Le disuguaglianze nei paesi emergenti: inferiori a quelle degli Stati Uniti
Passiamo ora a esaminare il caso dei paesi poveri ed emergenti. Le fonti storiche che consentono di studiare la dinamica della distribuzione delle ricchezze sul lungo periodo sono purtroppo molto più scarse rispetto agli altri paesi. Esiste tuttavia un certo numero di paesi poveri ed emergenti per i quali è possibile disporre di fonti fiscali sulla lunga durata abbastanza attendibili per poter istituire dei confronti – sia pure approssimativi – con i risultati ottenuti per i paesi sviluppati. Poco dopo aver introdotto in patria un’imposta progressiva sul reddito globale, il colonizzatore britannico decide di fare lo stesso in molte delle sue colonie: un’imposta sul reddito – analoga nella sostanza all’imposta introdotta nel Regno Unito nel 1909 – vede la luce in Sudafrica nel 1913 e nell’Impero indiano (compreso l’attuale Pakistan) nel 1922. Il colonizzatore olandese fa lo stesso istituendo un’imposta sul reddito in Indonesia nel 1920. Parecchi paesi dell’America Latina introducono l’imposta sul reddito tra le due guerre: l’Argentina, per esempio, nel 1932. Per questi quattro paesi, Sudafrica, India, Indonesia e Argentina, disponiamo di dati fiscali a partire rispettivamente dal 1913, 1922, 1920 e 1932, e – pur con alcune lacune – fino a oggi. I dati sono analoghi a quelli di cui disponiamo per i paesi ricchi, e possono essere utilizzati, in particolare le stime del reddito nazionale effettuate dall’inizio del XX secolo nei quattro paesi citati, osservando una metodologia analoga.
Le stime ottenute sono indicate nel grafico 9.9, e necessitano di alcuni chiarimenti. Innanzitutto, il risultato più sorprendente è senza dubbio il fatto che gli ordini di grandezza ottenuti per la quota del centile superiore nella composizione del reddito nazionale nei paesi poveri ed emergenti sono a prima vista molto vicini a quelli osservati nei paesi ricchi. Nelle fasi di maggiore disuguaglianza, soprattutto durante la prima metà del XX secolo, dagli anni dieci agli anni quaranta, il centile superiore si aggira intorno al 20% del reddito nazionale nei quattro paesi: circa il 15-18% in India, fino al 22-25% in Sudafrica, Indonesia e Argentina. Nelle fasi di maggiore uguaglianza, soprattutto dagli anni cinquanta agli anni settanta, la quota del centile superiore scende a livelli compresi tra il 6% e il 12% a seconda dei paesi (in India appena il 5-6%, in Indonesia e Argentina l’8-9%, in Sudafrica l’11-12%). Dopodiché la quota del decile superiore torna a salire negli anni ottanta un po’ ovunque, collocandosi all’inizio del XXI secolo attorno al 15% del reddito nazionale (in India e Indonesia attorno al 12-13%, in Sudafrica e Argentina attorno al 16-18%).
Nel grafico 9.9 abbiamo incluso due paesi per i quali le fonti fiscali disponibili consentono di studiare solo le traiettorie presenti tra la metà degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta: la Cina e la Colombia.28 In Cina osserviamo negli ultimi decenni una forte crescita della quota del centile superiore nella composizione del reddito nazionale, partendo però – a metà degli anni ottanta – da un livello molto basso, quasi scandinavo: meno del 5% del reddito nazionale per il centile superiore, secondo le fonti disponibili – fatto che non deve sorprendere, trattandosi di un paese comunista caratterizzato da griglie salariali molto compresse e da un’assenza quasi totale di redditi da capitale privato. La crescita delle disuguaglianze cinesi si è fatta poi molto rapida negli anni ottanta, con la liberalizzazione dell’economia, e si è accentuata notevolmente a partire dagli anni novanta e dal decennio successivo, anche se, secondo le nostre stime, la quota del decile superiore si colloca, nei primi anni del XXI secolo, attorno al 10-11% del reddito nazionale, ossia a un livello inferiore rispetto all’India e all’Indonesia (attorno al 12-14%, più o meno il livello del Regno Unito e del Canada), e a un livello nettamente inferiore rispetto al Sudafrica e all’Argentina (attorno al 16-18%, più o meno il livello degli Stati Uniti).
