La fine degli standard monetari nel XX secolo
Con la prima guerra mondiale questo mondo collassa in modo irrimediabile e definitivo. Per finanziare gli scontri bellici, di una violenza e di un’intensità inaudite, per pagare i soldati e gli armamenti impiegati, sempre più costosi e sofisticati, i governi si indebitano pesantemente. Nell’agosto 1914 i principali paesi belligeranti pongono fine alla convertibilità in oro della propria moneta. Dopo la guerra, tutti i paesi, per riassorbire l’enorme indebitamento pubblico, ricorreranno, a livelli diversi, all’ancora di salvezza della cartamoneta. I tentativi, negli anni venti, di reintrodurre la base aurea non reggeranno alla crisi degli anni trenta: il Regno Unito abbandona la base aurea nel 1931, gli Stati Uniti nel 1933, la Francia nel 1936. La base dollaro-oro del dopoguerra durerà poco di più: adottata nel 1946, scompare nel 1971 con la fine della convertibilità del dollaro in oro.
Tra il 1913 e il 1950, l’inflazione supera in Francia il 13% annuo (con una moltiplicazione per cento dei prezzi) e raggiunge in Germania il 17% (con una moltiplicazione per più di trecento dei prezzi). Nel Regno Unito e negli Stati Uniti, toccati meno pesantemente dalla guerra, il tasso d’inflazione è molto più basso: appena il 3% tra il 1913 e il 1950. Anche se, in ogni caso, corrisponde a una moltiplicazione per tre, mentre nel corso dei due secoli precedenti i prezzi non si erano mossi.
In tutti i paesi, le catastrofi degli anni 1914-45 destabilizzano gli standard monetari prevalenti nell’anteguerra, e la destabilizzazione è destinata ad aumentare nella misura in cui il processo inflazionistico, da allora a oggi, non si è più realmente fermato.
Il tutto appare con chiarezza nel grafico 2.6, che indica la crescita dell’inflazione per sottoperiodi nei quattro paesi, dal 1700 al 2012. Si noterà che l’inflazione si colloca in media tra il 2% e il 6% annuo tra il 1950 e il 1970, per poi segnare un forte rialzo negli anni settanta, al punto che, tra il 1970 e il 1990, l’inflazione media, a dispetto del forte processo di disinflazione avviato un po’ ovunque dai primi anni novanta, raggiunge il 10% nel Regno Unito e l’8% in Francia. Giusto per rapportarla ai decenni precedenti, si sarebbe tentati di dire che il periodo 1990-2012, con un’inflazione media attorno al 2% annuo nei quattro paesi (un po’ meno in Germania e in Francia, un po’ di più nel Regno Unito e negli Stati Uniti), fa segnare un tendenziale ritorno verso il livello zero d’inflazione, vale a dire il livello degli anni precedenti la prima guerra mondiale.
Grafico 2.6.
L’inflazione dopo la Rivoluzione
industriale
Nel XVIII e nel XIX secolo, nei paesi ricchi, l’inflazione è stata nulla, si è impennata nel corso del XX secolo e dal 1990 si aggira attorno al 2% annuo.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
In questo modo, però, si ometterebbe di dire che un’inflazione del 2% annuo è molto differente da un’inflazione dello 0%. Se poi si aggiunge all’inflazione annua del 2% una crescita reale di appena l’1-2% annuo, si ottiene un aumento tendenziale di tutti gli importi – prodotti, redditi, salari – del 3-4% annuo, al punto che, nel giro di dieci o vent’anni, tutte le somme in gioco sarebbero completamente da rivedere. Ricordate i salari della fine degli anni ottanta o dell’inizio degli anni novanta? Inoltre è possibilissimo, se si pensa all’evoluzione delle politiche monetarie successive alla crisi del 2007-8, in particolare nel Regno Unito, che un’inflazione del 2% annuo sia destinata a crescere, anche se di poco, negli anni a venire. Si tratta insomma di una differenza considerevole rispetto al regime monetario di un secolo fa. Ed è anche interessante notare che la Germania e la Francia, i due paesi che nel XX secolo hanno fatto più ricorso degli altri a una politica inflazionistica, in particolare tra il 1913 e il 1950, sembrano oggi i più riluttanti in materia. Non per nulla hanno istituito una zona monetaria – l’eurozona – quasi interamente basata sul principio della lotta contro l’inflazione.
