Il ringiovanimento dei patrimoni determinato dalle guerre

L’automatismo che abbiamo descritto cessa di esistere in seguito ai violenti choc subiti dai capitali, dai loro redditi e dai loro detentori nel corso del periodo 1914-45. Le guerre portano infatti, per così dire, a un notevole ringiovanimento dei patrimoni. Il dato risulta con molta chiarezza dal grafico 11.5: per la prima volta nella storia – e l’unica, fino a oggi – il patrimonio medio dei defunti è, negli anni quaranta-cinquanta, inferiore a quello dei vivi. E il dato risulta con ancor maggiore chiarezza se si esaminano i profili dettagliati per fasce d’età (cfr. tabella 11.1). Nel 1912, alla vigilia della prima guerra mondiale, gli ottantenni sono due volte e mezza più ricchi dei cinquantenni. Nel 1931, sono più ricchi solo del 40%. E nel 1947 i cinquantenni sono diventati più ricchi degli ottantenni: in una società in cui i patrimoni nel loro complesso sono scesi a un livello bassissimo, sono ora i cinquantenni a essere più ricchi degli ottantenni del 50%. Affronto supremo: nel 1947 gli ottantenni sono addirittura scesi leggermente, in quanto a patrimonio, al di sotto dei quarantenni: ecco un’epoca in cui tutte le certezze sono state davvero rimesse in discussione. All’indomani della seconda guerra mondiale, il profilo del patrimonio in rapporto all’età ha assunto di colpo la forma di una curva a parabola (prima ascendente poi discendente a seconda dell’età, con un vertice all’altezza del gruppo tra i 50 e i 59 anni, una geometria prossima al “triangolo di Modigliani”, salvo che la curva non scende affatto a zero per i più anziani), mentre per tutto il XIX secolo e fino alla prima guerra mondiale la curva è stata sistematicamente e continuamente ascendente in rapporto all’età.

Questo spettacolare ringiovanimento della ricchezza si spiega in un modo molto semplice. Come abbiamo visto nella Parte seconda, nel corso del periodo 1914-45 tutti i patrimoni subiscono gravi dissesti – distruzioni, inflazione, fallimenti, espropri e così via –, per cui il rapporto capitale/reddito si è notevolmente ridotto. Si potrebbe pensare che i dissesti si siano abbattuti più o meno su tutti i patrimoni, per cui il profilo del patrimonio in rapporto all’età dovrebbe essere rimasto invariato. Ma non è così. E la differenza sta nel fatto che le giovani generazioni, non avendo peraltro niente da perdere, sono riuscite a riprendersi dalle crisi molto più facilmente delle persone anziane. Chi nel 1940 ha 60 anni e perde l’intero patrimonio a causa di un bombardamento, un esproprio o un fallimento, ha poche occasioni per riprendersi: è probabile che morirà verso il 1950-60, a 70-80 anni, con ben poco da lasciare in eredità. Viceversa, una persona che nel 1940 ha 30 anni e che perde tutti gli averi – sicuramente poca cosa – nel corso del dopoguerra ha ancora tutto il tempo per accumulare un patrimonio, ed è probabile che verso il 1950-60 sarà un quarantenne più ricco del nostro settantenne. La guerra agisce come un fattore di azzeramento – o quasi azzeramento – dei moltiplicatori dell’accumulazione patrimoniale e porta automaticamente a un ringiovanimento delle ricchezze. In tal senso, nel XX secolo sono state appunto le guerre a fare tabula rasa del passato, e a dare l’illusione di un superamento strutturale del capitalismo.

Ecco dunque spiegato il livello eccezionalmente basso del flusso successorio nei decenni del secondo dopoguerra: le persone che avrebbero dovuto ereditare negli anni cinquanta-sessanta non hanno quasi più nulla da ereditare, perché i genitori non hanno avuto il tempo per riprendersi dai traumi subiti nei decenni precedenti, e muoiono con un patrimonio pressoché inesistente.

In particolare, il fenomeno ci fa capire perché il crollo delle successioni è ancora più massiccio del crollo dei patrimoni: quasi due volte più elevato. Come abbiamo visto nella Parte seconda, tra gli anni dieci e gli anni cinquanta il totale dei patrimoni privati si è più che dimezzato: lo stock di capitale privato è passato da quasi sette annualità di reddito nazionale a due-tre annualità (scarse) di reddito nazionale (cfr. cap. 3, grafico 3.6). E il flusso successorio annuo si è diviso quasi per sei, passando da circa il 25% del reddito nazionale alla vigilia della prima guerra mondiale al 4-5% del reddito nazionale negli anni cinquanta (cfr. grafico 11.1).

Ciò che più conta, in ogni caso, è che tale situazione non dura a lungo. Per sua natura, il “capitalismo da ricostruzione” rappresenta solo una tappa transitoria, e non il superamento strutturale che a volte si è pensato potesse rappresentare. Negli anni cinquanta-sessanta, man mano che il capitale torna ad accumularsi e il rapporto capitale/reddito β torna ad aumentare, le ricchezze riprendono di nuovo a invecchiare, per cui anche il rapporto μ tra patrimonio medio al momento del decesso e patrimonio medio delle persone in vita torna a crescere. Il ritorno del patrimonio ne accompagna l’invecchiamento e prefigura un ritorno ancora più massiccio dell’eredità. Il profilo osservato nel 1947, nel 1960 non è già più che un ricordo: i sessantenni e i settantenni superano, sia pure di poco, i cinquantenni (cfr. tabella 11.1). E negli anni ottanta è il turno degli ottantenni. Dopodiché, negli anni novanta e nel decennio successivo, il profilo volge verso una crescita sempre più marcata. Nel 2010, il patrimonio medio degli ottantenni supera del 30% quello dei cinquantenni. Se incorporassimo nel patrimonio dei diversi gruppi d’età le donazioni fatte prima del decesso (cosa che nella tabella 11.1 non viene fatta), nel 2000-10 il profilo sarebbe ancora più in crescita, più o meno analogo a quello del 1900-10 (con patrimoni medi, per il gruppo 70-79 anni e per gli ottantenni e oltre, due volte più elevati di quelli del gruppo 50-59 anni), con la differenza, rispetto agli anni della belle époque, che oggi la maggioranza dei decessi ha luogo in età molto più avanzata – da qui un rapporto μ sensibilmente più alto (cfr. grafico 11.5).

Il capitale nel XXI secolo
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