Grafico 9.9.
La disuguaglianza dei redditi nei paesi
emergenti, 1910-2010
Nei paesi emergenti la disuguaglianza dei redditi, calcolata sulla parte del centile superiore, è cresciuta dopo gli anni ottanta, ma nel periodo 2000-10 appare comunque al di sotto del livello americano.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
La Colombia risulta invece uno dei paesi a più alto tasso di disuguaglianza registrati nel WTID: la quota del centile superiore si colloca attorno al 20% del reddito nazionale per tutti gli anni novanta e i due decenni successivi, senza manifestare una tendenza netta (cfr. grafico 9.9). Si tratta di un livello di disuguaglianza ancora più alto di quello raggiunto dagli Stati Uniti nello stesso decennio, senza le plusvalenze: includendo le plusvalenze, gli Stati Uniti superano la Colombia, sia pure di poco.
È bene, però, continuare a sottolineare i notevoli limiti dei dati di cui disponiamo per misurare la dinamica della distribuzione delle ricchezze nei paesi poveri ed emergenti, e per cercare di stabilire un confronto valido con i paesi ricchi. Gli ordini di grandezza che abbiamo appena indicato sono i più affidabili che ci sia consentito acquisire in base alle fonti disponibili, ma la verità è che le nostre conoscenze restano insufficienti. Nei rari paesi emergenti per i quali disponiamo di dati fiscali a partire dai primi decenni del XX secolo, esistono non poche lacune e vuoti, soprattutto dagli anni cinquanta agli anni settanta, periodo in cui alcune nazioni, come l’Indonesia, raggiunsero l’indipendenza. Oggi stiamo tentando di includere nella nostra banca dati storica anche altri paesi, in particolare ex colonie britanniche e francesi (in Indocina, Africa del Nord, Africa centrale e occidentale), ma è spesso arduo stabilire dei nessi tra i dati dell’epoca coloniale e le fonti fiscali attuali.29
Quando i dati fiscali esistono, il loro interesse è offuscato dal fatto che l’imposta sul reddito nei paesi meno sviluppati riguarda spesso solo una piccola minoranza della popolazione, per cui non è possibile stimare la quota del centile superiore nella composizione del reddito totale e nemmeno quella del decile superiore. Quando i dati lo permettono, come per il Sudafrica in determinati sottoperiodi, si rileva che i livelli più alti osservati per la quota del decile superiore sono dell’ordine del 50-55% del reddito nazionale, un livello analogo – o leggermente più elevato – ai più alti livelli di disuguaglianza osservati nei paesi ricchi, nell’Europa dei primi del Novecento o negli Stati Uniti di inizio XXI secolo.
A partire dagli anni novanta e dal decennio successivo si riscontra peraltro un certo depauperamento dei dati fiscali, dovuto in parte all’avvento dell’elettronica. Le amministrazioni si sono viste costrette a sospendere sovente le pubblicazioni statistiche dettagliate contenenti i dati relativi ai decenni più interessanti, con l’esito paradossale di una scarsità progressiva delle fonti d’informazione in tempi di trasmissione digitale (lo stesso fenomeno si è verificato anche nei paesi ricchi30) – anche se il fenomeno ha più che altro a che fare con una certa disaffezione nei confronti dell’imposta progressiva sul reddito in generale, all’interno sia degli organismi internazionali sia dei ministeri di determinati governi.31 Un caso emblematico è quello dell’India, che, all’inizio del XXI secolo, ha completamente smesso di effettuare e di pubblicare lo spoglio dettagliato delle dichiarazioni dei redditi – interrompendo una prassi che esisteva senza soluzione di continuità dal 1922. L’esito per l’appunto paradossale è che, in India, è più difficile studiare la crescita degli alti redditi nel corso del primo decennio del XXI secolo che nel corso del secolo precedente.32