Torneremo più avanti sul ruolo svolto dall’inflazione nella dinamica della distribuzione delle ricchezze, in particolare sull’accumulazione e la distribuzione dei patrimoni, nel corso dei vari periodi.
Per il momento, ci limitiamo a insistere sul fatto che la perdita degli standard monetari stabili dell’inizio del XX secolo rappresenta una discontinuità non di poco conto nei confronti dei secoli precedenti, non solo sul piano economico e politico, ma anche su quello sociale, culturale, letterario. Non è certo un caso che, dopo i traumi delle due guerre, il denaro, o più esattamente il richiamo concreto alle somme e agli importi, sia quasi del tutto scomparso dalle opere letterarie. Fino al 1914 i redditi e le ricchezze erano onnipresenti in tutte le letterature. Ebbene, tra il 1914 e il 1945 ne sono gradualmente usciti, e non sono mai più ricomparsi. Non solo nel romanzo europeo e americano, anche in quello degli altri continenti. I romanzi di Nagib Mahfuz, perlomeno quelli ambientati al Cairo tra le due guerre, periodo durante il quale i prezzi non erano ancora stati flagellati dall’inflazione, riservano ampio spazio, per illustrare le situazioni e le difficoltà economiche dei personaggi, all’informazione circostanziata circa il reddito e il denaro che possiedono. Non ci si sente affatto lontani dal mondo balzachiano o austeniano: le strutture sociali non si possono certo mettere a confronto, ma è possibile ancorare le percezioni, le attese e le gerarchie a standard monetari precisi. I romanzi di Orhan Pamuk, che si svolgono nella Istanbul degli anni settanta-ottanta del Novecento, periodo in cui l’inflazione ha tolto da tempo qualsiasi significato al denaro, non menzionano alcun importo. In Neve, Pamuk fa dire al suo protagonista, scrittore come lui, che non c’è davvero niente di più noioso per un narratore che parlare di denaro e dei prezzi o dei redditi in vigore l’anno scorso. Dopo il XIX secolo, il mondo è decisamente cambiato.
1 Per i dati specifici relativi ai sottoperiodi, cfr. tabella supplementare S2.1.
2 L’esempio più emblematico è quello della peste nera del 1347, la quale avrebbe decimato un terzo della popolazione europea, annullando così vari secoli di lenta crescita.
3 Se si tiene conto dell’invecchiamento, il ritmo di crescita della popolazione adulta mondiale, dal 1990 al 2012, risulta ancora più elevato: 1,9% annuo in media (la quota di popolazione adulta è passata, nel periodo, dal 57 al 65%, e ha raggiunto l’80% circa in Europa e Giappone e il 75% nell’America del Nord). Cfr. allegato tecnico.
4 Se la fecondità è di 1,8 bambini (sopravvissuti) per ciascuna donna, ovvero di 0,9 bambini per adulto, la popolazione diminuisce automaticamente del 10% nell’arco di una generazione, vale a dire in media dello 0,3% annuo. Viceversa, una fecondità di 2,2 bambini per ciascuna donna, ovvero di 1,1 bambini per adulto, comporta un tasso di crescita del 10% per generazione (+0,3 annuo). Con 1,5 bambini per ciascuna donna, la crescita è del -1% annuo; con 2,5 bambini per ciascuna donna, è del +0,7% annuo.
5 È impossibile enumerare qui le moltissime opere, di carattere storico, sociologico e antropologico, che analizzano l’evoluzione e le variazioni dei comportamenti demografici (in senso lato: fecondità, nuzialità, strutture familiari ecc.) a livello di Stati nazionali e a livello regionale. Ci limitiamo a citare i lavori di Emmanuel Todd e di Hervé Le Bras sulla cartografia dei sistemi familiari a livello francese, europeo e mondiale, da L’invention de la France (Paris, Le livre de poche, 1981, ried. Paris, Gallimard, 2012) a L’origine des systèmes familiaux (Paris, Gallimard, 2011). Su tutt’altro piano, ricordiamo i lavori di Gøsta Esping-Andersen sui diversi tipi di Stato previdenziale e l’importanza crescente delle politiche volte a favorire la conciliazione tra vita familiare e vita professionale (cfr. per esempio Trois leçons sur l’État providence, Paris, Seuil, 2008).
