Elementi di spiegazione: il tempo, l’imposta e la crescita

In definitiva, non è affatto sorprendente che tra il 1910 e il 1950 la concentrazione dei patrimoni sia notevolmente diminuita in tutti i paesi. In altri termini, la curva discendente espressa dai grafici 10.1-10.5 non è tanto difficile da spiegare. Il dato più sorprendente, invece, e in qualche modo più interessante, è che la concentrazione dei patrimoni non pare essersi mai ripresa dalle crisi subite.

È bene comunque insistere sul fatto che l’accumulo del capitale è un processo a lungo termine, che si dispiega nel corso di più generazioni. La concentrazione patrimoniale osservata in Europa nella belle époque è la conseguenza di un processo cumulativo che si sviluppa nel corso di molti decenni, o anche di molti secoli. Come abbiamo visto nella Parte seconda, bisogna attendere i primi anni del XXI secolo perché il totale dei patrimoni privati, immobiliari e finanziari, espresso in annualità di reddito nazionale, torni a occupare più o meno il livello che occupava alla vigilia della prima guerra mondiale – del resto, nell’insieme dei paesi ricchi, il processo di ripresa storica del rapporto capitale/reddito è verosimilmente ancora in corso.

Certo, per quanto riguarda la distribuzione dei patrimoni, sarebbe stato ragionevole pensare che i violenti contraccolpi subiti negli anni 1914-45 potessero essere riassorbiti nel giro di un decennio o di un ventennio, e che negli anni cinquanta-sessanta la concentrazione delle ricchezze potesse riallinearsi sui livelli del 1910. Così non è stato. Cionondimeno, dopo gli anni settanta e ottanta, la disuguaglianza da capitale ha ripreso a crescere. Per cui è possibile che un processo di riallineamento, anche se più lento della ripresa del rapporto capitale/reddito, sia comunque in corso e che la concentrazione patrimoniale stia per recuperare automaticamente i livelli del passato.

Questa prima spiegazione, fondata sull’idea che il tempo trascorso dal 1945 non sia stato abbastanza lungo, ha la sua parte di verità. Ma non è sufficiente: quando si esamina la crescita della quota del decile superiore della gerarchia dei patrimoni, e a maggior ragione la quota del centile superiore (che in tutti i paesi europei, intorno al 1910, era dell’ordine del 60-70% del patrimonio totale, e che nel 2010 è solamente del 20-30%), si ha la netta impressione che in seguito alle catastrofi del 1914-45 si sia prodotto un cambiamento strutturale tale da impedire alla concentrazione patrimoniale di recuperare per intero i livelli precedenti. Il problema non è solo quantitativo. Tutt’altro. Come vedremo nel prossimo capitolo riprendendo in esame il problema posto dal discorso di Vautrin a proposito del tenore di vita al quale l’eredità e il lavoro permettono di accedere, la differenza tra una quota del 60-70% e una del 20-30% del patrimonio nazionale detenuta dal centile superiore della gerarchia dei redditi si spiega in modo piuttosto semplice: nel primo caso, il centile superiore della gerarchia dei redditi è nettamente dominato dagli alti redditi da capitale ereditario (siamo nella società dei rentiers descritta dai romanzieri del XIX secolo); nel secondo, gli alti redditi da lavoro – per una data distribuzione – equilibrano più o meno gli alti redditi da capitale (siamo passati a una società di alti dirigenti, o quantomeno a una società più equilibrata). E la comparsa di una “classe media patrimoniale”, detentrice nel suo insieme di una quota compresa tra un quarto e un terzo del patrimonio nazionale, e non più di una quota compresa tra un ventesimo e un decimo (cioè poco più della metà più povera della società), conferma l’importante trasformazione sociale in atto.

Quali sono, dunque, i mutamenti strutturali intervenuti tra il 1914 e il 1945, e più in generale nel corso del XX secolo, rispetto ai secoli precedenti, tali da far pensare che la concentrazione patrimoniale non sia in grado di recuperare per intero i livelli di un tempo – quando invece i patrimoni privati considerati nel loro complesso si sono, oggi, praticamente riallineati con quelli assai prosperi di un tempo? La spiegazione più naturale e decisiva sta nella comparsa, nel corso del XX secolo, di una pesante imposizione fiscale sia sul capitale sia sui redditi. È importante insistere sul fatto che la fortissima concentrazione patrimoniale osservata nel 1900-10 è frutto di un lungo periodo storico caratterizzato dall’assenza di guerre o di catastrofi gravi (perlomeno in rapporto a quelle così violente del XX secolo), nonché – forse soprattutto – di un mondo senza imposte o quasi. Fino alla prima guerra mondiale, nella maggior parte dei paesi non esiste alcuna imposta sui redditi da capitale o sui redditi delle società; nei rari casi in cui tali imposte esistono, il loro prelievo avviene a tassi bassissimi. Siamo quindi in presenza di condizioni ideali per accumulare e trasmettere ricchezze considerevoli, e per vivere delle rendite prodotte dai patrimoni detenuti. Nel corso del XX secolo compaiono invece molte forme d’imposta, sui dividendi, sugli interessi, sui profitti e gli affitti, per cui il dato risulta radicalmente modificato.

