Rimettere la questione della distribuzione al centro dell’analisi economica
La questione è importante, e non solo per ragioni storiche. A partire dagli anni settanta del XX secolo le disuguaglianze all’interno dei paesi ricchi – in particolare negli Stati Uniti, dove nel primo decennio del XXI secolo la concentrazione dei redditi ha raggiunto, o leggermente superato, il livello record del decennio tra il 1910 e il 1920 – si sono di nuovo accentuate: per cui diventa essenziale comprendere bene perché e come esse siano diminuite la prima volta. È vero che la crescita fortissima dei paesi poveri ed emergenti, in particolare della Cina, costituisce un notevole potenziale fattore di riduzione delle disuguaglianze a livello mondiale, così com’è accaduto per la crescita dei paesi ricchi durante i Trente glorieuses. Ma è anche vero che tale processo solleva forti inquietudini in seno ai paesi emergenti, e ancor più tra i paesi ricchi. Tra l’altro, gli squilibri impressionanti osservati negli ultimi decenni sui mercati finanziari, petroliferi e immobiliari possono suscitare comprensibili dubbi circa il carattere ineluttabile del “percorso di crescita equilibrata” descritto da Solow e Kuznets, secondo il quale tutto deve presumibilmente crescere allo stesso ritmo. La domanda che preoccupa è: non sarà che il mondo del 2050 o del 2100 finirà nelle mani dei trader, degli alti dirigenti e dei detentori di patrimoni rilevanti, o dei paesi produttori di petrolio, o della Banca della Cina, o addirittura dei paradisi fiscali che faranno da copertura, in un modo o nell’altro, a tutti costoro? E secondo noi sarebbe assurdo non porla, continuando a pensare, per principio, che la crescita sia per sua natura a lungo termine “equilibrata”.
In un certo modo, oggi, agli inizi del XXI secolo, ci troviamo nella stessa situazione degli osservatori del XIX secolo: assistiamo a trasformazioni impressionanti, ed è ben difficile sapere fin dove potranno portare e come si presenterà la distribuzione delle ricchezze nell’arco di qualche decennio, tra un paese e l’altro e all’interno del medesimo paese. Gli economisti del XIX secolo hanno avuto un merito immenso: hanno posto il problema della distribuzione al centro dell’analisi, e hanno cercato di studiarne le tendenze sul lungo periodo. Le loro risposte non sono sempre state soddisfacenti, ma almeno rispondevano a delle buone domande. Invece, oggi, non abbiamo alcuna ragione di credere nel carattere automaticamente equilibrato della crescita. Oggi è più urgente che mai rimettere la questione delle disuguaglianze al centro dell’analisi economica e tornare a porre le domande lasciate senza adeguata risposta nel XIX secolo. Per troppo tempo il problema della distribuzione delle ricchezze è stato trascurato dagli economisti, in parte a seguito delle conclusioni ottimistiche di Kuznets, in parte a causa di un’eccessiva simpatia della professione per i modelli matematici semplicistici, i cosiddetti modelli “a parametri rappresentativi”.18 E, per rimettere la questione della distribuzione al centro dell’analisi, bisogna cominciare con il raccogliere il massimo numero di dati storici, in modo da capire meglio gli sviluppi del passato e le tendenze del presente. Perché è stabilendo con pazienza fatti e costanti, è confrontando le esperienze dei diversi paesi, che possiamo sperare di individuare meglio i meccanismi in gioco e chiarirci le idee per il futuro.