La questione dello Stato sociale nei paesi poveri ed emergenti

Il processo di costruzione dello Stato sociale osservato nei paesi sviluppati nel corso del XX secolo ha una portata universale? Finirà cioè per rispecchiare un processo analogo nei paesi poveri ed emergenti? Non esiste niente di meno sicuro. In primo luogo va sottolineato il fatto che all’interno del mondo ricco sussistono grosse differenze: i paesi dell’Europa occidentale sembrano essersi stabilizzati attorno a un tasso di prelievo fiscale pubblico dell’ordine del 45-50% del reddito nazionale, mentre gli Stati Uniti e il Giappone paiono solidamente attestati sul 30-35%. Il che dimostra come siano possibili scelte diverse per un analogo livello di sviluppo.

Se si esamina l’evoluzione del tasso di prelievo fiscale nei paesi più poveri del pianeta a partire dagli anni settanta e ottanta del Novecento, si riscontrano livelli estremamente bassi dei prelievi pubblici, in genere compresi tra il 10% e il 15% del reddito nazionale, tanto nell’Africa subsahariana quanto nell’Asia del Sud (in particolare in India). Se si considerano i paesi con un livello di sviluppo intermedio, in America Latina, in Africa del Nord o in Cina, si osservano tassi di prelievo fiscale compresi tra il 15% e il 20% del reddito nazionale, inferiori a quelli osservati nei paesi ricchi con lo stesso grado di sviluppo. Ciò che più sorprende è che il divario rispetto ai paesi ricchi è continuato ad aumentare nel corso degli ultimi decenni. Mentre nei paesi ricchi il tasso di prelievo fiscale medio ha proseguito la sua crescita fino a stabilizzarsi (dal 30-35% all’inizio degli anni cinquanta al 35-40% a partire dagli anni ottanta e novanta), quello osservato nei paesi poveri e intermedi si è significativamente abbassato. Nell’Africa subsahariana e nell’Asia del Sud il tasso di prelievo fiscale medio era leggermente inferiore al 15% tra gli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta, e nel periodo 1990-2000 è sceso a poco più del 10%.

Si tratta di un calo preoccupante, poiché il processo di costruzione di uno Stato fiscale e sociale è stato, in tutti i paesi attualmente sviluppati, un elemento essenziale del processo di modernizzazione e di sviluppo. Tutte le esperienze storiche suggeriscono che con il 10-15% del reddito nazionale di entrate fiscali è possibile assicurare solo i tradizionali servizi pubblici: se si vuole far funzionare bene la polizia e la giustizia, non resta molto altro per finanziare l’istruzione e la sanità. L’altra possibile scelta è pagare poco tutti, poliziotti, giudici, insegnanti e infermieri, nel qual caso è probabile che qualcuno di questi servizi non funzionerà come si deve. E il tutto può generare un circolo vizioso, poiché il cattivo funzionamento dei pubblici servizi contribuirà a sua volta a minare la fiducia nello Stato, con conseguenti gravi ricadute sulla riscossione fiscale. Lo sviluppo di uno Stato fiscale e sociale è intimamente legato al processo di costruzione dello Stato tout court. Si tratta insomma di una storia prima di tutto politica e culturale, intrinsecamente legata alle peculiarità di ciascuna storia nazionale e alle differenze proprie di ciascun paese.

