Il quadro geografico e storico

Quale sarà il quadro spaziale e temporale della nostra ricerca? Per quanto mi sarà possibile, cercherò di analizzare la dinamica della distribuzione delle ricchezze sia a livello mondiale, sia all’interno di ciascun paese, sia confrontando un paese con l’altro. Il tutto a partire dal XVIII secolo. In pratica, però, la limitatezza dei dati disponibili mi costringerà spesso a restringere in modo abbastanza netto il campo d’analisi. Per quanto riguarda il confronto della distribuzione del prodotto e del reddito tra un paese e l’altro, che studierò nella Parte prima, è possibile disporre di un punto di vista mondiale a partire dal 1700 (grazie in particolare ai bilanci nazionali raccolti da Angus Maddison). Quando, nella Parte seconda, studierò la dinamica del rapporto capitale/reddito e della divisione capitale-lavoro, dovrò limitarmi essenzialmente ai paesi ricchi, e, per i paesi poveri ed emergenti, in mancanza di dati storici adeguati, procedere per estrapolazione. Anche quando, nella Parte terza, esaminerò l’evoluzione delle disuguaglianze dei redditi e dei patrimoni, dovrò fare i conti con la quantità limitata delle fonti disponibili. Vedremo comunque di prendere in esame il maggior numero possibile di paesi poveri ed emergenti, grazie soprattutto ai dati forniti dalla WTID, banca dati che cerca, per quanto le è possibile, di coprire tutti e cinque i continenti. In ogni caso, è fin troppo evidente che le dinamiche sul lungo periodo risultano meglio documentate nei paesi ricchi. Per cui, in concreto, il libro verte innanzitutto sull’analisi dell’esperienza storica dei principali paesi sviluppati: gli Stati Uniti, il Giappone, la Germania, la Francia, il Regno Unito.

E, tra essi, verranno più spesso richiamati i casi del Regno Unito e della Francia, poiché si tratta dei due paesi per i quali le fonti storiche sul lungo periodo risultano più complete. Per il Regno Unito e per la Francia esistono numerose stime del patrimonio nazionale e della sua struttura, tali da consentire di risalire fino ai primi anni del XVIII secolo. I due paesi rappresentano inoltre le due massime potenze coloniali e finanziarie del XIX secolo e dei primi decenni del XX secolo. Lo studio dettagliato di questi paesi assume dunque un’importanza evidente per l’analisi della dinamica della distribuzione mondiale delle ricchezze a partire dalla Rivoluzione industriale. In particolare, essi rappresentano un punto di partenza imprescindibile per lo studio di quella che viene spesso definitala “prima” globalizzazione finanziaria e commerciale, quella tra il 1870 e il 1914, periodo che registra profonde affinità con la cosiddetta “seconda” globalizzazione, quella attualmente in corso, nata tra gli anni settanta e ottanta. Si tratta di un periodo che è insieme affascinante e connotato in misura notevolissima dalla disuguaglianza. La “prima” globalizzazione coincide, storicamente, con l’avvento della lampadina elettrica e dei collegamenti transatlantici (il Titanic compare nel 1912), del cinema e della radio, dell’automobile e dei mercati finanziari internazionali. Ricordiamo che occorre attendere il primo decennio del XXI secolo per ritrovare nei paesi ricchi gli stessi livelli di capitalizzazione di mercato – in rapporto al prodotto interno lordo o al reddito nazionale – raggiunti a Parigi e a Londra negli anni tra il 1900 e il 1910. Questa comparazione potrà essere ricca di insegnamenti per la comprensione del mondo d’oggi.

Alcuni lettori si stupiranno dell’importanza tutta speciale che assegno allo studio del caso francese, e forse mi sospetteranno di nazionalismo. Per cui debbo giustificarmi. Si tratta in primo luogo di una questione di fonti. La Rivoluzione francese non ha certo creato una società giusta e ideale. Vedremo tuttavia che essa ha avuto quantomeno il merito di creare un formidabile osservatorio della ricchezza: il sistema di registrazione dei patrimoni terrieri, immobiliari e finanziari istituito tra il 1790 e il 1800 è sorprendentemente universale e moderno per l’epoca, e spiega perché, in Francia, le fonti relative alle successioni sono forse le più ricche al mondo sul lungo periodo.

