Dopo i “Trente glorieuses”: destini incrociati tra le due sponde dell’Atlantico
L’Europa continentale – in particolare la Francia – vive in larga misura nella nostalgia dei Trente glorieuses, ovvero quel periodo di trent’anni, dalla fine degli anni quaranta alla fine degli anni settanta del Novecento, in cui la crescita è stata eccezionalmente forte. Non è sempre chiaro quale cattivo genio ci abbia imposto, dalla fine degli anni settanta all’inizio degli anni ottanta, una crescita così debole. Ancora oggi, spesso non riusciamo a immaginare come la brutta parentesi dei “trenta ingloriosi” (i quali, in verità, saranno tra non molto trentacinque o quaranta) possa finalmente chiudersi, come il brutto sogno possa finalmente terminare e tutto possa riprendere come prima.
Di fatto, se rimettiamo le cose nella giusta prospettiva storica, appare chiaro che, in realtà, è stato proprio il periodo dei Trente glorieuses a rappresentare un’eccezione, per il semplice fatto che l’Europa aveva accumulato nel corso degli anni 1914-45 un enorme ritardo nella crescita rispetto agli Stati Uniti, ritardo che venne appunto colmato a tutta velocità nel corso di quel periodo. Una volta avvenuto il riaggancio, l’Europa e gli Stati Uniti si sono ritrovati insieme a gestire il futuro del mondo e si sono messi a crescere allo stesso ritmo, che è stato ed è tuttora, a livello mondiale, un ritmo strutturalmente lento.
La traiettoria comparata dei tassi di crescita europea e americana, raffigurata nel grafico 2.3, lo dimostra in modo del tutto evidente. In America del Nord non esiste alcuna nostalgia dei Trente glorieuses, semplicemente perché i Trente glorieuses, lì, non sono mai esistiti; il prodotto pro capite, sul lungo periodo 1820-2012, cresce più o meno allo stesso ritmo, attorno all’1,5-2% annuo. È vero che il ritmo si abbassa leggermente tra il 1913 e il 1950, a poco più dell’1,5%, ma subito dopo, nel periodo 1950-70, sale poco sopra il 2%, per poi assestarsi poco sotto all’1,5% nel periodo 1990-2012. In Europa occidentale, colpita ben più duramente dalle due guerre mondiali, le variazioni sono incomparabilmente più forti: tra il 1913 e il 1950 il prodotto pro capite ristagna (con una crescita di poco più dello 0,5% annuo), per poi compiere, dal 1950 al 1970, un balzo in avanti dell’ordine del 4% abbondante di crescita annua, e infine riabbassarsi bruscamente e riallinearsi più o meno ai livelli americani – o poco più su – tra il 1970 e il 1990 (poco sopra il 2%) e tra il 1990 e il 2012 (appena l’1,5%). L’Europa occidentale ha vissuto un’età dell’oro della crescita tra il 1950 e il 1970, per poi accusare un dimezzamento – o anche più – nel corso dei decenni successivi. Va inoltre precisato che il grafico 2.3 sottostima una tale discontinuità, perché abbiamo incluso nell’Europa occidentale – com’è giusto – il Regno Unito, la cui esperienza in materia di crescita nel XX secolo è in realtà molto più vicina alla quasi stabilità nordamericana. Se ci concentrassimo sull’Europa continentale, rileveremmo, tra il 1950 e il 1970, una crescita media del prodotto pro capite annuo superiore al 5%, cifra del tutto estranea a ogni esperienza conosciuta nei paesi ricchi nel corso degli ultimi secoli.
Le esperienze collettive, tra loro molto differenziate, della crescita durante il XX secolo spiegano in larga misura perché, oggi, le opinioni dei vari paesi divergano moltissimo in materia di globalizzazione commerciale e finanziaria, o anche semplicemente in materia di capitalismo in generale. Nell’Europa continentale, in particolare in Francia, si continua ovviamente a vedere i primi decenni del secondo dopoguerra, segnati da un forte intervento dello Stato, come un periodo benedetto della crescita, e si giudica responsabile dell’inversione di tendenza il processo di neoliberismo economico iniziato attorno al 1980.
Grafico 2.3.
Il tasso di crescita del prodotto pro capite
dopo la Rivoluzione industriale
In Europa, nel 1950-70, il tasso di crescita del prodotto pro capite ha superato il 4% annuo, prima di ridiscendere ai livelli americani.
Fonti e dati: cfr. http://piketty.pse.ens.fr/capital21c.
Nel Regno Unito e negli Stati Uniti, invece, è stata condotta una lettura del tutto diversa della storia del dopoguerra. Dagli anni cinquanta agli anni settanta i paesi anglosassoni sono stati raggiunti in tempi molto rapidi dai paesi che avevano perso la guerra. Alla fine degli anni settanta, negli Stati Uniti, le copertine dei settimanali non facevano altro che denunciare il declino americano e il successo delle industrie tedesche e giapponesi. In quel periodo nel Regno Unito, il PIL pro capite scende al di sotto di quello della Germania, della Francia e del Giappone, persino dell’Italia. È lecito pensare che la sgradevole sensazione dell’avvenuto riaggancio – o persino del superamento, nel caso della Gran Bretagna – abbia svolto un ruolo importante nell’affermazione della “rivoluzione conservatrice”. Prima Thatcher nel Regno Unito, poi Reagan negli Stati Uniti promettono di rimettere in discussione quel welfare state che ha depresso gli imprenditori anglosassoni e optano per un ritorno al capitalismo puro del XIX secolo, ritorno che consentirebbe al Regno Unito e agli Stati Uniti di riprendere il sopravvento. Ancora oggi, nei due paesi, le due rivoluzioni conservatrici vengono giudicate un netto successo, dal momento che Regno Unito e Stati Uniti hanno smesso di crescere meno in fretta dell’Europa continentale e del Giappone.
In realtà, il processo neoliberista inauguratosi intorno al 1980, così come il processo“statalista” inauguratosi nel 1945, non meritano né un eccesso di enfasi né un eccesso di riprovazione. È probabile che la Francia, la Germania e il Giappone avrebbero recuperato il ritardo nella crescita, crollata negli anni 1914-45, a prescindere dalle politiche economiche seguite, o quasi. Tutt’al più, si può dire che l’intervento dello Stato non abbia nuociuto. Così come, una volta riagganciati gli standard mondiali, non deve affatto sorprendere che questi paesi abbiano smesso di crescere più in fretta dei paesi anglosassoni, e che tutti i tassi di crescita si siano allineati, come mostra il grafico 2.3 (avremo occasione di tornare sull’argomento). In linea di massima, le politiche neoliberiste non sembrano aver condizionato molto una realtà invero piuttosto semplice, né verso un rialzo né verso un ribasso.