Lotta di classe o lotta di centili?

È questo, in fondo, il nostro unico obiettivo: riuscire a mettere a confronto la struttura delle disuguaglianze presente in società anche molto lontane nello spazio e nel tempo, società in tutto e per tutto diverse, società che usano termini e concetti completamente diversi per designare i gruppi sociali che le compongono. Le nozioni di decili e centili sono un po’ astratte e mancano certo di poesia. In prima battuta, è più facile identificarsi con le categorie del proprio tempo: contadini o nobili, proletari o borghesi, impiegati o dirigenti, camerieri o agenti di borsa. Ma la bellezza dei decili e dei centili sta appunto nel riuscire a mettere in rapporto tra loro disuguaglianze ed epoche altrimenti incompatibili, e nel fornire un linguaggio comune che, in linea di massima, può essere accettato da tutti.

Quando si renderà necessario, scomporremo con maggior rigore i gruppi considerati, aiutandoci con i centili o anche con i millili, pur di rendere giustizia al continuum della disuguaglianza sociale. Tra l’altro, in ciascuna società, anche la più ugualitaria, il decile superiore costituisce davvero un mondo a sé. Raggruppa persone il cui reddito è appena due o tre volte superiore al reddito medio e altre le cui risorse sono più di dieci volte superiori. In un primo tempo è sempre d’aiuto scomporre il decile superiore in due sottogruppi: il centile superiore da una parte (le “classi dominanti”, che chiameremo così sempre per dare un’idea e senza pretendere che tale termine sia davvero migliore di un altro) e i nove centili rimanenti dall’altra (le “classi agiate”).

Per esempio, se consideriamo il caso della disuguaglianza relativamente debole – quella scandinava – dei redditi da lavoro fotografata nella tabella 7.1, con il 20% della massa salariale intascato dal 10% dei lavoratori meglio pagati, si nota che la quota di salario ricevuta dall’1% dei meglio pagati equivale mediamente al 5% della massa salariale. Il che significa che l’1% dei salariati meglio pagati guadagna in media cinque volte il salario medio, ovvero 10.000 euro al mese, in una società il cui salario medio è di 2000 euro al mese. In altri termini, il 10% dei meglio pagati guadagna in media circa 4000 euro al mese, ma all’interno di questo gruppo l’1% dei meglio pagati ne guadagna in media 10.000 (e il restante 9% ne guadagna in media circa 3330). Se continuassimo la scomposizione fino in fondo ed esaminassimo il millile superiore (lo 0,1% che rappresenta i meglio pagati) all’interno del centile superiore, troveremmo persone che guadagnano parecchie decine di migliaia di euro al mese, persino nei paesi scandinavi degli anni settanta-ottanta del Novecento. Solo che si tratterebbe di un numero di persone molto basso, che avrebbe un peso relativamente limitato all’interno della massa dei redditi da lavoro.

Per valutare la disuguaglianza di una società non basta dunque constatare il fatto che determinati redditi sono molto elevati: sostenere per esempio che “la scala dei salari va da 1 a 10” o “da 1 a 100” ci dice in realtà ben poco. Occorre anche sapere quante persone raggiungono quei livelli. Da questo punto di vista, la quota dei redditi – o dei patrimoni – detenuta dal decile superiore o dal centile superiore costituisce un indicatore valido per misurare la disuguaglianza di una società, poiché considera non solo l’esistenza di redditi o patrimoni molto elevati, ma anche il numero di persone effettivamente gratificate da tali valori.

Il centile superiore è una fascia particolarmente interessante da studiare nel quadro della nostra ricerca storica, perché rappresenta sì una frazione certo minoritaria della popolazione (per definizione), ma anche al tempo stesso un gruppo sociale relativamente vasto rispetto a quelle prestigiose élite composte da poche decine o centinaia di membri che a volte attirano l’attenzione (come, in Francia, le cosiddette “duecento famiglie”, le quali, nel periodo tra le due guerre, corrispondevano ai duecento più grossi azionisti della Banque de France, oppure, oggi, le poche centinaia di persone che finiscono nelle classifiche di Forbes o di riviste analoghe). In un paese di circa 65 milioni di abitanti come la Francia del 2013, con una popolazione adulta di 50 milioni, il centile superiore raggruppa pur sempre 500.000 persone adulte. In un paese di 320 milioni di abitanti come gli Stati Uniti, con una popolazione adulta di 260 milioni, il centile superiore raggruppa 2,6 milioni di persone adulte. Si tratta insomma di gruppi sociali numericamente molto rilevanti, gruppi che è impossibile non notare nel contesto di un paese, soprattutto se tendono ad abitare lo stesso tipo di ville o lo stesso tipo di quartieri. In tutti i paesi, il centile superiore si riproduce anche nel paesaggio collettivo, non solo nel denaro.

