La sostituzione capitale-lavoro nel XXI secolo: un’elasticità superiore a uno
Cominciamo con l’esaminare le insufficienze del modello Cobb-Douglas per quanto riguarda le dinamiche a lungo termine. Sul lungo periodo, l’elasticità di sostituzione tra lavoro e capitale appare superiore a uno: una crescita del rapporto capitale/reddito β sembra comportare un lieve rialzo della quota di capitale α nella composizione del reddito nazionale, e viceversa. Intuitivamente, il fenomeno corrisponde a una situazione in cui esistono, per il capitale, molti impieghi diversi per il lungo termine. Di fatto, gli sviluppi storici osservati suggeriscono che è sempre possibile – perlomeno fino a un certo punto – trovare cose nuove e utili da fare con il capitale, per esempio nuovi modi di costruire o di attrezzare gli alloggi (pensiamo ai pannelli solari o digitali sui tetti o sui muri), strumentazioni elettroniche o robotiche sempre più sofisticate, o tecnologie mediche che attingono al capitale in misura sempre maggiore. Pur senza arrivare a ipotizzare un’economia totalmente robotizzata, in cui il capitale si riproduca da sé – il che corrisponderebbe a un’elasticità di sostituzione infinita –, pensiamo però a un’economia avanzata e diversificata negli impieghi del capitale stesso, caratterizzata da un’elasticità di sostituzione superiore a uno.
È chiaramente molto difficile prevedere fino a che punto l’elasticità di sostituzione capitale-lavoro sarà superiore a uno durante il XXI secolo. Sulla base dei dati storici, è comunque possibile quantificare un’elasticità compresa tra 1,3 e 1,6,24 ma oltre a trattarsi di una stima piuttosto incerta e imprecisa, non esistono ragioni per cui le tecnologie del futuro si caratterizzino per la stessa elasticità di quelle del passato. C’è tuttavia un dato che può dirsi relativamente chiaro, ed è che il rialzo tendenziale del rapporto capitale/reddito β osservato nei paesi ricchi durante gli ultimi decenni – e che nel corso del XXI secolo potrebbe estendersi all’intero pianeta, nel caso di un calo generalizzato della crescita (in particolare demografica) – può benissimo accompagnarsi a un rialzo duraturo della quota di capitale α nella composizione del reddito nazionale. È sì probabile che il rendimento da capitale r cali progressivamente con la crescita simultanea del rapporto capitale/reddito β, ma, sulla base dell’esperienza storica, è più probabile che l’effetto volume prevalga sull’effetto prezzo, ossia che l’effetto accumulazione prevalga sull’effetto calo del rendimento.
Grafico 6.5.
La quota di capitale nei paesi ricchi,
1975-2010
Nei paesi più ricchi, il reddito da capitale equivaleva nel 1975 al 15-25% del reddito nazionale, nel 2010 al 25-35%.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
In effetti, i dati disponibili indicano che nei paesi ricchi, nel periodo dal 1970 al 2010, la quota di capitale è cresciuta, di pari passo con l’aumento del rapporto capitale/reddito (cfr. grafico 6.5). Giova tuttavia sottolineare che la tendenza al rialzo è coerente non solo con un’elasticità di sostituzione superiore a uno, ma anche con un più evoluto potere di contrattazione del capitale rispetto al lavoro, maturato negli ultimi decenni in un contesto di crescente mobilità dei capitali e di crescente concorrenza tra Stati per attirare investimenti. È probabile che negli ultimi decenni i due effetti si siano incrementati a vicenda, ed è possibile che il fenomeno si ripeta negli anni a venire. In ogni caso, è importante insistere sul fatto che non esiste alcun meccanismo economico di autocorrezione in grado di evitare che a una continua crescita del rapporto capitale/reddito β si accompagni una crescita permanente della quota di capitale nella composizione del reddito nazionale α.