6 Per il dettaglio delle classi paese per paese cfr. l’allegato tecnico.
7 Secondo lo “scenario principale”, il tasso di crescita della popolazione mondiale tra il 2070 e il 2100 è dello 0,1%, dell’1% secondo le previsioni meno elevate e dell’1,2% secondo le previsioni più elevate. Cfr. allegato tecnico.
8 Cfr. P. Rosanvallon, La société des égaux, Paris, Seuil, 2011, pp. 131-132 (trad. it. La società dell’uguaglianza, Roma, Castelvecchi, 2013).
9 Il PIL medio dell’Africa subsahariana è stato, nel 2012, di circa 2000 euro pro capite, equivalente a un reddito di 150 euro al mese (cfr. cap. 1, tabella 1.1). Ma i paesi più poveri (Congo-Kinshasa, Niger, Ciad, Etiopia) si collocano a livelli due-tre volte inferiori, e i più ricchi (Sudafrica) a livelli due-tre volte superiori (vicini a quelli dell’Africa del Nord). Cfr. allegato tecnico.
10 Le stime di Maddison – labili per il periodo in questione – suggeriscono che il punto di partenza, nel 1700, è più debole in America del Nord e in Giappone (più vicino alla media mondiale che all’Europa occidentale), per cui la crescita totale del reddito medio tra il 1700 e il 2012 sarebbe più vicina a trenta che a venti.
11 Sul lungo periodo, il numero medio di ore lavorate per abitante si è andato dividendo più o meno per due (con variazioni significative tra paese e paese), per cui la crescita della produttività è stata due volte più elevata di quella del prodotto pro capite.
12 Cfr. tabella supplementare S2.2.
13 Per le classi storiche di reddito medio espresse in moneta corrente, per un gran numero di paesi, a partire dall’inizio del XVIII secolo, cfr. l’allegato tecnico. Per esempi dettagliati dei prezzi alimentari, industriali e di servizi in Francia nel XIX e nel XX secolo (frutto di diverse fonti storiche, in particolare degli indici ufficiali e dell’inventario dei prezzi pubblicato da Jean Fourastié), nonché per un’analisi della crescita del potere d’acquisto corrispondente, cfr. Piketty, Les hauts revenus en France au XXe siècle, cit., pp. 80-92.
14 Naturalmente tutto dipende dal posto in cui si comprano le carote (noi, qui, parliamo dell’indice medio).
15 Cfr. Piketty, Les hauts revenus en France au XXe siècle, cit., pp. 83-85.
16 Ibid., pp. 86-87.
17 Per un’analisi storica della composizione dei diversi livelli di servizi dalla fine del XIX secolo alla fine del XX, partendo dall’esempio della Francia e degli Stati Uniti, cfr. T. Piketty, Les créations d’emploi en France e aux États-Unis. Services de proximité contre petits boulots?, Paris, Notes de la Fondation Saint-Simon, 1997. Cfr. anche “L’emploi dans les services en France et aux États-Unis: une analyse structurelle sur longue période”, in Économie et Statistique, 1998. Va notato che nelle statistiche ufficiali l’industria farmaceutica è compresa nell’industria tout court e non nei servizi sanitari, così come l’industria automobilistica e aeronautica è compresa nell’industria tout court e non nei servizi di trasporto ecc. Sarebbe senz’altro più pertinente riunire le attività in funzione della loro finalità (salute, trasporto, alloggio ecc.) e abbandonare completamente la distinzione agricoltura/industria/servizi.
18 Nei costi di produzione viene calcolata solo la svalutazione del capitale (il rinnovo degli edifici e delle infrastrutture usurati). Mentre la remunerazione – al netto della svalutazione del capitale – del capitale pubblico viene convenzionalmente fissata a zero.
