Il ritorno del capitale in un regime di crescita debole
A dire il vero, solo dalla fine del XX secolo e dai primi anni del XXI disponiamo di dati statistici completi e soprattutto della giusta distanza storica, elementi indispensabili per analizzare correttamente la dinamica sul lungo periodo del rapporto capitale/reddito e della divisione capitale-lavoro. In concreto, i dati che abbiamo raccolto e la prospettiva storica di cui abbiamo la fortuna di godere (prospettiva sempre parziale, certo, ma per definizione migliore di quella di cui beneficiavano gli autori precedenti) ci conducono alle seguenti conclusioni.
In primo luogo, il ritorno a un regime storico di crescita debole, e soprattutto di crescita demografica zero – o negativa – comporta logicamente un ritorno del capitale. La tendenza alla ricostituzione di stock di capitale molto elevati nelle società a crescita debole è espresso dalla legge β = s/g e si può riassumere così: nelle società stagnanti, i patrimoni ereditati dal passato assumono per loro natura un’importanza considerevole.
In Europa, il rapporto capitale/reddito ha già ritrovato in questi primi anni del XXI secolo livelli dell’ordine di cinque-sei annualità di reddito nazionale, di poco inferiori a quelli osservati nei secoli XVIII e XIX, e fino alla vigilia della prima guerra mondiale.
A livello mondiale, è possibilissimo che il rapporto capitale/reddito raggiunga o superi, nel corso del XXI secolo, il livello indicato per l’Europa. Se il tasso di risparmio si mantiene attorno al 10% e se il tasso di crescita si stabilizza attorno all’1,5% a lunghissimo termine – tenendo conto della stagnazione demografica e del rallentamento del progresso tecnico –, lo stock mondiale del capitale raggiungerà secondo logica l’equivalente di sei-sette annualità di reddito. E se la crescita scende all’1%, lo stock di capitale potrebbe raggiungere l’equivalente di dieci annualità di reddito.
In secondo luogo, per quanto riguarda la quota di redditi da capitale nella composizione del reddito nazionale e mondiale, quota determinata dalla legge α = r × β, l’esperienza storica suggerisce che la prevedibile crescita del rapporto capitale/reddito non comporterà necessariamente un ribasso sensibile del rendimento del capitale. Esistono infatti molti impieghi del capitale a lunghissimo termine, e lo si può desumere notando come l’elasticità di sostituzione tra capitale e lavoro sia senza dubbio superiore a uno, sul lungo periodo. La circostanza più probabile è che il calo del reddito sarà inferiore alla crescita del rapporto capitale/reddito, per cui la quota di capitale aumenterà. Con un rapporto capitale/reddito dell’ordine di sette-otto annualità, e un tasso di rendimento mondiale del capitale attorno al 4-5%, la quota di capitale potrebbe aggirarsi attorno al 30-40% del reddito mondiale, livello vicino a quello osservato nel XVIII e nel XIX secolo, e potrebbe persino superarlo.
Come abbiamo rilevato sopra, è anche possibile che le trasformazioni tecnologiche a lunghissimo termine favoriscano leggermente il lavoro umano in rapporto al capitale, determinando in questo modo un calo del rendimento e della quota del capitale stesso. Ma un tale effetto eventuale a lungo termine, potrebbe essere più che compensato da altre forze di segno opposto, come la sofisticazione crescente dei sistemi d’intermediazione finanziaria e della concorrenza internazionale allo scopo di attirare i capitali.