Nel nostro caso, sembrerebbe però che i paesi ricchi e gli organismi internazionali non siano esenti da responsabilità. Già la situazione iniziale non è stata molto favorevole: il processo di decolonizzazione ha dato luogo tra gli anni cinquanta e settanta a fasi politiche piuttosto caotiche, segnate, a seconda dei paesi, da guerre d’indipendenza dichiarate all’ex potenza colonizzatrice, da frontiere relativamente arbitrarie, da tensioni militari legate alla guerra fredda, o ancora a esperienze socialiste perlopiù inconcludenti – a volte da un misto di tutto ciò. Dopodiché, a partire dagli anni ottanta e novanta, l’ondata ultraliberista prodotta dai paesi sviluppati ha finito per imporre ai paesi poveri tagli nel settore pubblico e per relegare all’ultimo posto delle priorità la costruzione di un sistema fiscale propizio allo sviluppo. Una ricerca recente, molto dettagliata, ha dimostrato che il calo delle entrate fiscali osservato nei paesi più poveri nel corso degli anni ottanta e novanta del Novecento si spiega in gran parte con il crollo dei diritti doganali che, negli anni settanta, garantivano una quota pari al 5% del reddito nazionale. La liberalizzazione degli scambi non è certo cattiva in sé – ma a condizione che non sia brutalmente imposta dall’esterno, e soprattutto a condizione che sia gradualmente compensata dallo sviluppo di un’amministrazione fiscale in grado di prelevare altre imposte e di trovare entrate sostitutive. I paesi oggi sviluppati, che hanno gradualmente ridotto i diritti doganali nel corso del XIX e del XX secolo, nella misura secondo loro più proficua e che ne consentisse la sostituzione, non hanno avuto, per fortuna, nessuno che gli spiegasse che cosa dovessero fare.50 L’episodio illustra bene un fenomeno più generale, vale a dire la tendenza dei paesi ricchi a utilizzare quelli meno sviluppati come terreno ideale per la sperimentazione, senza veramente cercare di trarre insegnamento dalla loro l’esperienza storica nazionale.51 Oggi, nei paesi poveri ed emergenti, vediamo all’opera una grande varietà di scelte. Alcuni, come la Cina, risultano, nella modernizzazione del sistema fiscale, relativamente avanzati, con un’imposta sul reddito che riguarda una parte rilevante della popolazione e assicura entrate sostanziose. In Cina si va forse costruendo uno Stato sociale analogo a quelli osservati nei paesi sviluppati europei, americani e asiatici (con le sue specificità e, com’è ovvio, con enormi ripercussioni sulle proprie fondamenta politiche e democratiche). Altri paesi, come l’India, stanno faticando molto di più a uscire da uno stato d’equilibrio caratterizzato da un tasso di prelievo fiscale bassissimo.52 Comunque, la questione dello sviluppo di uno Stato fiscale e sociale nel mondo emergente riveste un’importanza capitale per il futuro del pianeta.

1 Come di consueto, abbiamo incluso nei prelievi obbligatori l’insieme delle imposte, delle tasse, dei contributi sociali, dei prelievi fiscali di qualsiasi natura che ciascun cittadino è obbligato a pagare, a meno di contravvenire alla legge. Le distinzioni tra queste differenti nozioni – in particolare tra imposte e contributi – non sono sempre molto chiare, e in ogni caso non hanno il medesimo significato per tutti i paesi. Per stabilire confronti storici e internazionali, è indispensabile considerare l’insieme dei prelievi fiscali, siano essi pagati allo Stato centrale o federale, alle comunità locali o regionali, o alle varie amministrazioni pubbliche (casse di previdenza sociale ecc.). Per semplificare l’esposizione, quando parleremo di imposte, ci riferiremo sempre, salvo diversa indicazione, all’insieme dei prelievi fiscali obbligatori. Cfr. allegato tecnico.

2 Le spese militari equivalgono in genere almeno al 2-3% del reddito nazionale e possono salire molto oltre in un paese militarmente attivo (oggi negli Stati Uniti, rappresentano più del 4% del reddito nazionale), o in paesi che si sentono minacciati nella sicurezza e nel diritto di proprietà (più del 10% del reddito nazionale in Arabia Saudita o nei paesi del Golfo).

3 Nel XIX secolo i bilanci per la pubblica istruzione e la sanità non superano in genere la soglia 1-2% del reddito nazionale. Per una prospettiva storica sullo sviluppo molto lento delle spese sociali a partire dal XVIII secolo e sull’accelerazione registratasi nel XX, cfr. P. Lindert, Growing Public: Social Spending and Economic Growth since the 18th Century, Cambridge, Cambridge University Press, 2004.

