La curva di Kuznets: una buona notizia in tempi di guerra fredda

A dire il vero, Kuznets è perfettamente conscio del carattere in larga misura congiunturale della compressione degli alti redditi americani tra il 1913 e il 1948. La quale non ha molto a che vedere con un processo naturale e spontaneo, e ha invece molte correlazioni con le molteplici ripercussioni della crisi degli anni trenta e della seconda guerra mondiale. Nel suo corposo volume pubblicato nel 1953, Kuznets analizza in dettaglio le classi di reddito e pone comunque in guardia il lettore contro il rischio di generalizzazioni affrettate. Tuttavia, nel dicembre 1954, nell’ambito della conferenza che tiene in qualità di presidente dell’American Economic Association riunita a congresso a Detroit, decide di proporre ai colleghi un’interpretazione molto più ottimistica rispetto ai risultati contenuti nel volume del 1953. Ed è tale conferenza, pubblicata nel 1955 con il titolo “Economic Growth and Income Inequality” (Crescita economica e disuguaglianza del reddito), che costituisce l’atto di nascita della teoria della “curva di Kuznets”.

Secondo questa teoria le disuguaglianze sarebbero ovunque destinate a seguire, nel corso del processo di industrializzazione e sviluppo economico, una “curva a U rovesciata”, vale a dire un arco caratterizzato dal binomio crescita-decrescita. Secondo Kuznets, a una fase di crescita naturale delle disuguaglianze, caratteristica delle prime tappe dell’industrializzazione e che negli Stati Uniti corrisponderebbe grosso modo al XIX secolo, seguirebbe una fase di forte diminuzione delle disuguaglianze stesse che, sempre negli Stati Uniti, sarebbe iniziata nella prima metà del XX secolo.

La lettura del testo del 1955 è illuminante. Dopo aver raccomandato la massima prudenza, e richiamato l’incidenza fin troppo ovvia di contraccolpi esterni nel recente calo delle disuguaglianze in America, Kuznets suggerisce, in modo quasi anodino, che la logica connaturata allo sviluppo economico, a prescindere da qualsiasi intervento politico o trauma esterno, potrebbe comunque portare al medesimo risultato. L’idea sarebbe che le disuguaglianze crescono durante le prime fasi dell’industrializzazione (solo una minoranza è in grado di beneficiare delle nuove fonti di ricchezza assicurate dall’industrializzazione), per poi tendere spontaneamente a diminuire durante le fasi avanzate dello sviluppo (una frazione sempre maggiore della popolazione si trova allineata con i settori più abbienti: da qui una riduzione spontanea delle disuguaglianze).14

Queste “fasi avanzate” sarebbero iniziate, nei paesi industrializzati, alla fine del XIX secolo o all’inizio del XX, e la compressione delle disuguaglianze sopravvenuta negli Stati Uniti dal 1913 al 1948 non farebbe dunque che testimoniare un fenomeno più generale, che tutti i paesi – anche i paesi sottosviluppati vittime, al momento, della povertà e della decolonizzazione – dovrebbero in linea di principio arrivare a conoscere, prima o poi. I fatti evidenziati da Kuznets nel libro del 1953 si trasformano immediatamente in un’arma politica di vasta portata.15 Kuznets è del tutto consapevole del carattere puramente speculativo di una teoria del genere.16 Resta il fatto che, presentando una teoria tanto ottimistica nel quadro del suo Presidential address agli economisti americani, tutti pronti a condividere e a diffondere la buona novella recata dall’illustre collega, Kuznets era in ogni caso conscio dell’enorme risonanza che essa avrebbe avuto: così nacque la “curva di Kuznets”. E per assicurarsi che tutti avessero ben compreso di che cosa si trattasse, Kuznets si diede cura di precisare che le sue previsioni ottimistiche sarebbero state comunque valide a una condizione: che i paesi sottosviluppati rimanessero “nell’orbita del mondo libero”.17 In larghissima misura, la teoria della “curva di Kuznets” è insomma il frutto della guerra fredda.

Intendiamoci: il lavoro realizzato da Kuznets per fissare le prime stime del bilancio nazionale americano e le prime classi di reddito relative alle disuguaglianze è assolutamente fondamentale e, leggendo i suoi libri prima ancora che i suoi articoli, è del tutto evidente che Kuznets era un ricercatore non privo di etica. La fortissima crescita di cui hanno beneficiato i paesi sviluppati nel secondo dopoguerra è del resto un evento incontestabile, e il fatto che ne abbiano tratto vantaggio tutti i gruppi sociali lo è ancora di più. È pertanto normale che nel corso dei Trente glorieuses sia prevalso un certo ottimismo, e che le profezie apocalittiche del XIX secolo sulla dinamica della distribuzione delle ricchezze abbiano perduto popolarità.

Resta il fatto che la teoria fiabesca della “curva di Kuznets” sia stata in gran parte formulata per motivi non nobili e che la sua previsione del tutto empirica sia estremamente fragile. Vedremo che la forte riduzione delle disuguaglianze, verificatosi un po’ ovunque nei paesi ricchi tra il 1914 e il 1945, è in primo luogo una conseguenza positiva delle due guerre mondiali e delle catastrofi economiche e politiche che ne sono seguite (in particolare per i detentori di patrimoni rilevanti), e non ha molto a che vedere con il pacifico processo di mobilità intersettoriale descritto da Kuznets.

Il capitale nel XXI secolo
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