Ripensare la questione del tasso marginale superiore
Questi risultati hanno conseguenze importanti per la questione del tasso marginale superiore e del livello più auspicabile di progressività fiscale. Indicano infatti che il ricorso a tassi confiscatori per tassare i vertici della gerarchia dei redditi non è soltanto possibile ma è anche l’unico modo per contenere le derive osservate ai vertici delle grandi imprese. Secondo le nostre stime, il livello ottimale del tasso superiore nei paesi sviluppati dovrebbe superare l’80%.50 La precisione di una tale stima non deve illudere: nessuna formula matematica o stima econometrica ci fa conoscere con esattezza quale tasso si debba applicare e da quale livello di reddito si debba partire per applicare tali tassi. Solo la scelta collettiva e la sperimentazione democratica sono in grado di farlo. Quel che è certo, però, è che le nostre stime riguardano livelli di reddito estremamente alti, del tipo di quelli osservati per l’1% o lo 0,5% dei redditi più alti. Per cui tutto fa pensare che un tasso dell’ordine dell’80% applicato ai redditi superiori a 500.000 dollari o a 1 milione di dollari non solo non nuocerebbe alla crescita americana, ma anzi permetterebbe di ripartirla meglio, e di limitare alquanto comportamenti economicamente inutili (o nocivi). Mentre applicare una politica del genere in un piccolo paese europeo, non collaborativo o poco collaborativo con i paesi vicini sul piano fiscale, sarebbe ben più difficile che in un paese con le dimensioni come gli Stati Uniti. Su tali questioni di coordinamento internazionale, torneremo nel prossimo capitolo. Per ora, ci limitiamo a osservare come gli Stati Uniti abbiano più che mai la dimensione necessaria per applicare con efficacia questo tipo di politica fiscale. L’idea che tutti gli alti dirigenti americani fuggirebbero immediatamente in Canada o in Messico, e che non resterebbe più nessun dirigente competente e motivato a reggere le imprese statunitensi, non contraddice solo l’esperienza storica e tutti i dati aziendali di cui disponiamo: manca in modo incredibile di buonsenso. In realtà, un tasso dell’80% applicato oltre 500.000 dollari o 1 milione di dollari, non porterebbe che poco denaro, mentre centrerebbe verosimilmente il suo obiettivo: limitare in modo drastico quel tipo di retribuzione senza tuttavia nuocere alla produttività dell’economia americana nel suo complesso, anzi, facendo aumentare le retribuzioni più basse. Per ottenere le entrate fiscali di cui l’America ha bisogno per sviluppare al meglio il suo modesto stato sociale e investire nell’istruzione e nella sanità (riducendo il suo deficit pubblico), sarebbe anche opportuno aumentare il tasso d’imposta sui redditi un po’ meno elevati (fissandoli per esempio al 50% o al 60% per salari superiori ai 200.000 dollari).51 Si tratterebbe, oltretutto, di una politica fiscale e sociale perfettamente alla portata degli Stati Uniti.
Pare tuttavia poco probabile che essa possa essere adottata a breve scadenza. Come abbiamo notato nel capitolo precedente, non è neanche sicuro che, nel corso del secondo mandato di Obama, il tasso superiore applicato negli Stati Uniti oltrepassi il 40%. Vuol dire che il processo politico americano è sostanzialmente prigioniero dell’1%? È questa un’ipotesi che viene formulata sempre più spesso dai ricercatori americani di scienze politiche e da non pochi osservatori della scena politica washingtoniana.52 Io, per ottimismo, e anche per scelta professionale, sono invece propenso a dare più importanza al dibattito tra le idee. Resto convinto che un esame più attento dei vari fatti e delle varie ipotesi, e l’accesso a dati migliori, possano incidere positivamente sul processo politico e sulla dialettica democratica, orientando queste ultime in una direzione più conforme all’interesse generale. Per esempio, come abbiamo notato nella Parte terza, l’escalation degli altissimi redditi è stata spesso sottovalutata dagli economisti americani, di fatto per l’uso di dati inadeguati, e in particolare di ricerche che sottovalutano il livello e la crescita dei redditi più elevati, e tendono perciò a dare un peso eccessivo alla questione della disparità salariale tra gruppi diversi di qualifica (questione decisiva sul lungo periodo, ma poco pertinente per comprendere quell’escalation dell’1% che è, da un punto di vista macroeconomico, il fenomeno dominante).53 Speriamo dunque che l’impiego di dati migliori (soprattutto fiscali) finisca una buona volta per imporsi e per focalizzare l’attenzione sulle questioni giuste.
