I problemi posti dagli indicatori sintetici

Prima di passare allo studio dettagliato degli sviluppi storici osservati nei vari paesi, dobbiamo ancora precisare alcuni punti metodologici. Nelle tabelle 7.1-7.3 abbiamo indicato, in particolare, i coefficienti di Gini corrispondenti alle diverse distribuzioni prese in considerazione. Il coefficiente di Gini – dal nome dello statistico italiano Corrado Gini, attivo all’inizio del XX secolo e nel periodo tra le due guerre – è uno degli indicatori sintetici di disuguaglianze usati più spesso nei rapporti ufficiali e nel dibattito pubblico. In teoria, è sempre compreso tra zero e uno: è pari a zero in caso di uguaglianza completa, a 1 in caso di disuguaglianza assoluta, per esempio quando un gruppo infinitamente piccolo detiene la totalità delle risorse disponibili.

In pratica, si constata che il coefficiente di Gini varia più o meno tra 0,2 e 0,4 per le distribuzioni dei redditi da lavoro concretamente osservate nelle differenti società; tra 0,6 e 0,9 per le distribuzioni osservate della proprietà da capitale; tra 0,3 e 0,5 per la disuguaglianza del reddito totale. Con un coefficiente di Gini di 0,19, la distribuzione dei redditi da capitale osservata nei paesi scandinavi degli anni settanta-ottanta non è tanto lontana dall’uguaglianza assoluta. Viceversa, con un coefficiente di Gini di 0,85, la distribuzione dei patrimoni osservata in Europa durante la belle époque non è lontana dalla disuguaglianza assoluta.22

Questi coefficienti – ne esistono altri, per esempio l’indice di Theil – a volte sono utili, ma pongono molti problemi. Essi pretendono di riassumere in un unico indicatore numerico la disuguaglianza completa della distribuzione – sia la disuguaglianza che distingue la fascia più povera da quella intermedia della gerarchia sociale, sia la disuguaglianza che distingue la fascia intermedia da quella dei più ricchi o dei ricchissimi nella piramide sociale –, il che a prima vista offre un quadro semplice e interessante, ma è inevitabilmente parecchio illusorio. È davvero impossibile riassumere una realtà multidimensionale con un indicatore unidimensionale e, se lo si fa, si semplifica all’estremo una realtà sociale quanto mai complessa e si mescolano cose che dovrebbero rimanere distinte. La realtà sociale e il significato economico e politico della disuguaglianza sono elementi molto diversi tra loro, variano a seconda dei livelli della distribuzione, ed è importante analizzarli separatamente. Senza contare che il coefficiente di Gini e altri indicatori sintetici tendono anche a confondere la disuguaglianza determinata dal lavoro a quella determinata dal capitale, mentre i meccanismi economici in gioco, al pari degli apparati di legittimazione normativa delle disuguaglianze, vanno distinti in entrambi i casi. Per tutti questi motivi, ci sembra altamente preferibile analizzare le disuguaglianze a partire da tabelle di distribuzione che indichino le quote dei differenti decili e centili nella composizione del reddito totale e del patrimonio totale, piuttosto che utilizzare indicatori sintetici come il coefficiente di Gini.

Tali tabelle di distribuzione hanno anche il merito di costringere tutti a quantificare la misura dei livelli di reddito e patrimonio dei differenti gruppi sociali che compongono le gerarchie in vigore, espressi in moneta sonante e denaro liquido (o in percentuale dei redditi e patrimoni medi del paese in questione), e non in un’unità statistica fittizia e difficile da decifrare. Le tabelle di distribuzione ci aiutano a farci un’idea più concreta e più fisica della disuguaglianza sociale, e anche a prendere meglio coscienza della realtà e dei limiti dei dati di cui disponiamo per studiare i problemi in esame. Gli indicatori statistici sintetici come il coefficiente di Gini offrono invece una visione astratta e asettica della disuguaglianza, un codice di riferimento che non solo non indica agli uni e agli altri quale posto occupino nella gerarchia del loro tempo (esercizio sempre utile, soprattutto quando si fa parte dei centili superiori della distribuzione e si tende a dimenticarlo, come accade sovente agli economisti), ma che a volte non fa intendere appieno che i dati soggiacenti presentano anomalie o incoerenze, o che quantomeno non sono del tutto comparabili nel tempo o tra paese e paese (per esempio perché gli alti livelli della distribuzione vengono tagliati fuori, o perché i redditi da capitale sono omessi per certi paesi e non per altri). Il fatto di mostrare le tabelle di distribuzione obbliga a una maggiore coerenza e trasparenza.

Il capitale nel XXI secolo
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