Questa mancanza di informazioni e di trasparenza democratica è ancora più deprecabile in quanto il problema della distribuzione delle ricchezze e dei profitti della crescita si pone, nei paesi poveri ed emergenti, con non minore acutezza che nei paesi ricchi. Va anche segnalato il fatto che il dato della fortissima crescita economica ufficialmente registrata nei paesi emergenti nel corso degli ultimi decenni, in particolare in India e in Cina, proviene in via quasi esclusiva dalle statistiche relative alla produzione. Quando si cerca di valutare la crescita dei redditi attraverso ricerche sui bilanci delle famiglie, è spesso difficile trovare conferma dei tassi di crescita macroeconomica annunciati: i redditi indiani e cinesi crescono certo a ritmi elevati, ma molto meno elevati di quelli previsti dalle statistiche di crescita ufficiali. Il paradosso del “buco nero” della crescita nei paesi emergenti è ovviamente un problema. Può derivare dal fatto che la crescita del prodotto è sovrastimata (esistono non poche spinte amministrative a manipolare i flussi di prodotto), o può derivare dal fatto che è sottostimata la crescita del reddito (anche le ricerche sui bilanci familiari hanno le loro lacune), o può derivare da tutte e due le circostanze. Il fenomeno può anche spiegarsi con il fatto che i redditi più alti – molto male archiviati nelle ricerche sulle dichiarazioni – hanno assorbito una quota sproporzionata della crescita del prodotto.
Nel caso dell’India, è possibile stimare – sulla semplice base dei redditi dichiarati – che la crescita del centile superiore nella composizione del reddito nazionale, constatata grazie ai dati fiscali, copre da sola tra un quarto e un terzo del “buco nero” della crescita tra il 1990 e il 2000.33 Considerata l’inattendibilità delle statistiche fiscali del primo decennio del XXI secolo, è impossibile continuare in modo corretto il nostro esercizio di scomposizione sociale della crescita. Nel caso della Cina, le statistiche fissate dall’amministrazione fiscale sono ancora più rudimentali di quelle dell’India, e testimoniano una mancanza assoluta di trasparenza da parte delle autorità cinesi in materia di redditi. Allo stato attuale delle cose, le stime indicate nel grafico 9.9 sono le più affidabili che ci sia consentito acquisire in base alle fonti disponibili.34 È quindi urgente che le amministrazioni dei due paesi, come di altri paesi emergenti, pubblichino dati più completi. Quando lo faranno, forse ci si potrà rendere conto del fatto che la disuguaglianza, in India e in Cina, è cresciuta più in fretta di quanto si pensasse.
È comunque possibile rilevare che, a prescindere dalle croniche inesattezze delle amministrazioni fiscali dei paesi poveri ed emergenti, già i dati che risultano dalle dichiarazioni dei redditi rivelano livelli di reddito molto più elevati – e molto più verosimili – di quelli che risultano dalle ricerche sui bilanci familiari. Un esempio: le dichiarazioni fiscali ci fanno notare che, in Colombia, in questo inizio di XXI secolo, il centile superiore detiene da solo più del 20% del reddito nazionale (quasi la stessa cifra in Argentina). Ed è possibile che la disuguaglianza reale sia ancora più alta. Ma il fatto che i redditi più alti dichiarati nelle ricerche condotte sui nuclei familiari in questi stessi paesi sono spesso appena quattro-cinque volte superiori al reddito medio (nessuno è veramente ricco) – in modo che, secondo fonti del genere, la quota del centile superiore è generalmente inferiore al 5% – sembra ben poco credibile. Si capisce fino a che punto le ricerche condotte sui bilanci familiari, che costituiscono il più delle volte l’unica fonte utilizzata dalle organizzazioni internazionali (in particolare dalla Banca mondiale) e dai governi nazionali per misurare le disuguaglianze, contribuiscano a offrire una visione distorta e falsamente equilibrata della distribuzione delle ricchezze. Finché le stime ufficiali non correggeranno i dati palesemente inesatti con un impiego sistematico dei dati amministrativi e fiscali, sarà impossibile arrivare a scomporre in modo credibile i tassi di crescita macroeconomica tra i differenti gruppi sociali e i differenti decili e centili della gerarchia dei redditi – nei paesi poveri ed emergenti come nei paesi ricchi.