Detto questo, la storia dell’imposta progressiva nel corso del XX secolo ci fa capire come il rischio di deriva oligarchica sia più che reale, e non alimenta certo l’ottimismo per il processo futuro del sistema fiscale americano. All’affermazione dell’imposta progressiva hanno concorso le guerre, non la naturale dialettica del suffragio universale. L’esperienza della Francia durante la belle époque dimostra, se ce ne fosse bisogno, il grado di malafede raggiunto dalle élite economiche e finanziarie per difendere i loro interessi e, in qualche caso, dagli economisti stessi: quegli accademici che occupano oggi un posto invidiabile nella gerarchia americana dei redditi,54 e che tendono a loro volta, spesso con modi sprezzanti, a difendere il proprio interesse privato, schernendosi dietro un’improbabile difesa dell’interesse generale.55 Anche se i dati in proposito sono scarsi e incompleti, sembrerebbe che anche la classe politica americana (senza distinzione di parte) sia molto più ricca delle classi politiche europee, o comunque enormemente distante dalla media americana, il che potrebbe aiutarci a capire perché essa tenda a sua volta a confondere il proprio interesse privato con l’interesse generale.56 Senza una svolta radicale, pare quanto mai probabile che l’equilibrio attuale si manterrà tale e quale ancora a lungo. L’ideale della società dei pionieri appare davvero lontanissimo. Il Nuovo Mondo sta forse per trasformarsi nella nuova vecchia Europa del pianeta.
1 Salvo che nelle proposte dell’economista britannico Nicholas Kaldor, sulle quali torneremo più avanti. Ma allora il problema era unificare l’imposta progressiva sul reddito e quella sulle successioni ed evitare la loro elusione (non sostituirle, come a volte si pensa).
2 Per esempio, quando, in Francia, una quota dei contributi pubblici è stata estesa fino a coprire l’insieme dei redditi (redditi da capitale, pensioni di vecchiaia, e non più solo salari e redditi non da lavoro dipendente), per dar vita, nel 1990 al “contributo sociale generalizzato” (CSG), nelle categorie internazionali le entrate corrispondenti sono state riclassificate come “imposta sui redditi”.
3 La poll tax, adottata nel 1988 (e abolita nel 1991), era un’imposta locale che prevedeva una tassa di uguale importo per ogni persona adulta, a prescindere dal suo livello di reddito o di capitale: da lì, un tasso d’imposta più basso per i più ricchi in rapporto al loro reddito o al loro capitale.
4 Cfr. C. Landais, T. Piketty, E. Saez, Pour une révolution fiscale. Un impôt sur le revenu pour le XXIe siècle, Paris, Seuil, 2011, pp. 48-53. Cfr. anche http://www.revolution-fiscale.fr.
5 In particolare, la stima non prende in considerazione i redditi nascosti nei paradisi fiscali (la cui rilevanza abbiamo già denunciato nel cap. 12) e presuppone soltanto che un certo numero di “nicchie fiscali” venga utilizzato in ugual misura a tutti i livelli di reddito e di patrimonio (il che porta probabilmente a sovrastimare il tasso reale d’imposta al vertice della graduatoria). Va anche detto che il sistema fiscale francese è eccezionalmente complesso e si distingue per il gran numero dei regimi in deroga e la giustapposizione degli imponibili e dei modi di prelievo fiscale (per esempio la Francia è l’unico paese sviluppato a non aver istituito un prelievo alla fonte per l’imposta sul reddito, quando invece i contributi e la contribuzione sociale in generale sono da sempre prelevati alla fonte). La complessità francese aggrava la regressività e minaccia l’intelligibilità complessiva del sistema (come abbiamo già visto accadere per le pensioni).
6 Vengono considerati solo i redditi frutto del capitale ereditato (con gli altri redditi da capitale), mentre non viene considerato il capitale in sé.
7 Per esempio, in Francia, il tasso medio d’imposta su successioni e donazioni è di appena il 5%; raggiunge il 20% solo per il centile superiore della classifica delle eredità. Cfr. allegato tecnico.
8 Cfr. cap. 11, grafici 11.9-11.11, e allegato tecnico.
9 Per esempio, anziché passare dal 40-45% per il 50% più povero al 45-50% per il 40% intermedio, si potrebbe limitare il prelievo al 30-35% per il 50% più povero e aumentarlo al 50-55% per il secondo.
10 Considerata la scarsa mobilità intergenerazionale, sarebbe anche una soluzione più giusta (dal punto di vista dei criteri di giustizia ricordati nel cap. 13). Cfr. allegato tecnico.
