Potere pubblico e accumulazione del capitale nel XXI secolo

Facciamo ora un passo indietro, tralasciamo per un momento gli obiettivi immediati della costruzione europea e poniamoci la seguente domanda: in una società ideale, quale sarebbe il livello auspicabile di debito pubblico? Diciamolo subito: non esiste certezza assoluta in proposito, e soltanto la dialettica democratica può aiutare a rispondere alla domanda, in relazione agli obiettivi che si dà una collettività e alle sfide particolari che essa deve affrontare. Quel che è certo è che è impossibile dare una risposta sensata se, al contempo, non ci si pone una domanda di più vasta portata: qual è il livello auspicabile di capitale pubblico, e qual è il livello ideale di capitale nazionale nel suo complesso?

Nel quadro del presente volume, abbiamo studiato in modo dettagliato la curva del rapporto capitale/reddito β attraverso i secoli e i paesi. Così come abbiamo esaminato in quale misura il rapporto β a lungo termine sia determinato dal tasso di risparmio e dal tasso di crescita del paese in oggetto, in base alla legge β = s/g. Ma non ci siamo ancora posti la domanda su quale rapporto β sia auspicabile. In una società ideale, si dovrebbe disporre di cinque annualità di reddito nazionale in stock di capitale? o di dieci annualità? o magari anche di venti? Come affrontare il problema? Infatti, dare una risposta esatta è impossibile – anche se è possibile fissare ipoteticamente un limite massimo alla quantità di capitale che si può prevedere di accumulare. Questo livello massimo consiste nell’accumulare talmente tanto capitale da far sì che il tasso di rendimento del capitale r, supposto uguale alla propria produttività marginale, scenda al livello del tasso di crescita g. Se la si interpreta alla lettera, la regola r = g, battezzata nel 1961 da Edmund Phelps la “regola aurea dell’accumulazione del capitale”, comporterebbe uno stock di capitale di gran lunga superiore a quelli osservati nel corso della storia, dato che, come abbiamo visto, il tasso di rendimento è risultato sempre nettamente superiore al tasso di crescita. In realtà, fino al XIX secolo la disuguaglianza r > g è stata fortissima (con un rendimento dell’ordine del 4-5% e una crescita inferiore all’1%) e continuerà probabilmente a esserlo nel corso del XXI secolo (con un rendimento medio sempre attorno al 4-5% e una crescita a lungo termine di poco superiore all’1,5%).39 È perciò molto difficile dire quale quantità di capitale sarebbe necessario accumulare perché il tasso di rendimento scenda all’1% o all’1,5%. Certo sarebbero necessarie ben più delle sei-sette annualità di reddito nazionale oggi osservate nei paesi a capitale più intensivo: forse bisognerebbe accumulare l’equivalente di dieci-quindici annualità di reddito nazionale in capitale, forse anche di più. Ammesso che il tasso di rendimento scenda fino a uguagliare il tasso di crescita minimo osservato prima del XVIII secolo (meno dello 0,2%), diventa difficile pensare che cosa potrebbe significare un risultato del genere in termini di rapporto capitale/reddito. Forse bisognerebbe aver accumulato l’equivalente di venti o trent’anni di reddito nazionale in stock di capitale, in modo che ciascuno disponga di un numero talmente grande di immobili, case, attrezzature, macchinari e strumenti di ogni tipo, perché un’unità supplementare di capitale realizzi meno dello 0,2% di produzione supplementare annua.

A dire il vero, la domanda, posta in questi termini, è troppo astratta, e la risposta offerta dalla regola aurea si rivela, nella pratica, di scarsa utilità. È probabile che nessuna collettività umana accumulerà mai tanto capitale. La logica sottesa alla “regola aurea” non manca tuttavia di un certo interesse. Riassumiamola brevemente.40 Se la regola aurea r = g viene rispettata, vuol dire che sul lungo termine la quota di capitale nella formazione del reddito nazionale è esattamente uguale al tasso di risparmio previsto dall’economia: α = s. Viceversa, finché si verifica la disuguaglianza r > g, vuol dire che sul lungo periodo la quota di capitale è superiore al tasso di risparmio: α > s.41 In altri termini, perché la regola aurea venga rispettata, bisogna aver accumulato un capitale talmente grande che lo stesso capitale non rende più nulla. O, più precisamente, bisogna aver accumulato un capitale talmente grande che il semplice fatto di mantenere lo stock di capitale al medesimo livello (in proporzione al reddito nazionale) comporta ogni anno il reinvestimento dell’intero frutto del capitale. L’equazione α = s significa esattamente questo: ogni anno l’intero importo dei redditi da capitale deve essere risparmiato e aggiunto allo stock di capitale. Viceversa, finché vige la disuguaglianza r > g, vuol dire che sul lungo periodo il capitale frutta qualcosa: in altre parole per mantenere allo stesso livello il rapporto capitale/reddito non occorre reinvestire la totalità dei redditi del capitale medesimo.