In secondo luogo, la Francia, essendo il paese che ha conosciuto la transizione demografica più precoce, costituisce in certo modo un ottimo osservatorio di quanto può accadere in futuro all’intero nostro pianeta. La popolazione francese è certamente aumentata nel corso degli ultimi due secoli, ma a un ritmo relativamente lento. La Francia, al momento della Rivoluzione, contava circa 30 milioni di abitanti, e oggi ne conta poco più di 60. Quindi si tratta dello stesso paese, degli stessi ordini di grandezza. Al confronto gli Stati Uniti d’America, che al momento della Dichiarazione d’indipendenza contavano appena 3 milioni di abitanti, nel primo decennio del Novecento raggiungono i 100 milioni e oggi superano i 300 milioni. È chiaro che, quando un paese passa da 3 a 300 milioni di abitanti (senza contare il radicale cambiamento avvenuto su scala territoriale nel corso dell’espansione verso Ovest avvenuta nel XIX secolo), non si tratta più, propriamente, dello stesso paese.

Vedremo come la dinamica e la struttura delle disuguaglianze si presentino in modo diverso in un paese la cui popolazione si è moltiplicata per cento e in un paese la cui popolazione è appena raddoppiata. In particolare, il peso dell’eredità è naturalmente molto più ridotto nel primo rispetto al secondo. La fortissima crescita demografica del Nuovo Mondo ha fatto sì che il peso dei patrimoni ereditari sia sempre stato, negli Stati Uniti, più ridotto che in Europa. Il che spiega perché la struttura delle disuguaglianze americane e della forma della disuguaglianza stessa e delle classi sociali americane sia così peculiare. Ma ciò implica anche il fatto che il caso americano non sia in certa misura esportabile (è poco probabile che la popolazione mondiale si moltiplichi per cento nel corso dei prossimi due secoli), e che il caso francese sia più rappresentativo e più pertinente per l’analisi dell’avvenire. Sono convinto che l’analisi dettagliata del caso francese, e più in generale delle differenti traiettorie storiche osservate nei paesi oggi sviluppati – in Europa, in Giappone, in America del Nord e in Oceania – sia ricca di insegnamenti per le dinamiche mondiali a venire, anche per quelle dei paesi attualmente emergenti (Cina, Brasile, India), i quali finiranno certo per conoscere anch’essi il rallentamento della crescita demografica – fenomeno peraltro già in corso – ed economica.

In terzo luogo, il caso della Francia ha un risvolto interessante: la Rivoluzione francese – rivoluzione “borghese” per eccellenza – introduce ben presto un ideale di uguaglianza giuridica in rapporto al mercato, per cui è importante studiare le conseguenze sulla dinamica della distribuzione delle ricchezze. La Rivoluzione inglese del 1688 ha certo introdotto il parlamentarismo moderno, ma ha mantenuto in essere una dinastia reale, un criterio di primogenitura terriera in vigore fino agli anni venti e privilegi politici per la nobiltà ereditaria perpetuatisi fino ai giorni nostri (il processo di ridefinizione dei pari e della Camera dei Lord è tuttora in corso, il che rappresenta un ritardo storico non indifferente). La Rivoluzione americana del 1776 ha certo introdotto il principio repubblicano, ma ha lasciato che lo schiavismo continuasse a prosperare per oltre un secolo, e che la discriminazione razziale legalizzata continuasse per quasi due secoli; negli Stati Uniti la questione razziale continua ancora oggi a incidere in larga misura sulla questione sociale. La Rivoluzione francese del 1789 è in certo modo più ambiziosa: abolisce tutti i privilegi legali e intende creare un ordine politico e sociale interamente fondato sull’uguaglianza dei diritti e delle opportunità. Il codice civile garantisce l’uguaglianza assoluta in quanto a diritto di proprietà e di libero contratto (quantomeno per la popolazione maschile). Alla fine del XIX secolo e durante la belle époque gli economisti conservatori francesi – come Paul Leroy-Beaulieu – utilizzano spesso questo argomento per spiegare come la Francia repubblicana, paese di “piccoli proprietari”, paese divenuto egualitario grazie alla Rivoluzione, non abbia alcun bisogno di un’imposta progressiva, a loro giudizio vessatoria, sul reddito o sulle successioni, contrariamente al Regno Unito, monarchico e aristocratico. Ora, i nostri dati dimostrano che la concentrazione dei patrimoni è stata altissima all’epoca, sia in Francia sia nel Regno Unito, il che spiega abbastanza chiaramente che l’uguaglianza dei diritti nel mercato non è sufficiente per garantire uguaglianza dei diritti tout court. L’esperienza francese è, insomma, ancora del tutto pertinente per l’analisi del mondo d’oggi, nel quale molti osservatori continuano a immaginare, come faceva Leroy-Beaulieu più di un secolo fa, che basti mettere in campo diritti di proprietà sempre meglio garantiti, mercati sempre più liberi e una concorrenza sempre più “pura e perfetta” per dar luogo a una società giusta, prospera e armoniosa. Il compito che ci aspetta, purtroppo, è ben più complesso.

Il capitale nel XXI secolo
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