Il Regno Unito: debito pubblico e rafforzamento del capitale privato
Cominciamo con il Regno Unito. Per due volte, la prima dopo le guerre napoleoniche e la seconda dopo la seconda guerra mondiale, il debito pubblico britannico ha raggiunto livelli molto elevati, circa il 200% del PIL, o poco più. Dato interessante: il Regno Unito è al tempo stesso il paese che ha conosciuto per lungo tempo i più alti livelli di debito pubblico e che tuttavia non ha mai fatto default. Questo dato consente di dire quindi che, se uno Stato non entra in una situazione di default – o direttamente non riconoscendo i propri debiti o indirettamente per una massiccia inflazione – può prevedere un tempo di rimborso anche molto lungo per un debito pubblico importante.
Il debito pubblico britannico del XIX secolo rappresenta da questo punto di vista un caso classico. Facciamo un passo indietro. Anche prima della guerra d’indipendenza americana, nel corso del XVIII secolo, il Regno Unito aveva accumulato debiti pubblici consistenti – come peraltro il regno di Francia. Le due monarchie erano spesso in stato di belligeranza, o tra loro o con gli altri paesi europei, e soprattutto non agivano adeguatamente sulle entrate fiscali per finanziare le spese di guerra, per cui il loro debito pubblico faceva registrare forti rialzi. In entrambi i paesi, tra il 1700 e il 1720, il debito si aggirava attorno al 50% del reddito nazionale, e tra il 1760 e il 1770, attorno al 100%.
È ben nota l’incapacità della monarchia francese di modernizzare il sistema delle imposte e di porre fine ai privilegi fiscali della nobiltà. Come è altrettanto noto l’esito rivoluzionario che ne seguì, con la convocazione nel 1789 degli Stati generali che danno luogo, tra il 1790 e il 1791 a un nuovo sistema fiscale (il quale impone una tassa ai proprietari terrieri e un’imposta sulla successione che incide sull’insieme dei patrimoni), e a promuovere nel 1797 la cosiddetta “bancarotta dei due terzi” (default, in realtà, ancora più alto, tenendo conto dell’episodio degli “assegnati” e dell’inflazione che ne derivò), che consente di saldare i conti dell’ancien régime.11 Tanto che, all’inizio del XIX secolo, il debito pubblico francese scende di colpo a livelli molto bassi (nel 1815, corrisponde a meno del 20% del reddito nazionale).
Il Regno Unito segue una curva completamente diversa. Per finanziare la guerra d’indipendenza americana, e soprattutto le numerose guerre con la Francia durante il periodo rivoluzionario e napoleonico, la monarchia britannica sceglie la strada del prestito illimitato. Il debito pubblico passa così da circa il 100% del reddito nazionale nel 1770 a circa il 200% nel 1810, sei volte più del debito francese nel medesimo periodo. Nel Regno Unito sarà necessario oltre un secolo di bilanci in attivo per ridurre progressivamente l’indebitamento, all’inizio del XX secolo, a meno del 30% del reddito nazionale (cfr. grafico 3.3).
Quale lezione trarre da questa esperienza storica? In primo luogo, è evidente come il fortissimo indebitamento pubblico abbia rafforzato, nella società britannica, il peso dei patrimoni privati. Gli inglesi che ne avevano i mezzi hanno prestato allo Stato le somme richieste, senza che il prestito comporti una riduzione sensibile del loro investimento privato: tra il 1770 e il 1810 la crescita fortissima dell’indebitamento pubblico è in sostanza finanziata da un corrispondente aumento del risparmio privato (a riprova della prosperità della classe abbiente britannica dell’epoca, e dell’attrattività dei rendimenti offerti), per cui il capitale nazionale rimane, lungo i quarant’anni di crisi, complessivamente stabile, attorno alle sette annualità di reddito nazionale, mentre intorno all’anno 1810 i patrimoni privati risalgono a più di otto annualità di reddito nazionale e il patrimonio pubblico discende a livelli sempre più fortemente negativi (cfr. grafico 3.5).
Non ci dobbiamo sorprendere, dunque, che il patrimonio sia così costantemente presente nei romanzi di Jane Austen: agli abituali proprietari terrieri sono venuti ad aggiungersi, in numero assolutamente inusuale, i detentori di titoli del debito pubblico (perlopiù le stesse persone, a giudicare sia dalle vicende letterarie sia dalle fonti storiche), fino a raggiungere livelli patrimoniali straordinariamente elevati nel loro complesso. Gli interessi dei titoli di Stato vanno a sommarsi alle rendite fondiarie, raggiungendo livelli mai toccati nella storia.
In secondo luogo, è evidente come il fortissimo indebitamento vada incontro, nel suo complesso, agli interessi dei prestatori e dei loro discendenti – se pensiamo a una situazione come quella britannica, in cui la monarchia, altrimenti, avrebbe finanziato le proprie spese facendo loro pagare delle tasse. Dal punto di vista di coloro che ne hanno i mezzi, è chiaramente molto più vantaggioso prestare una data somma allo Stato (per poi riceverne gli interessi per decenni) che pagarla sotto forma di imposte (senza contropartita). Inoltre, il fatto che lo Stato contribuisca ad accrescere con il proprio deficit la domanda globale di capitale non può che spingere in alto il tasso di rendimento del capitale, il che nuovamente va a favore di coloro che garantiscono l’offerta di capitale, per cui il loro arricchimento dipende da questo rendimento.
L’elemento centrale – e la differenza sostanziale rispetto al XX secolo – sta nel fatto che il debito pubblico, nel XIX secolo, viene rimborsato a un valore migliore: tra il 1815 e il 1914 l’inflazione è pressoché inesistente, e il tasso d’interesse offerto dai titoli di Stato è sostanzioso (in genere attorno al 4-5%), in ogni caso nettamente superiore al tasso di crescita. Tanto che, in tali condizioni di favore, il debito pubblico si trasforma in un ottimo affare per i detentori di patrimoni e per i loro eredi.
In concreto, immaginiamo un governo che accumuli ogni anno e per vent’anni deficit dell’ordine del 5% del PIL, per esempio per pagare i salari a un consistente numero di militari dall’anno 1795 al 1815, senza peraltro aumentare in pari misura le tasse. Nel giro di vent’anni, il debito pubblico supplementare così accumulato equivale al 100% del PIL. Supponiamo che il governo non cerchi di rimborsare il capitale, e si limiti a versare ogni anno gli interessi. In tal caso, se il tasso d’interesse è del 5%, il governo dovrà versare ogni anno il 5% del PIL ai possessori di questo debito pubblico supplementare, e questo in saecula saeculorum.
È quanto accade, grosso modo, nel Regno Unito nel XIX secolo. Per un intero secolo, dal 1815 al 1914, il bilancio britannico ha goduto sistematicamente di un’importante eccedenza primaria, nel senso che le imposte raccolte superavano sistematicamente le spese, con un surplus di parecchi punti rispetto al PIL, superiore per esempio alle spese globali per l’istruzione in tutto il periodo. L’eccedenza serve tuttavia solo a finanziare gli interessi versati ai possessori dei titoli pubblici, senza rimborsare il capitale: per cui il debito pubblico nominale del Regno Unito rimane stabile per l’intero periodo, attorno a 1 miliardo di sterline. Solo la crescita del prodotto interno e del reddito nazionale britannico (circa il 2,5% annuo tra il 1815 e il 1914) consentirà alla fine, dopo un secolo di penitenza, di ridurre fortemente l’indebitamento pubblico espresso in percentuale di reddito nazionale.12