La Cina conquisterà il mondo?
Il caso dei fondi sovrani dei paesi non produttori di petrolio si pone in maniera abbastanza diversa. Perché un paese privo di una specifica risorsa naturale dovrebbe decidere di appropriarsi di un altro paese? È certo possibile pensare a un’ambizione neocoloniale, o a una pura e semplice volontà di potenza, come ai tempi del colonialismo europeo, ma la differenza sta nel fatto che allora i paesi europei disponevano di un progresso tecnologico che permetteva loro di esercitare un dominio incontrastato. Oggi la Cina e gli altri paesi emergenti non petroliferi sono certo impegnati in un processo di crescita rapidissimo, ma tutto sta a indicare che la rincorsa finirà quando essi raggiungeranno lo stesso livello di produttività e lo stesso tenore di vita dei paesi occidentali. La diffusione delle conoscenze e delle tecniche di produzione è un processo fondamentalmente equalizzatore: una volta che il meno avanzato ha raggiunto il più avanzato, il meno avanzato smette di crescere più in fretta.
Nel principale scenario di crescita del rapporto capitale/reddito a livello mondiale, presentato nel capitolo 5, abbiamo supposto che i tassi di risparmio dei vari paesi si sarebbero stabilizzati, al momento della conclusione del processo di convergenza internazionale, attorno al 10% del reddito nazionale. A quel punto, l’accumulazione del capitale dovrebbe assumere, in tutti i paesi, dimensioni tra loro compatibili. Una quota molto rilevante dello stock di capitale mondiale verrà sicuramente accumulata nei paesi asiatici, in particolare in Cina, a seconda della quota di prodotto mondiale di cui entreranno in possesso in futuro. Ma, secondo lo scenario principale, il rapporto capitale/reddito dovrebbe equilibrarsi in tutti i continenti, assorbendo il maggiore squilibrio tra risparmio e investimento tra zona e zona. L’unica eccezione riguarda l’Africa: secondo lo scenario principale configurato nei grafici 12.4 e 12.5, nel continente africano, durante il XXI secolo, il rapporto capitale/reddito dovrebbe assestarsi su un livello molto più basso rispetto agli altri continenti (per via di una rincorsa economica molto più lenta e di una transizione demografica molto più progressiva).44 In un regime di libera circolazione dei capitali, il fenomeno dovrebbe portare, secondo logica, a incrementare il flusso di investimenti proveniente dagli altri continenti, soprattutto dall’Asia e dalla Cina, anche se, per i motivi già esposti, il tutto potrebbe provocare gravi tensioni, del resto già esplose in questo o quel paese.
Grafico 12.4.
Il rapporto capitale/reddito nel mondo,
1870-2100
Secondo le simulazioni dello scenario principale, il rapporto capitale/reddito a livello mondiale potrebbe avvicinarsi, da qui alla fine del XXI secolo, al 700%.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
Grafico 12.5.
La distribuzione del capitale mondiale,
1870-2100
Secondo lo scenario principale, nel XXI secolo i paesi asiatici dovrebbero detenere circa la metà del capitale mondiale.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
È certo possibile concepire scenari molto più squilibrati rispetto al nostro scenario principale. Ma è importante insistere sul fatto che i fattori di divergenza sono in questo caso assai meno evidenti che nel caso dei fondi petroliferi, frutto di un’autentica manna del tutto sproporzionata rispetto ai bisogni delle popolazioni teoricamente proprietarie della manna in questione (e tanto più smisurata quanto più le popolazioni interessate sono numericamente insignificanti): da qui, una logica di accumulazione senza fine, che la disuguaglianza r > g può trasformare in una divergenza permanente della distribuzione del capitale a livello mondiale. Riassumendo, la rendita petrolifera può, in una certa misura, permettere davvero di comprare il resto del pianeta, e di vivere poi con le rendite del capitale via via incamerato.45
Nel caso della Cina, dell’India e degli altri paesi emergenti, le cose stanno diversamente: questi paesi ospitano una popolazione esorbitante, i cui bisogni sono ben lontani dall’essere soddisfatti, sia in termini di consumo sia in termini di investimento. È certo possibile immaginare scenari in cui il tasso di risparmio cinese si assesti in modo permanente su un livello più alto di quello dei tassi europei e americani: magari perché la Cina sceglierebbe un sistema pensionistico fondato per intero sulla capitalizzazione e non sulla ripartizione, scelta che può anche essere abbastanza attraente in un regime di crescita debole (e a maggior ragione di crescita demografica negativa).46 Per esempio, se la Cina, fino al 2100, risparmia il 20% del reddito nazionale, mentre l’Europa e l’America ne risparmiano il 10%, una buona parte del Vecchio Continente e del Nuovo Mondo diventerà proprietà, da qui a un secolo, dei giganteschi fondi pensione cinesi.47 È un fenomeno possibile a livello di logica, ma non molto plausibile in pratica, da una parte per il semplice fatto che i salariati cinesi, e la società cinese nel suo complesso, preferiranno senza dubbio, e non senza motivo, ricorrere in prevalenza a sistemi pensionistici pubblici basati sulla ripartizione (come in Europa e in America), dall’altra per le ragioni politiche già sottolineate in precedenza per il caso dei fondi petroliferi, e altrettanto valide per il caso dei fondi pensione cinesi.