4 Si noterà che il peso dei prelievi fiscali obbligatori è espresso qui in rapporto al reddito nazionale (in genere, attorno al 90% del PIL, al netto del 10% della svalutazione del capitale). È un metodo che mi pare giustificato, dal momento che la svalutazione non costituisce un reddito per nessuno (cfr. cap. 1). Se i prelievi vengono espressi in rapporto al PIL, le quote ottenute sono per definizione del 10% più basse (per esempio, il 45% del PIL anziché il 50% del reddito nazionale).

5 La disparità di pochi punti tra paese e paese può essere dovuta a differenze puramente statistiche. Una disparità di cinque-dieci punti corrisponde invece a differenze reali e sostanziali nel ruolo svolto dal potere pubblico nei vari paesi.

6 Nel Regno Unito, le imposte calano di qualche punto negli anni ottanta, in corrispondenza con la politica thatcheriana di disimpegno dello Stato, per poi risalire negli anni novanta sino al 2010, con i nuovi investimenti governativi nei servizi pubblici. In Francia, la spinta data dalla presenza dello Stato arriva più tardi che altrove, ma prosegue con molto maggior vigore negli anni settanta e ottanta, e la stabilizzazione ha inizio nel periodo 1985-1990.

7 Onde concentrarci sulle tendenze di lungo termine, abbiamo qui rappresentato delle medie decennali. Le serie annue dei tassi di prelievo fiscale obbligatorio includono spesso ogni tipo di piccole variazioni cicliche, perlopiù transitorie e poco significative. Cfr. allegato tecnico.

8 Il Giappone si colloca leggermente al di sopra degli Stati Uniti (32-33% del reddito nazionale). Il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda sono più vicine al livello del Regno Unito (35-40%).

9 La nozione di “stato sociale” mi sembra più conforme alla realtà e alla varietà delle funzioni assolte dal potere pubblico di quelle, più restrittive, di “stato assistenziale” o di welfare state.

10 Per la scomposizione completa della spesa pubblica relativa al periodo 2000-10 in numerosi paesi ricchi (Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti), cfr. tabella S13.2.

11 In linea di massima per l’istruzione il 5-6%, per la sanità l’8-9%. Cfr. allegato tecnico.

12 Il National Health Service, fondato nel 1948, fa talmente parte dell’identità nazionale britannica che è stata una sua creazione la coreografia di apertura dello spettacolo inaugurale dei giochi olimpici del 2012, così come quella dedicata alla Rivoluzione industriale e quella sull’affermazione dei gruppi rock negli anni sessanta.

13 Con l’aggiunta del costo delle assicurazioni private, il sistema sanitario americano è di gran lunga il più caro del mondo (quasi il 20% del reddito nazionale, contro il 10-12% in Europa): una parte rilevante della popolazione non è coperta da alcuna tutela e gli indicatori sanitari sono in genere meno buoni che in Europa. Pur con tutti i loro difetti, i sistemi sanitari pubblici universali offrono sicuramente un miglior rapporto costi/benefici del sistema americano.

14 Al contrario, l’aumento delle spese pubbliche per l’istruzione e la sanità riduce il reddito disponibile (monetario) delle famiglie: un fenomeno che spiega perché i redditi familiari sono passati dal 90% del reddito nazionale all’inizio del XX secolo a circa il 70-80% all’inizio del XXI. Cfr. cap. 5.

15 Nell’economia classica questo sistema calmierato (con nel caso estremo una pensione quasi forfettaria per tutti, come nel Regno Unito) viene detto “beveridgiano”, in antitesi con i sistemi pensionistici di tipo “bismarckiano”, “scandinavo” o “latino”, nei quali le pensioni, per la maggioranza della popolazione, sono quasi proporzionali ai salari (o quasi completamente come in Francia, in cui il tetto limite agisce in misura minima, essendo posto a otto volte il salario medio contro le due-tre volte della maggioranza dei paesi).