19 Cfr. allegato tecnico.
20 Hervé Le Bras ed Emmanuel Todd (cfr. H. Le Bras, E. Todd, Le mystère français, Paris, Seuil, 2013) dicono sostanzialmente la stessa cosa quando parlano, a proposito del periodo 1980-2010 in Francia – periodo caratterizzato da una forte espansione scolastica –, di trente glorieuses culturelles, evocando i Trente glorieuses dell’economia degli anni 1950-80.
21 Occorre tenere conto del fatto che la crescita, nel corso del quinquennio 2007-12, è stata quasi nulla a causa della recessione del 2008-9. Cfr., per il dettaglio delle cifre relative all’Europa occidentale e all’America del Nord (poco distanti dalle cifre indicate qui per l’Europa e l’America nel loro insieme), e per il dettaglio di ciascun paese, la tabella supplementare S2.2 (disponibile online).
22 Cfr. Gordon, Is US Economic Growth over? Faltering Innovation Confronts the Six Headwinds, cit.
23 Occorre sottolineare che il tasso di crescita del PIL mondiale, stimato tra il 1990 e il 2012 al 2,1% annuo, scende all’1,5% se si esamina la crescita del prodotto per abitante adulto. La stima inferiore dipende automaticamente dal fatto che la crescita demografica, nel periodo indicato, passa dall’1,3 all’1,9% annuo, a seconda che si consideri la popolazione totale o la popolazione adulta. Giusto per dare l’idea dell’importanza della questione demografica, nel momento in cui si scompone una crescita globale del PIL mondiale del 3,4% annuo. Cfr. allegato tecnico.
24 Solo l’Africa subsahariana e l’India resterebbero escluse. Cfr. allegato tecnico.
25 Cfr. cap. 1, grafici 1.1 e 1.2.
26 La legge del 25 germinale anno IV (14 aprile 1796) conferma la parità in argento del franco, e la legge del 17 germinale anno XI (7 aprile 1803) fissa una doppia parità: il franco vale 4,5 grammi d’argento fino e 0,29 grammi d’oro (vale a dire un rapporto oro/argento di 1/15,5). Sarà la legge del 1803, pubblicata alcuni anni dopo la fondazione della Banque de France (1800), a inaugurare la denominazione “franco germinale”. Cfr. allegato tecnico.
27 Nel quadro della base aurea in vigore dal 1816 al 1914, la sterlina vale 7,3 grammi d’oro fino, ossia esattamente 25,2 volte la parità in oro del franco. Esiste qualche complicazione legata al bimetallismo argento-oro e alla sua evoluzione, ma in questa sede non riteniamo necessario farvi cenno.
28 Fino al 1971, la sterlina è suddivisa in 20 scellini del valore di 12 pence ciascuno (240 pence per lira). La ghinea vale 21 scellini, ovvero 1,05 sterline. A volte si parla di ghinee nei discorsi di tutti i giorni, soprattutto a proposito di tariffe relative a professioni liberali e a negozi chic. Anche in Francia la lira tornese è suddivisa, fino alla riforma decimale del 1795, in 20 denari e 240 soldi. Dopo quella data, il franco viene suddiviso in 100 centesimi, chiamati a volte, nel XIX secolo, “soldi”. Nel XVIII secolo il luigi d’oro è un’unità del valore di 20 lire tornesi, ossia più o meno di una sterlina. Viene utilizzato anche lo scudo, del valore di 3 lire tornesi fino al 1795, data dopo la quale, fino al 1878, esso equivale a una moneta d’argento del valore di 5 franchi. A giudicare da come gli scrittori nei romanzi passano tranquillamente dall’indicazione di un’unità monetaria a un’altra, sembrerebbe che i contemporanei padroneggiassero alla perfezione l’estrema varietà delle divise in circolazione.
29 Le stime alle quali ci riferiamo qui riguardano il reddito nazionale medio per adulto, che ci sembra più significativo del reddito nazionale medio per abitante. Cfr. allegato tecnico.
30 In Francia, negli anni cinquanta e sessanta dell’Ottocento, il reddito medio raggiunge i 700-800 franchi annui, e i 1300-1400 nei primi due decenni del XX secolo. Cfr. allegato tecnico.