11 La legge del 15 luglio 1914 vara un’imposta generale sul reddito (IGR) che si presenta come un’imposta progressiva sul reddito globale ed è all’origine dell’attuale imposta sul reddito. Essa verrà completata dalla legge del 31 luglio 1917, la quale vara le imposte cosiddette “cedolari” (destinate a gravare direttamente su ciascuna categoria o “cedola” di reddito, tipo i redditi d’impresa o i salari), le quali sono all’origine dell’attuale imposta sulle società. Per un racconto dettagliato della storia movimentata dell’imposta sul reddito in Francia, dopo la riforma che la istituì nel 1914 e poi nel 1917, cfr. Piketty, Les hauts revenus en France au XXe siècle, cit., pp. 233-334.
12 Va sottolineato che l’imposta progressiva si prefigge innanzitutto di tassare gli altissimi redditi da capitale (che tutti sanno essere i redditi preminenti nella gerarchia), per i quali a nessuno sarebbe venuto in mente, in nessun paese, di concedere esenzioni particolari.
13 Le numerose opere pubblicate dall’economista americano Edwin Seligman tra il 1980 e il 1910 per vantare i meriti dell’imposta progressiva sul reddito vengono per esempio tradotte in tutte le lingue e suscitano accesi dibattiti. Sul periodo in questione e i relativi dibattiti, cfr. Rosanvallon, La société des égaux, cit., pp. 227-233. Cfr. anche N. Delalande, Les Batailles de l’impôt: consentement et résistances de 1789 à nos jours, Paris, Seuil, 2011.
14 Il tasso superiore è in genere un tasso “marginale”, nel senso che viene applicato solo “a margine”, alla frazione di reddito superiore a una certa soglia. Il tasso superiore riguarda in genere meno dell’1% della popolazione (a volte meno dello 0,1%), per cui, per avere una visione completa della progressività, è preferibile esaminare i tassi effettivi applicati ai vari centili (che possono essere nettamente inferiori). L’andamento del tasso superiore non è meno interessante, trattandosi per definizione di un limite superiore del tasso effettivo, destinato a pesare sui più ricchi.
15 I tassi indicati nel grafico 14.1 non prendono in considerazione le maggiorazioni d’imposta del 25% introdotte dalla legge del 1920 per i contribuenti scapoli senza figli e le contribuenti sposate “che dopo due anni di matrimonio non hanno ancora avuto figli” (includendoli, il tasso superiore sarebbe del 62% nel 1920 e del 90% nel 1925). Questo interessante dispositivo, che testimonia la forza dell’impatto francese in materia di denatalità, nonché l’immaginazione senza limiti del legislatore fiscale in fatto di paure e speranze di un paese, si trasformerà, dal 1939 al 1944, nella “tassa di compensazione familiare”, e si prolungherà dal 1945 al 1951, nel quadro del sistema del quoziente familiare (le coppie sposate senza figli, normalmente assegnatarie di due quote, scendono a una quota e mezza nel caso in cui, “dopo tre anni di matrimonio”, continuino a non avere figli; si noterà che l’Assemblea costituente del 1945 allunga di un anno il periodo di grazia fissato nel 1920 dal Blocco nazionale). Cfr. Piketty, Les hauts revenus en France au XXe siècle, cit., pp. 233-334.
16 Nel Regno Unito, un’imposta progressiva sul reddito globale era stata applicata per breve tempo durante le guerre napoleoniche, così come negli Stati Uniti durante la Guerra di secessione, ma in entrambi i casi le imposte vennero soppresse poco dopo la fine dei conflitti.
17 Cfr. M. Touzery, “L’Invention de l’impôt sur le revenu. La taille tarifée 1715-1789”, in Études générales, Comité pour l’histoire économique et financière, 1994.
18 I magazzini e i beni aziendali vengono tassati attraverso la contribuzione sulle licenze. Sul cosiddetto sistema “des quatre vieilles” (le quattro contribuzioni dirette che, con i diritti di successione, costituiscono il cuore del sistema fiscale creato tra il 1791 e il 1792), cfr. Piketty, Les hauts revenus en France au XXe siècle, cit., pp. 234-239.
19 Riferiamo qui i termini usati da molte commissioni parlamentari del XIX secolo per pronunciarsi contro la progressività dell’imposta successoria: “Quando un figlio succede al padre, non è corretto parlare di trasmissione di beni; si tratta unicamente di un godimento che si perpetua nel tempo, come dicevano gli autori del codice civile. Una tale dottrina, se fosse interpretata in senso assoluto, finirebbe per riguardare ogni imposta di successione in linea diretta; dunque la sua applicazione richiede da parte nostra un’estrema cautela”. Cfr. ibid., p. 245.