16 In Francia, paese che brilla spesso per l’estrema complessità dei dispositivi sociali e il groviglio delle regole e delle strutture, meno della metà delle persone che avrebbero diritto per legge al “RSA activité” (reddito di solidarietà attiva finalizzato a compensare un salario molto basso a tempo parziale) ne fanno domanda.

17 Una differenza importante tra i due continenti è che negli Stati Uniti i sistemi di reddito minimo sono sempre stati appannaggio di persone con figli a carico. Per le persone senza figli a carico, è il carcere a fungere spesso da stato assistenziale, in particolare per i giovani di colore. Nel 2013 circa l’1% della popolazione adulta si è trovata dietro le sbarre. Negli Stati Uniti il tasso medio di carcerazione è il più alto del mondo (leggermente superiore a quello della Russia e molto superiore a quello della Cina): per i neri adulti (senza distinzione d’età) supera il 5%. Cfr. allegato tecnico. Un’altra peculiarità è il ricorso ai Food stamps (il cui scopo è assicurare ai beneficiari una buona alimentazione e impedire loro di darsi all’alcol e ad altri vizi): una soluzione, anche in questo caso, abbastanza poco coerente con la visione liberale del mondo tipica degli Stati Uniti, e un’ulteriore testimonianza del peso dei pregiudizi americani nei confronti dei più poveri, pregiudizi evidentemente più estremi che in Europa, anche perché rafforzati dai pregiudizi razziali.

18 Con le differenze tra paese e paese descritte prima.

19 “We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty and the pursuit of Happiness; that to secure these rights, Governments are instituted among Men, deriving their just powers from the consent of the governed.”

20 Sulla nozione di “utilità comune” esiste un dibattito interminabile, il cui esame andrebbe molto al di là dei propositi del nostro libro. Una cosa è certa: chi ha scritto la Dichiarazione del 1789 non aveva in mente il concetto di utilitarismo elaborato da molti economisti sulla scia di John Stuart Mill e concepito come la somma matematica delle utilità individuali (dal momento che la funzione dell’utilità veniva considerata “concava” – man mano che il reddito cresce, l’utile cresce con sempre minor forza –, la redistribuzione dai più ricchi ai più poveri permette di aumentare l’utilità comune). È una rappresentazione matematica di un tipo (peraltro auspicabile) di redistribuzione che sembra avere ben poco a che fare con il modo in cui, oggi, ciascuno di noi si rappresenta il problema, in una realtà storica in cui la nozione di diritto appare prioritaria.

21 Sembrerebbe ragionevole definire i più svantaggiati come le persone che hanno avuto a che fare con i fattori più sfavorevoli e meno controllabili. Poiché la disuguaglianza delle condizioni di vita è dovuta, almeno in parte, a fattori che gli individui non controllano, come la disuguaglianza dei beni trasmessi dalla famiglia (eredità, capitale culturale ecc.) o dalla sorte (donazioni particolari, fortuna ecc.), è giusto che il potere pubblico cerchi, ugualmente, di ridurre per quanto può queste disuguaglianze di condizione. Il confine tra riequilibrio delle opportunità e delle condizioni è spesso permeabile (l’istruzione, la salute, il reddito sono al tempo stesso opportunità e condizioni). La nozione rawlsiana di beni fondamentali ci consente però di superare questa contraddizione, in gran parte fittizia.

22 “Social and economic inequalities are to be to the greatest benefit of the least advantaged members of society.” La formulazione rawlsiana del 1971 è stata ripresa in J. Rawls, Political Liberalism, New York, Columbia University Press, 1993 (trad. it. Il liberalismo politico, Torino, Edizioni di Comunità, 1994).

23 Queste impostazioni perlopiù teoriche sono state riprese di recente da Marc Fleurbaey e John Roemer, artefici di alcuni tentativi di applicazione empirica. Cfr. allegato tecnico.

