arcaiche, le cose vanno diversamente. In tutte le civiltà, il capitale svolge due grandi funzioni economiche: da una parte abitativa (serve cioè a produrre “servizi abitativi”, il cui valore viene stimato a seconda del prezzo delle locazioni delle abitazioni stesse: è il valore del benessere recato dal fatto di dormire e vivere sotto un tetto piuttosto che all’aperto) e dall’altra come fattore per produrre altri beni e servizi (quindi il processo di produzione, può aver bisogno di terreni agricoli, mezzi di produzione, edifici, uffici, macchinari, apparecchiature, brevetti ecc.). Storicamente, le prime forme di accumulazione capitalistica sembrano riguardare sia gli utensili (selce ecc.) sia gli interventi agricoli (recinzioni, irrigazione, drenaggio ecc.) sia rudimentali tipi di abitazione (grotte, tende, capanne ecc.), prima di passare a forme sempre più sofisticate di capitale industriale e di investimento, e a soluzioni abitative sempre più sviluppate.