Per semplificare, possiamo constatare che in un primo tempo, fino al 1900-10, il tasso medio d’imposta sul rendimento da capitale era molto vicino allo 0% (in ogni caso inferiore al 5%), e che solo a partire dagli anni cinquanta-ottanta del Novecento, e in una certa misura fino all’inizio del XXI secolo, si è attestato, nei paesi ricchi, attorno al 30%, anche se la tendenza recente è quella di una compressione verso il basso, nel quadro della concorrenza fiscale tra Stati originata in particolare dai paesi di minor spessore economico. Ora, un tasso d’imposta medio dell’ordine del 30%, tale cioè da far scendere un rendimento da capitale dal 5% lordo al 3,5% netto, è di per sé sufficiente a produrre effetti consistenti sul lungo termine, anche in considerazione della logica moltiplicativa e cumulativa che caratterizza il processo dinamico di accumulazione e di concentrazione dei patrimoni. Utilizzando i modelli teorici descritti prima, è possibile mostrare che un tasso d’imposta effettivo del 30% – se realmente applicato a tutte le forme di capitale – può bastare a spiegare da solo una deconcentrazione patrimoniale molto forte (corrispondente al calo della quota del centile superiore osservata storicamente36).

Bisogna anche sottolineare che, in un quadro del genere, l’imposta non ha come effetto la riduzione dell’accumulo totale di patrimoni, bensì la modifica strutturale della distribuzione a lungo termine del patrimonio tra i differenti decili della gerarchia delle ricchezze. Secondo il modello teorico, come pure secondo la realtà storica, il fatto di far salire il tasso d’imposta del capitale dallo 0% al 30% (e di far scendere il rendimento netto del capitale dal 5% al 3,5%) può benissimo non avere alcun effetto sullo stock totale di capitale a lungo termine, per la semplice ragione che il calo dei patrimoni del centile superiore è compensato dalla crescita della classe media patrimoniale. Che è poi quanto è accaduto nel XX secolo – una lezione a volte dimenticata, al giorno d’oggi.

Da questo punto di vista, va anche considerata l’introduzione, nel corso del XX secolo, di imposte progressive di particolare peso, a tassi strutturalmente elevati, da un lato sui redditi più alti (quantomeno fino agli anni settanta-ottanta), dall’altro sulle successioni più consistenti. Nel XIX secolo, le imposte di successione erano molto basse: appena l’1-2% sulle trasmissioni dai genitori ai figli. Un’imposta del genere non aveva evidentemente alcun effetto sensibile sui processi di accumulazione dei patrimoni: in pratica, finiva per trattarsi di un diritto di registrazione destinato a preservare il diritto di proprietà. L’imposta francese sulle successioni diventa progressiva nel 1901, ma il tasso più alto applicabile in linea diretta non supera il 5% (e si applica solo a poche decine di successioni l’anno). Un tasso simile, prelevato una volta ogni generazione, non può avere un grande effetto sulla concentrazione patrimoniale, checché ne abbiano pensato i detentori di patrimoni dell’epoca. Ben altra cosa sono invece i tassi del 20-30% – a volte anche di più – applicati nei paesi ricchi alle successioni più consistenti dopo le catastrofi militari, economiche e politiche del periodo 1914-45. Con la conseguenza che ogni generazione deve oggi ridurre il proprio tenore di vita e risparmiare di più (oppure realizzare investimenti particolarmente vantaggiosi) per far sì che il patrimonio di famiglia cresca allo stesso ritmo con cui cresce il reddito medio della società. Insomma, mantenere il proprio status sociale diventa sempre più difficile. Mentre, viceversa, diventa più facile per coloro che per farsi strada partono dal basso, per esempio riscattando le imprese o le attività vendute al momento di una successione. Simulazioni assai semplici mostrano, anche in questo caso, che un’imposta progressiva sulle successioni può ridurre notevolmente la quota del centile superiore che caratterizza la distribuzione dei patrimoni sul lungo termine.37 Anche le differenze tra le norme relative alle successioni applicabili nei vari paesi possono contribuire a spiegare certi divari tra paese e paese, per esempio la forte concentrazione degli altissimi redditi da capitale (che pare implicare una fortissima concentrazione patrimoniale) osservata in Germania dopo la seconda guerra mondiale: l’imposta applicata alle successioni più consistenti non ha superato, in genere, il 15-20%, mentre in Francia ha spesso toccato il 30-40%.38

Il ragionamento teorico, così come le simulazioni informatiche, suggeriscono che l’aumento dell’importanza dell’imposta sulle successioni basta a spiegare – senza che occorra fare appello ad altre trasformazioni strutturali – la sostanza degli sviluppi osservati. Va comunque ripetuto, in proposito, che la concentrazione patrimoniale, benché molto inferiore rispetto a quella di inizio Novecento, rimane estremamente forte: non c’è stato dunque bisogno di un sistema fiscale perfetto e ideale per giungere a un tale risultato, e per prendere atto di una trasformazione così radicale di cui comunque è bene non esagerare la portata.

Il capitale nel XXI secolo
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