24 Negli Stati Uniti le cose vanno diversamente, dove alcuni gruppi minoritari, ma significativi, rimettono radicalmente in discussione l’esistenza stessa di qualsiasi programma sociale federale, o di qualsiasi programma sociale tout court. Nel paese, infatti, i pregiudizi razziali non sembrano per nulla scomparsi (pensiamo ai contrasti in merito all’estensione del sistema sanitario, difesa dall’amministrazione Obama).

25 Su scala europea, sono i paesi più ricchi e più produttivi ad avere il sistema di tassazione più rigido (in Svezia e in Danimarca, tra il 50% e il 60% del reddito nazionale) e i paesi più poveri e meno sviluppati ad avere il sistema di tassazione più blando (in Bulgaria e in Romania appena poco più del 30% del reddito nazionale). Cfr. allegato tecnico.

26 Negli Stati Uniti, e soprattutto nel Regno Unito, la rapida estensione a macchia d’olio dello Stato sociale è avvenuta con un livello di crescita molto meno elevato: da qui, forse, quel senso di spossessamento di cui abbiamo parlato, raddoppiato dal fatto di sentirsi raggiunti sul piano economico da altri paesi (cfr. in particolare cap. 2).

27 Secondo i lavori di Anders Björklund e Arnaud Lefranc riguardanti rispettivamente la Svezia e la Francia, sembrerebbe che la correlazione intergenerazionale sia leggermente diminuita per le generazioni nate negli anni quaranta e cinquanta del Novecento, rispetto a quella delle generazioni nate negli anni venti e trenta, e abbia poi ripreso a salire per quelle nate negli anni sessanta e settanta. Cfr. allegato tecnico.

28 È possibile stimare la mobilità delle generazioni nate nel XX secolo (con una certa precisione e un certo grado di comparabilità tra paese e paese), ma è quasi impossibile risalire indietro nel tempo e stimare la mobilità intergenerazionale nel XIX secolo, a meno che non si ricorra al parametro dell’eredità (cfr. cap. 11). Ma si tratta di un problema differente da quello della mobilità delle qualifiche e dei redditi da lavoro del quale ci stiamo occupando qui, e sul quale si concentrano queste misurazioni di mobilità intergenerazionale (i dati utilizzati in questi lavori non permettono di isolare la mobilità dei redditi da lavoro).

29 In Svezia o Finlandia il coefficiente scende a 0,2-0,3 e negli Stati Uniti sale a 0,5-0,6. Il Regno Unito (0,4-0,5) sembra più vicino agli Stati Uniti, ma i divari rispetto a Germania e Francia (0,4) non sono sempre significativi. Sui raffronti internazionali tra coefficienti di correlazione intergenerazionale dei redditi da lavoro (confermati anche dalle correlazioni tra paesi simili), cfr. in particolare i lavori di Markus Jäntti. Cfr. allegato tecnico.

30 Nel 2012 e nel 2013, a Harvard, le quote di iscrizione per un undergraduate ammontano a 54.000 dollari l’anno, compresa la camera e spese varie (tra cui 38.000 dollari per le spese universitarie in senso stretto). Alcune università sono, addirittura più care di Harvard, la quale beneficia dei redditi elevati assicurati dal proprio patrimonio (cfr. cap. 12).

31 Cfr. G. Duncan, R. Murnane, Whiter Opportunity? Rising Inequality, Schools, and Children’s Life Chances, Chicago (IL), Russell Sage Foundation, 2011 (cfr., in particolare, cap. 6). Cfr. allegato tecnico.

32 Cfr. J. Meer, H. Rosen, “Altruism and the Child Cycle of Alumni Donations”, in American Economic Journal: Economic Policy, 2009.

33 Questo non significa che Harvard recluti unicamente tra il 2% della popolazione americana più ricca. Significa semplicemente che le ammissioni di studenti con genitori che non appartengono alla quota del 2% della popolazione più ricca, sono abbastanza rare, e che invece le ammissioni di studenti con genitori appartenenti alla fascia del 2% sono, in rapporto alla media generale, ai primissimi posti. Cfr. allegato tecnico.