20 Professore prima all’École libre des Sciences Politiques e poi al Collège de France dal 1880 al 1916, portavoce entusiasta della colonizzazione nell’ambiente degli economisti liberali del tempo, Leroy-Beaulieu è anche direttore dell’Économiste français, settimanale influente che all’epoca era paragonabile all’Economist di oggi, famoso per la sua illimitata, e spesso dissennata, capacità di difendere gli interessi dei potenti del momento.
21 Leroy-Beaulieu nota per esempio, e con soddisfazione, che in Francia il numero di indigenti bisognosi è diminuito, nel senso che è cresciuto, tra il 1837 e il 1860, solo del 40%, mentre il numero degli istituti di beneficenza è quasi raddoppiato. A parte il fatto che bisogna essere degli inguaribili ottimisti per sostenere con cifre simili che il numero effettivo degli indigenti sia diminuito (tesi che Leroy-Beaulieu sostiene senza tentennamenti), un calo eventuale del numero dei poveri, in un contesto di crescita economica, non ci dice ovviamente nulla sull’evoluzione della disuguaglianza dei redditi. Cfr. ibid., pp. 522-531.
22 A volte, leggendo Leroy-Beaulieu, si ha l’impressione che sia lui l’autore della campagna pubblicitaria con la quale, da qualche anno, HSBC (compagnia aerea finanziata da uno dei maggiori gruppi bancari mondiali; N.d.T.), tappezza i muri degli aeroporti con la scritta: “Noi vediamo un mondo di opportunità. E voi?”
23 Un altro argomento classico dell’epoca è il seguente: la tecnica “inquisitoria” della dichiarazione dei redditi può convenire solo a un paese “autoritario” come la Germania, ma sarebbe immediatamente rifiutata da un “popolo libero” come quello francese. Cfr. ibid., p. 481.
24 Pure Joseph Caillaux, ministro delle finanze dell’epoca, dichiara: “Siamo stati portati a credere, a dire che la Francia era il paese delle piccole ricchezze, dal capitale spezzettato e disperso in mille rivoli. Le statistiche che il nuovo regime sulle successioni ci fornisce ci obbligano insolitamente a ricrederci. […] Signori, non posso nascondere che cifre del genere mi hanno indotto a modificare alcune delle idee preconcette che avevo in testa. La verità è che in Francia un numero molto ristretto di persone detiene la maggior parte della ricchezza del paese.” Cfr. J. Caillaux, L’impôt sur le revenu, Paris, Berger-Levrault & C, 1910, pp. 530-532.
25 Sui dibattiti parlamentari tedeschi, cfr. Beckert, Inherited Wealth, cit., pp. 220-235. I tassi da noi indicati nel grafico 14.2 riguardano le trasmissioni in linea retta (da genitori a figli). In Germania e in Francia, i tassi applicati per le altre trasmissioni sono sempre stati più alti. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, in genere, i tassi non dipendono dall’identità dell’erede.
26 Sull’importanza delle guerre nella trasformazione delle percezioni in merito all’imposta successoria, cfr. anche K. Scheve, D. Stasavage, “Democracy, War, and Wealth: Evidence of Two Centuries of Inheritance Taxation”, in American Political Science Review, 2012.
27 Per fare un esempio estremo, l’Unione Sovietica non ha mai avuto bisogno di un’imposta confiscatoria sui redditi o sui patrimoni eccessivi, poiché il suo sistema economico consisteva nel controllare direttamente la distribuzione dei redditi primari e vietare quasi del tutto la proprietà privata (il tutto, è vero, in un modo molto meno rispettoso del diritto). L’Unione Sovietica ha applicato, a volte, un’imposta sul reddito, ma con un profilo molto basso, e tassi superiori molto moderati. Lo stesso vale per la Cina. Torneremo su questo punto nel cap. 15.
28 Non se ne dispiaccia Leroy-Beaulieu: la Francia è messa sullo stesso piano della Prussia e del Regno Unito, scelta in fondo abbastanza giustificata.
29 Cfr. I. Fisher, “Economists in Public Service”, in American Economic Review, 1919. Fisher si ispira in particolare alle proposte dell’economista italiano Eugenio Rignano. Cfr. G. Erreygers, G. Di Bartolomeo, “The Debates on Eugenio Rignano’s Inheritance Tax Proposals”, in History of Political Economy, 2007. L’idea di tassare il patrimonio accumulato dalla generazione precedente meno del patrimonio più vecchio, frutto di più generazioni vissute nell’agiatezza, è in linea di principio molto interessante (la percezione di una doppia tassazione è, di solito, assai più forte nel primo caso che nel secondo, anche se, in entrambi i casi, si tratta di generazioni e dunque di individui distinti). L’idea è però alquanto difficile da formalizzare e da tradurre in pratica (i passaggi patrimoniali sono spesso molto complessi): si spiega così il motivo per cui la tassa non è mai stata applicata.
