Capitale e patrimonio

Per semplificare l’esposizione, utilizzeremo le parole “capitale” e “patrimonio” in modo intercambiabile, come due perfetti sinonimi. Secondo alcune definizioni, la parola “capitale” andrebbe impiegata solo in relazione alle forme di patrimonio accumulate dall’uomo (edifici, macchinari, infrastrutture ecc.), escludendo dunque la terra o le risorse naturali ereditate dalla specie umana senza aver dovuto accumularle. La terra sarebbe, in tal senso, un elemento del patrimonio, e non del capitale. La difficoltà sta nel fatto che non è sempre facile separare il valore degli edifici da quello dei terreni sui quali essi sorgono. E una difficoltà ancora più grave, come vedremo, sta nel fatto che è molto complicato separare il valore delle terre “vergini” (quelle scoperte dall’uomo secoli e millenni fa) da quello delle molte migliorie – drenaggio, irrigazione, messa a maggese ecc. – introdotte dall’uomo nei terreni agricoli. Analoghi problemi si pongono per le risorse naturali – petrolio, gas, “terre rare” ecc. – il cui valore netto è spesso difficile da distinguere da quello degli investimenti che hanno aiutato a scoprire i giacimenti e a sfruttarli. Includeremo perciò tutte queste forme di ricchezza nel capitale – il che non ci dispenserà dall’interessarci dei valori all’origine dei patrimoni, e in particolare del confine tra ciò che proviene dall’accumulazione e ciò che proviene dall’appropriazione.

Secondo altre definizioni, la parola “capitale” andrebbe impiegata per indicare gli elementi di patrimonio direttamente utilizzati nel processo di produzione. Per esempio, l’oro andrebbe considerato un elemento relativo al patrimonio e non al capitale, in quanto l’oro non avrebbe altra funzione se non quella di pura e semplice riserva di valore. Anche in questo caso, una tale esclusione ci sembra del tutto impraticabile – l’oro viene a volte impiegato come fattore di produzione, nella fabbricazione dei gioielli come nell’elettronica o nelle nanotecnologie – e inattendibile. Tutte le forme di capitale hanno sempre svolto un duplice ruolo, da una parte come riserva di valore e dall’altra come fattore di produzione. Ci è quindi parso più semplice non imporre una distinzione rigida tra il concetto di patrimonio e il concetto di capitale.

Ci è anche parso poco pertinente escludere dalla definizione di “capitale” l’immobile adibito ad abitazione, in base all’idea che tali beni immobili sarebbero “non produttivi”, a differenza del “capitale produttivo” utilizzato dalle imprese e dalle amministrazioni: edifici a uso professionale, uffici, macchinari, infrastrutture ecc. In realtà, tutte queste forme di patrimonio sono utili e produttive, e assolvono alle due grandi funzioni economiche del capitale. Se dimentichiamo per un istante il suo ruolo di riserva di valore, il capitale è utile da un lato per procurarsi un alloggio (ossia per produrre “servizi abitativi”, il cui valore è commisurato sul valore di locazione delle abitazioni) e dall’altro come fattore di produzione per le imprese e per le amministrazioni che producono altri beni e servizi (e che hanno bisogno di edifici, uffici, macchinari, infrastrutture ecc. per realizzare i loro prodotti). Vedremo più avanti come ciascuna di queste due grandi funzioni rappresenti oggi circa la metà dello stock del capitale dei paesi sviluppati.

Riassumendo. Definiremo “patrimonio nazionale” o “capitale nazionale” il valore totale, calcolato sui prezzi di mercato, di tutto ciò che possiedono i residenti e i governi di un dato paese in un dato momento, e che può essere scambiato sul mercato.8 Si tratta della somma degli attivi non finanziari (fabbricati, terreni, fondi di commercio, edifici, macchinari, infrastrutture, brevetti e altri attivi professionali detenuti direttamente) e degli attivi finanziari (conti bancari, piani di risparmio, obbligazioni, azioni e altre quote di società, collocamenti finanziari di altra natura, contratti di assicurazione sulla vita, fondi pensione ecc.) dedotta dei passivi finanziari (vale a dire di tutti i debiti).9 Se ci limitiamo agli attivi e ai passivi detenuti dallo Stato e dalle amministrazioni pubbliche (enti locali, amministrazioni di previdenza sociale ecc.), otteniamo il patrimonio pubblico o capitale pubblico. Per definizione, il patrimonio nazionale è la somma di due termini:

Patrimonio nazionale = patrimonio privato + patrimonio pubblico

Attualmente, il patrimonio pubblico è, per la maggioranza dei paesi sviluppati, poco cospicuo (o negativo, qualora i titoli del debito pubblico superino l’attivo pubblico), e vedremo come il patrimonio privato equivalga un po’ ovunque alla totalità o quasi del patrimonio nazionale. Ma non è stato sempre così, ed è perciò importante distinguere bene le due nozioni.

Precisiamo che il concetto di capitale che utilizziamo esclude sì il capitale umano (quello che non può essere scambiato su un mercato, quantomeno nelle società non schiaviste), ma non si riduce con questo al capitale “fisico” (terreni, edifici, infrastrutture e altri beni dotati di un’esistenza materiale). In esso includiamo infatti anche il capitale “immateriale”, per esempio sotto forma di brevetti e altri diritti legati alla proprietà intellettuale, conteggiati sia come attivi non finanziari (quando sono degli individui a detenere direttamente i brevetti) sia come attivi finanziari, quando sono dei soggetti privati a detenere azioni in società che possiedono brevetti – che è poi il caso più frequente. Più in generale, molte forme di capitale immateriale vengono conteggiate attraverso il capitale in borsa delle società. Per esempio, il valore di mercato di una società dipende spesso dalla sua immagine e da quella dei suoi marchi, dai sistemi d’informazione e dai modelli di organizzazione, dagli investimenti materiali e immateriali realizzati per accrescere la visibilità e l’attrattiva dei prodotti e dei servizi, dalle spese di ricerca e sviluppo ecc. Il tutto finisce nel calcolo del valore azionario e di altre quote societarie, e da qui nel valore del patrimonio nazionale.

Esiste certo un ampio margine di arbitrarietà e incertezza nel valore fissato a un certo punto dai mercati finanziari per il capitale immateriale di una particolare società, o di un intero settore, com’è dimostrato dall’esplosione della bolla di Internet nel 2000, dalla crisi finanziaria in corso dal 2007-8 e più in generale dall’enorme volatilità della borsa. Ma è importante capire fin d’ora che si tratta di una caratteristica comune a tutte le forme di capitale, e non solo al capitale immateriale. Si tratti di un immobile o di un’impresa, di una società industriale o di servizi, è sempre molto difficile fissare un valore in materia di capitale. Eppure vedremo che il livello globale del patrimonio nazionale, per quanto riguarda un paese preso nel suo insieme e non questo o quell’attivo particolare, obbedisce a un certo numero di leggi e di costanti.

Precisiamo infine che a livello di ciascun paese il patrimonio nazionale può scomporsi in capitale interno e capitale estero:

Patrimonio nazionale = capitale nazionale = capitale interno + capitale estero netto

Il capitale interno misura il valore dello stock di capitale (immobili, imprese ecc.) sito sul territorio del paese considerato. Il capitale estero netto – o attivi esteri netti – misura la posizione patrimoniale del paese considerato in relazione al resto del mondo e agli attivi posseduti dal resto del mondo nel paese in questione. Per esempio, alla vigilia della prima guerra mondiale, il Regno Unito e la Francia possedevano, nel resto del mondo, una quantità considerevole di attivi esteri netti. Vedremo che una delle caratteristiche della globalizzazione finanziaria in atto dagli anni ottanta e novanta del Novecento consiste nel fatto che molti paesi possano avere quantitativi patrimoniali netti quanto mai vicini all’equilibrio ma quantitativi lordi estremamente elevati. In altri termini, l’intreccio di partecipazioni finanziarie tra società fa sì che ciascun paese possieda una quota importante del capitale interno degli altri paesi, senza che per questo i quantitativi netti tra paesi siano granché significativi. Va da sé che a livello mondiale, dal momento che il patrimonio mondiale si riduce al capitale interno dell’intero pianeta, i quantitativi netti finiscono per equilibrarsi.

Il capitale nel XXI secolo
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