34 Sono molto difficili da trovare, e poco studiate, delle statistiche anche elementari inerenti il reddito o il patrimonio medio dei genitori degli studenti delle differenti università americane.

35 Nel Regno Unito, nel 1998, le quote massime sono state portate a 1000 sterline, nel 2004 a 3000 sterline, nel 2012 a 9000 sterline. Sono quote che, considerando il totale delle risorse delle università britanniche, sembrano avvicinarsi nel 2010 ai livelli degli anni venti del XX secolo ed uguagliare i livelli americani. Cfr. gli interessanti dati storici elaborati da V. Carpentier, “Public-Private Substitution in Higher Education”, in Higher Education Quarterly, 2012.

36 All’inizio del 2013, la Baviera e la Bassa Sassonia hanno deciso di sopprimere i diritti d’iscrizione all’università (500 euro a semestre) e di allinearsi al resto della Germania, dove le iscrizioni sono totalmente gratuite. Nei paesi nordici, così come in Francia, i diritti non superano attualmente un importo di qualche centinaio di euro.

37 Scuole d’insegnamento specialistico a livello universitario, come l’École Normale Supérieure (ENS), l’École Polytechnique ecc., alle quali si accede dopo un corso propedeutico e mediante concorso (N.d.T.).

38 In Francia, nell’istruzione primaria e secondaria, si ritrova la stessa redistribuzione al contrario: gli studenti delle scuole e dei licei più sfavoriti hanno diritto a insegnanti meno esperti e meno preparati, dunque a una spesa pubblica media più bassa per giovane rispetto agli studenti delle scuole e dei licei più favoriti. È quindi ancora più deplorevole poiché una migliore ripartizione dei mezzi a favore dell’istruzione primaria aiuterebbe a ridurre notevolmente la disuguaglianza delle chance scolastiche. Cfr. T. Piketty, M. Valdenaire, “L’impact de la taille des classes sur la réussite scolaire dans les écoles, collèges et lycées français”, in Les dossiers du Ministère de l’Éducation nationale, de l’Enseignement supérieur et de la Recherche, 173, mars 2006.

39 Come per Harvard, il reddito medio indicato non significa che Sciences-Po recluti unicamente nell’ambito più ricco del 10% della popolazione. Per la ripartizione completa dei redditi dei genitori degli studenti di Sciences-Po nel 2011 e nel 2012, cfr. allegato tecnico.

40 Secondo la famosa classifica di Shanghai, gli Stati Uniti contano (parliamo del periodo 2012-13) 53 tra le 100 migliori università mondiali, contro le 31 dell’Europa (di cui 9 nel Regno Unito). La classifica, invece, delle 500 migliori università mondiali, si presenta in modo diverso – 150 università negli Stati Uniti e 202 in Europa, di cui 38 nel Regno Unito –, a riprova della grave disuguaglianza esistente nel totale delle università americane: circa 800 (cfr. cap. 12).

41 Si noterà comunque che, rispetto ad altre spese (come le pensioni), è relativamente più facile, per l’istruzione superiore, passare da un livello di spesa più basso (in Francia, appena l’1% del reddito nazionale) a uno più alto (in Svezia o negli Stati Uniti tra il 2% e il 3%).

42 Per esempio, i diritti d’iscrizione a Sciences-Po vanno attualmente da 0 euro per i redditi più modesti a quasi 10.000 euro per i redditi (dei genitori) superiori a 200.000 euro. Il sistema ha il merito di produrre dati sui redditi (abbastanza poco sfruttati, purtroppo). Anche se, rispetto ai finanziamenti pubblici alla scandinava, è un sistema che finisce praticamente per privatizzare l’adozione dell’imposta progressiva: la quota pagata dai genitori agiati è riservata ai propri figli e non ai figli degli altri; è il loro interesse e non quello degli altri.

