Le due componenti del risparmio privato

Per un’esposizione che sia davvero esaustiva, va precisato che il risparmio privato comprende due componenti: il risparmio realizzato direttamente dai soggetti privati (la frazione di reddito a disposizione delle famiglie che non viene consumata nell’immediato) e il risparmio realizzato dalle imprese per conto dei soggetti privati che ne sono proprietari, direttamente, nel caso di imprese individuali, o indirettamente, attraverso i loro investimenti finanziari. La seconda componente corrisponde ai profitti reinvestiti dalle imprese (detti anche “profitti non distribuiti”, o retained earning), profitti che in certi paesi possono arrivare a rappresentare fino alla metà del risparmio totale (cfr. tabella 5.2).

Se si ignorasse questa seconda componente e ci si limitasse a considerare solo il risparmio delle famiglie in senso stretto, si concluderebbe che in tutti i paesi i flussi di risparmio non bastano affatto a giustificare la crescita dei patrimoni privati, e che questa si spiega in larga misura con un rialzo strutturale del prezzo relativo agli attivi, in particolare del prezzo delle azioni. La conclusione sarebbe esatta da un punto di vista contabile, ma fittizia da un punto di vista economico: è vero che sul lungo periodo il prezzo delle azioni tende a progredire più in fretta dei prezzi al consumo, ma il fenomeno si spiega in realtà con il fatto che i profitti reinvestiti permettono alle imprese in questione di accrescere la propria dimensione e il proprio capitale (si tratta insomma di un effetto volume e non di un effetto prezzo). Qualora si reintegrino i profitti reinvestiti nel risparmio privato, l’effetto prezzo in larga parte sparisce.

Tabella 5.2.
Il risparmio privato nei paesi ricchi, 1970-2010

Una quota importante di risparmio privato (e variabile a seconda dei paesi) proviene dai profitti non distribuiti delle imprese.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.

In pratica, dal punto di vista degli azionisti, i profitti immediatamente versati sotto forma di dividendi sono spesso tassati in modo più pesante dei profitti reinvestiti: può dunque essere conveniente per i detentori di capitale prelevare solo una parte dei profitti e dei dividendi (a seconda delle loro necessità immediate di consumo) e lasciare che il resto si accumuli e si reinvesta nell’impresa e nelle sue controllate, salvo rivendere in seguito una parte delle azioni e realizzare delle plusvalenze (in genere tassate meno dei dividendi).11 Le variazioni tra paese e paese riguardo al peso dei profitti reinvestiti nel risparmio privato totale si spiegano in larga misura per i differenti sistemi legali e fiscali dei paesi stessi, e determinano differenze più contabili che vere differenze economiche. In queste condizioni, è più giusto considerare i profitti reinvestiti dalle imprese come un risparmio realizzato per conto dei loro proprietari, quindi come una componente del risparmio privato.

Occorre anche precisare che la nozione di risparmio da considerare in base alla legge dinamica β = s/g è quella di risparmio al netto della svalutazione del capitale, ossia il risparmio davvero nuovo, ottenuto deducendo quella parte di risparmio lordo che serve a compensare l’usura degli immobili o delle attrezzature (riparare un buco nel tetto, una canalizzazione, sostituire materiali obsoleti: vetture, computer, macchinari ecc.). La differenza è sostanziale, perché nelle economie sviluppate la svalutazione del capitale si aggira ogni anno nell’ordine del 10-15% del reddito nazionale, assorbendo indicativamente la metà del risparmio lordo, che si aggira generalmente attorno al 25-30% del reddito nazionale, producendo quindi un risparmio netto pari al 10-15% del reddito nazionale (cfr. tabella 5.3). In particolare, la quantità prevalente dei profitti lordi non distribuiti serve a ristrutturare immobili e attrezzature, e accade spesso che la quota rimanente netta sia molto ridotta – qualche punto del reddito nazionale al massimo e talvolta può essere anche negativo – così che i profitti lordi non distribuiti sono inferiori al deprezzamento del capitale. Per definizione, solo il risparmio netto consente di accrescere lo stock di capitale: compensare il deprezzamento permette solo di evitare che diminuisca.12

Tabella 5.3.
Risparmio lordo e netto nei paesi ricchi, 1970-2010

Una parte significativa del risparmio lordo (generalmente intorno alla metà del suo valore) corrisponde alla quota di svalutazione del capitale stesso e serve quindi al suo mantenimento.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
Il capitale nel XXI secolo
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