È chiaro, dunque, che la regola aurea è contigua a una strategia di “saturazione del capitale”. Si accumula un capitale talmente grande che i rentiers non hanno più niente da consumare, poiché, se vogliono che il loro capitale cresca allo stesso ritmo dell’economia, mantenendo così il loro status sociale adeguato al livello medio della società, devono reinvestire tutto. Viceversa, finché permane la disuguaglianza r > g, è sufficiente reinvestire ogni anno la quota di rendimento corrispondente al tasso di crescita (g) e consumare il resto (r - g). Il fondamento della società dei rentiers è appunto la disuguaglianza r > g. Accumulare a sufficienza capitale perché il rendimento scenda al livello della crescita può insomma aiutare a porre fine all’egemonia dei rentiers.

Ma siamo sicuri che si tratti del metodo migliore? Perché i detentori di capitale, e perché una società nel suo complesso, dovrebbero sentire il bisogno di accumulare tanto capitale? Non dobbiamo dimenticare una cosa: il ragionamento sotteso all’idea della regola aurea serve solo a fissare un limite massimo, ma non dice affatto che si debba andare tanto lontano.42 In pratica, esistono modi molto più semplici ed efficaci che aiutano a combattere i rentiers, in particolare attraverso la procedura fiscale: non c’è nessun bisogno di accumulare decine di annualità di reddito nazionale in stock di capitale, il che, probabilmente, vorrebbe dire privarsene per intere generazioni.43 Sul piano puramente teorico, tutto dipende innanzitutto dalle origini della crescita. Se non esiste alcuna crescita della produzione e se la crescita è solo quella della popolazione, allora può avere un senso soddisfare in pieno la regola aurea. Se per esempio assumiamo come dato di fatto che la popolazione crescerà in perpetuo dell’1% annuo, e se saremo infinitamente pazienti e altruisti con le generazioni future, il modo migliore per massimizzare i consumi pro capite a lungo termine sarà effettivamente quello di accumulare un capitale talmente grande da far scendere il rendimento all’1%. Sennonché, i limiti di un ragionamento simile sono più che evidenti. In primo luogo, è un po’ strano assumere come dato certo una crescita demografica perpetua: dopotutto la cosa dipende in larga misura dalle scelte di fecondità delle generazioni future, scelte di cui le generazioni presenti non sono responsabili (salvo pensare a una tecnologia contraccettiva molto poco sviluppata). Altrimenti, se la crescita demografica è pure essa pari a zero, allora bisognerebbe accumulare una quantità infinita di capitale: finché l’interesse si mantiene leggermente positivo, è sempre vantaggioso sia per le generazioni future sia per le generazioni presenti non consumare nulla e accumulare di più. Marx, presupponendo implicitamente una crescita zero sia della popolazione sia della produttività, non fa altro che dirci in che cosa si risolverà la smania di accumulazione infinita dei capitalisti: da lì la loro caduta finale, che porterà all’appropriazione collettiva dei mezzi di produzione. Che è esattamente quanto è successo con lo Stato sovietico, il quale si è fatto carico, per il bene comune, dell’accumulazione illimitata del capitale industriale e di un sempre maggiore numero di macchinari, senza tuttavia sapere bene a che punto le autorità incaricate della pianificazione dovevano fermarsi.44

Quando la crescita della produzione è positiva, il processo di accumulazione del capitale è equilibrato dalla legge β = s/g. Al che, la questione dell’ottimizzazione sociale diventa ancora più difficile da trattare. Se si sa in anticipo che la produzione crescerà in perpetuo dell’1% annuo, vorrà dire che le generazioni future saranno molto più produttive e più prospere delle generazioni presenti. Ma è ragionevole per noi, in tali condizioni, sacrificare i consumi presenti per accumulare quantità inaudite di capitale? A seconda di come si intenda comparare e ponderare il benessere delle varie generazioni, si può arrivare a conclusioni completamente diverse fra loro: si può concludere che la cosa più saggia sia non lasciare loro niente di niente (salvo forse il nostro inquinamento), o soddisfare fino in fondo la regola aurea, o scegliere un punto intermedio tra questi due estremi. Si vede così quanto la regola aurea abbia un’utilità pratica piuttosto limitata.45

A dire il vero, poteva bastare il semplice buonsenso a farci concludere che nessuna formula matematica potrà mai aiutarci a risolvere una questione tanto complessa come quella di determinare che cosa lasciare o non lasciare alle generazioni future. Mi è parso però necessario dare notizia delle posizioni concettuali sulla regola aurea, anche perché sono teorie che, in questo inizio di XXI secolo, stanno avendo un certo impatto sul pubblico dibattito, sia in merito ai deficit europei, sia nel quadro delle controversie sulle conseguenze del riscaldamento climatico.

Il capitale nel XXI secolo
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