43 Gli income-contingent loan applicati in Australia o nel Regno Unito corrispondono a prestiti sottoscritti dagli studenti di origine modesta che verranno ripagati solo una volta raggiunto un certo livello di reddito. Così, mentre gli studenti più agiati beneficiano delle donazioni (in genere non tassate) dei loro genitori, gli studenti più modesti si vedono in qualche modo caricati di un supplemento d’imposta sul reddito.

44 Cfr. É. Boutmy, E. Vinet, Quelques idées sur la création d’une faculté libre d’enseignement supérieur, Paris, A. Lainé, 1871. Cfr. anche P. Favre, “Les sciences d’État entre déterminisme e libéralisme. Émile Boutmy (1835-1906) et la création de l’École libre de sciences politiques”, in Revue française de sociologie, 1981.

45 Per un’analisi e una difesa di questo modello “multisolidale”, cfr. A. Masson, Des liens et des transferts entre générations, Paris, Éditions de l’EHESS, 2009.

46 Cfr. cap. 10, grafici 10.9-10.11.

47 Ricordiamo che la volatilità è la ragione stessa per la quale è stato introdotto, dopo la seconda guerra mondiale, il principio di ripartizione: tutti coloro che avevano investito i propri contributi pensionistici sui mercati finanziari negli anni venti e trenta si erano ritrovati in rovina, e nessuno intendeva ritentare l’esperienza dei sistemi obbligatori pensionistici basati sulla capitalizzazione, adottati da numerosi paesi prima della guerra (per esempio, in Francia, nel quadro delle leggi del 1910 e del 1928).

48 È quanto, in larga misura, è stato fatto in Svezia, con la riforma varata negli anni novanta. Il sistema potrebbe essere migliorato e applicato ad altri paesi. Cfr. per esempio A. Bozio, T. Piketty, Pour un nouveau système de retraite: des comptes individuels de cotisations financés par répartition, Paris, Rue de l’Ulm, 2008.

49 È anche possibile ipotizzare che il sistema pensionistico unificato offra, come complemento al sistema basato sulla ripartizione, una possibilità di rendimento garantito per risparmi modesti e medi. Come abbiamo visto nel cap. 12, è spesso molto difficile, per i più poveri, accedere al rendimento medio da capitale (o anche semplicemente a un rendimento positivo). Ed è quanto si propone, in certa misura, la (piccola) quota da capitalizzazione del sistema svedese.

50 Riassumiamo qui i principali risultati ottenuti da J. Cagé e L. Gadenne, The Fiscal Cost of Trade Liberalization, Harvard-PSE, 2012 (cfr. in particolare figura 1).

51 Alcuni problemi di organizzazione dei servizi relativi alla sanità e all’istruzione attualmente emersi nei paesi poveri sono problemi del tutto specifici e per la loro soluzione non ci si può certo ispirare alle esperienze passate dei paesi oggi sviluppati (pensiamo per esempio ai problemi creati dalla diffusione epidemica dell’AIDS), per cui sono perfettamente giustificate nuove sperimentazioni, anche di tipo aleatorio. Cfr. in proposito A. Barnerjee e E. Duflo, Repenser la pauvreté, Paris, Seuil, 2012. Mi sembra però evidente che, in generale, l’economia dello sviluppo a tutti i costi tenda a trascurare le esperienze storiche reali, il che, nel nostro caso, porta a sottovalutare il fatto di quanto sia difficile costruire uno Stato sociale efficiente con entrate fiscali irrisorie. Una delle difficoltà fondamentali è evidentemente legata al passato coloniale (la sperimentazione randomizzata offre un terreno più neutrale).

52 Cfr. N. Qian, T. Piketty, “Income Inequality and Progressive Income Taxation in China and India: 1986-2015”, in American Economic Journal: Applied Economic, 2009. La differenza tra Cina e India è strettamente legata alla maggiore quota di salario concessa alla manodopera cinese. L’esperienza storica dimostra che la costruzione di uno Stato fiscale e sociale e lo sviluppo di uno statuto salariale procedono spesso di pari passo.

Il capitale nel XXI secolo
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