A ben guardare, possiamo giudicare che in tutte le società, si tratti della Francia del 1789 (quando la presenza dell’aristocrazia oscillava tra l’1% e il 2%) o degli Stati Uniti di oggi (dove il movimento Occupy Wall Street ha appunto preso di mira la fascia dell’“1%” più ricco), il centile superiore rappresenta una popolazione numericamente abbastanza significativa per strutturare con forza il paesaggio sociale e l’ordine politico ed economico nel suo complesso.

Vediamo perciò tutta l’importanza delle nozioni di decile e di centile: per quale miracolo potremmo sperare di confrontare le disuguaglianze in società così distanti come la Francia del 1789 o gli Stati Uniti di oggi, se non tentando di definire minuziosamente i decili e i centili e di quantificare le frazioni che essi rappresentano nella composizione della ricchezza nazionale, in un posto come in un altro. Un tale approccio non aiuta certo a risolvere tutti i problemi, ma è sempre meglio procedere in tal modo che non procedere affatto. Tenteremo perciò di determinare se e in quale misura il privilegio dell’“1%”, calcolato come abbiamo scelto di fare, fosse più forte sotto Luigi XVI o sotto George Bush e Barack Obama.

Il caso del movimento Occupy dimostra anche che il linguaggio quotidiano, in particolare il concetto di “centile superiore”, anche se a prima vista può sembrare un po’ astratto, può aiutare a mettere in luce processi di disuguaglianza incredibili e realtà impressionanti, e di conseguenza può costituire una griglia di lettura della società molto utile, nel quadro di una mobilitazione sociale e politica di grande rilevanza fondata su slogan di per sé inattesi (“We are the 99%”) ma che non possono che richiamare alla memoria, nello spirito, il famoso pamphlet Qu’est-ce que le tiers état?, pubblicato nel gennaio 1789 dall’abate Sieyès.8

Precisiamo inoltre che le gerarchie in gioco, e dunque le nozioni di decile e di centile, non sono mai esattamente le stesse per i redditi da lavoro e per i patrimoni. Le persone che dispongono del 10% dei redditi da lavoro più elevati o quelle che dispongono del 50% dei redditi più bassi non sono le stesse che detengono il 10% dei patrimoni più elevati o il 50% dei patrimoni più bassi. L’1% che rappresenta i redditi da lavoro più alti non è l’1% che rappresenta i patrimoni più cospicui. I decili e i centili sono definiti separatamente: da un lato dai redditi da lavoro, dall’altro dalla proprietà del capitale e, alla fine, dal reddito totale, la somma dei due redditi, sintesi delle due dimensioni e quindi definizione di una gerarchia sociale composita, quale risulta dalle due diverse componenti. È sempre indispensabile precisare a quale gerarchia ci si riferisce. Nelle società tradizionali, la correlazione tra le due componenti era spesso negativa (i detentori di patrimoni importanti non lavoravano e si trovavano quindi a occupare il punto più basso della gerarchia dei redditi da lavoro). Nelle società moderne, invece, la correlazione è in genere positiva, ma non è mai piena (il coefficiente di correlazione è sempre inferiore a 1). Per esempio, esiste sempre una quantità di persone che appartengono alla fascia superiore in termini di reddito da lavoro ma che appartengono alla cosiddetta “classe popolare” in termini di patrimonio, e viceversa. La disuguaglianza sociale è multidimensionale, al pari del conflitto politico.

Notiamo, infine, che le distribuzioni di redditi – e di patrimoni – descritte nelle tabelle 7.1-7.3 e analizzate nel presente capitolo e nei successivi sono sempre ripartizioni cosiddette “primarie”, vale a dire al lordo delle imposte. A seconda della forma che assumono le imposte – e a seconda dei servizi pubblici e delle infrastrutture che finanziano –, forma che può essere “progressiva” o “regressiva” (ovvero che pesa di più o di meno sui vari gruppi di reddito e di patrimonio con il loro progredire nella gerarchia sociale), la distribuzione al netto delle imposte può essere più o meno ugualitaria rispetto alla distribuzione al lordo delle imposte. Studieremo il problema nella Parte quarta del volume, quando studieremo il complesso delle questioni legate alla redistribuzione. Per il momento, interessiamoci soltanto alla distribuzione al lordo delle imposte.9

Il capitale nel XXI secolo
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