Il discorso di Vautrin
Pubblicato nel 1835, Papà Goriot è uno dei romanzi più celebri di Balzac. Si tratta sicuramente dell’espressione letteraria più riuscita della struttura delle disuguaglianze nella società del XIX secolo, e del ruolo centrale svolto dall’eredità e dal patrimonio.
La trama di Papà Goriot è limpida. Ex operaio pastaio, papà Goriot ha fatto fortuna come commerciante di grani e di pasta durante il periodo rivoluzionario e napoleonico. Vedovo, ha sacrificato tutto per far sì che le due figlie, Delphine e Anastasie, sposassero due tra i migliori partiti della società parigina degli anni dieci e venti dell’Ottocento. Ha tenuto per sé solo quanto gli occorre per il vitto e l’alloggio in una sordida pensione dove incontra Eugène de Rastignac, ventunenne di nobile origine ma spiantato, venuto dalla provincia per studiare diritto a Parigi. Ambizioso, avvilito dalla sua condizione di povertà, Eugène tenta, grazie a una lontana cugina, di accedere ai salotti esclusivi frequentati dall’aristocrazia, dalla grande borghesia e dell’alta finanza della Restaurazione. Ben presto si innamora di Delphine, trascurata dal marito, il barone di Nucingen, un banchiere che ha approfittato della dote della moglie per impiegare il denaro in numerose speculazioni. Rastignac finirà per perdere presto ogni illusione, scoprendo il cinismo di una società completamente corrotta dal denaro. E scopre con sgomento come papà Goriot sia stato abbandonato dalle figlie, che si vergognano di lui e non lo vedono da quando hanno fatto fortuna, concentrate esclusivamente sul loro successo mondano. Alla fine, il vecchio muore in miseria e in solitudine. Solo Rastignac assiste al suo funerale. Ma, appena uscito dal cimitero di Père-Lachaise, affascinato dalla vista della bella vita di Parigi che gli si offre sullo sfondo, lungo le rive della Senna, decide di lanciarsi alla conquista della capitale: “E ora, a noi due!” La sua educazione sentimentale e sociale è conclusa: d’ora in poi diventerà anche lui un arrivista feroce e spietato.
Il momento più inquietante del romanzo, quello in cui le alternative sociali e morali che Rastignac si trova di fronte si manifestano con maggiore chiarezza e ferocia, è senza dubbio il discorso che gli rivolge Vautrin verso la metà del romanzo.1 Anch’egli residente nella lurida pensione Vauquer, Vautrin è un personaggio sinistro, mistificatore e carismatico, che dissimula molto bene il suo oscuro passato di galeotto, esattamente come l’Edmond Dantès del Conte di Montecristo o il Jean Valjean dei Miserabili. Ma, contrariamente a questi due personaggi, tutto sommato positivi, Vautrin è profondamente malvagio e cinico. Cerca di coinvolgere Rastignac in un delitto per mettere le mani su un’eredità. E, per convincerlo, gli fa un discorso estremamente preciso e scioccante sui diversi destini e le diverse strade che si aprono a un giovane come lui nella società francese dell’epoca.
In sostanza, Vautrin spiega a Rastignac che il successo sociale ottenuto con lo studio, il merito e il lavoro è un’illusione. E gli traccia un quadro circostanziato delle varie, possibili carriere nel caso in cui proseguisse gli studi, per esempio nel campo del diritto o della medicina, due settori dove primeggia in linea di massima una logica legata alla competenza professionale, e non alle ricchezze ricevute in eredità. In particolare, Vautrin indica con grande precisione a Rastignac i livelli di reddito ai quali può sperare di accedere in ciascuna delle due professioni. La sua conclusione è senza appello: anche se fosse tra i giovani laureati in diritto più meritevoli di Parigi, anche intraprendendo una carriera forense brillantissima e folgorante, cosa che comunque richiederebbe dei compromessi, Eugène dovrà in ogni caso accontentarsi di redditi mediocri, e rinunciare a godere di un’autentica agiatezza:
Verso i trent’anni diverrete giudice a milleduecento franchi l’anno, se non avrete ancora gettato la toga alle ortiche. Quando avrete raggiunto la quarantina, sposerete la figlia di qualche mugnaio, con circa seimila lire di rendita. Grazie tante! Se invece godrete di qualche protezione, sarete procuratore del re a trent’anni, con mille scudi di stipendio [cinquemila franchi], e sposerete la figlia del sindaco. Se poi commetterete qualche piccola bassezza politica, a quarant’anni sarete procuratore generale […]. Ho poi l’onore di farvi notare che ci sono solo venti procuratori generali in Francia, e che ad aspirare al grado sono in ventimila, tra i quali ci sono personaggi che venderebbero la famiglia per salire di un gradino. Se la professione vi disgusta, vediamo qualcos’altro. Il barone di Rastignac vuol essere avvocato? Molto bene! Bisogna penare per dieci anni, spendere mille franchi al mese, avere una biblioteca, uno studio, andare in società, baciare la toga di un procuratore legale per avere delle cause, leccare i pavimenti del palazzo di giustizia. Se tutto ciò vi andasse bene, non vi direi di no; ma trovatemi, a Parigi, cinque avvocati che, a cinquant’anni, guadagnino più di cinquantamila franchi l’anno!2
Al confronto, la strategia di ascesa sociale che Vautrin propone a Rastignac è molto più efficace. Sposando la signorina Victorine, una ragazza riservata che vive alla pensione e che ha occhi solo per il bell’Eugène, il giovane metterà immediatamente le mani su un patrimonio di un milione di franchi. Il che gli permetterà di godere per vent’anni di una rendita di 50.000 franchi (circa il 5% del capitale) e di raggiungere all’istante, senza alcuna fatica, un livello di agiatezza dieci volte più alto di quello che gli frutterebbe molti anni dopo un compenso da procuratore del re (un guadagno elevato quanto quello maturato da pochissimi e ricchissimi avvocati parigini solamente a cinquant’anni, dopo almeno trent’anni di fatiche e di intrallazzi).
La conclusione è scontata: Rastignac deve senz’altro sposare la giovane Victorine e trascurare il fatto che non sia né molto graziosa né molto seducente. Eugène ascolta con avidità, fino al colpo di grazia finale: perché la ragazza, illegittima, venga finalmente riconosciuta dal ricco genitore e diventi legittima erede di quel milione di franchi di cui parla Vautrin, è prima di tutto indispensabile assassinarne il fratello, delitto di cui l’ex galeotto è pronto a farsi carico, facendosi naturalmente pagare una commissione. Un po’ troppo per Rastignac, il quale è certo sensibile agli argomenti di Vautrin sui meriti dell’eredità rispetto a quelli dello studio, ma non al punto da commettere un omicidio.