30 A ciò va aggiunta l’imposta sul reddito prelevata Stato per Stato (il cui tasso è in genere compreso tra il 5% e il 10%).
31 Il tasso superiore d’imposta giapponese sul reddito sale in breve tempo, tra il 1947 e il 1949, all’85%, quando viene fissato dall’occupante americano, e ridiscende immediatamente al 55% nel 1950, quando il paese ritrova la propria sovranità fiscale. Cfr. allegato tecnico.
32 Si tratta dei tassi applicati in linea diretta. A volte, in Francia e Germania, i tassi applicati a fratelli, sorelle, cugini ecc. e a chi non è parente diretto raggiungono livelli più elevati (per esempio attualmente, in Francia, fino al 60% per chi non è parente diretto), senza tuttavia toccare il 70-80% applicato ai figli negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
33 Il tasso record del 98% viene applicato nel Regno Unito dal 1941 al 1952, poi dal 1974 al 1978. Per le serie complete dei dati sui redditi, cfr. allegato tecnico. Durante la campagna presidenziale americana del 1972, il candidato democratico George McGovern arriva a ipotizzare, per le successioni più cospicue, un tasso del 100% (il tasso era allora del 77%), nel quadro di un piano che mira a produrre un reddito minimo incondizionato. La secca sconfitta di McGovern a opera di Nixon segna l’inizio della fine dell’entusiasmo retributivo americano. Cfr. Beckert, Inherited Wealth, cit., p. 196.
34 Per esempio, quando nel Regno Unito, dal 1974 al 1978, il tasso superiore sui redditi da capitale raggiunge il 98%, il tasso per i redditi da lavoro è dell’83%. Cfr. grafico S14.1.
35 La riflessione sulle tassazioni è già ben presente nel XIX secolo, grazie ai lavori di John Stuart Mill, e s’intensifica nel periodo tra le due guerre, a seguito del crescente perfezionamento delle statistiche successorie. Nel dopoguerra prosegue con i lavori già citati di James Meade e Anthony Atkinson. Va inoltre ricordato che l’interessante proposta di Nicholas Kaldor di un’imposta progressiva sui consumi (in realtà sui tenori di vita più elevati) è direttamente ispirata dalla volontà di far pagare di più gli ereditieri che non fanno nulla e che Kaldor sospetta di evasione delle imposte progressive sia sulle successioni sia sui redditi (soprattutto con il ricorso ai trust funds), a differenza dei professori universitari (come lui stesso), i quali pagano sull’unghia le imposte sul reddito. Cfr. N. Kaldor, An Expenditure Tax, London, Allen & Unwin, 1955.
36 Cfr. J. Wedgwood, The Economic of Inheritance, London, Pelikan Books, 1929 (ried. 1939). Josiah Wedgwood vaglia meticolosamente i vari effetti in corso: per esempio quando valuta la scarsa importanza delle donazioni degli istituti di beneficenza, e ne conclude che solo l’imposta può portare all’uguaglianza desiderata; oppure quando constata che, verso il 1910, la concentrazione successoria è, nel Regno Unito, quasi forte come in Francia, il che lo porta di nuovo a concludere che la divisione ugualitaria alla francese – per quanto auspicabile – non è chiaramente sufficiente a promuovere l’uguaglianza sociale.
37 Per la Francia, nel grafico 14.1, abbiamo incluso nell’imposta sul reddito, arrivata nel 2013 al 45% il CSG, attualmente all’8%; da qui, un tasso oggi superiore al 53%. Per le serie complete dei dati, cfr. allegato tecnico.
38 Questo vale non solo per Stati Uniti e Regno Unito (nel primo gruppo), e Germania, Francia e Giappone (nel secondo gruppo), ma anche per il complesso dei diciotto paesi dell’OCSE, per i quali le classi di reddito della WTID consentono un adeguato approfondimento. Cfr. T. Piketty, E. Saez, S. Stantcheva, “Optimal Taxation of the top Labor Incomes: a Tale of Three Elasticities”, in American Economic Journal: Economic Policy, 2013 (figura 3). Cfr. anche allegato tecnico.
39 Cfr. ibid., figure 3 e A1 e tavola 2. Per i risultati, riguardanti diciotto paesi, cfr. allegato tecnico. Nota bene: la conclusione non dipende dalla scelta degli anni di partenza e di arrivo: in tutti i casi, non esiste relazione staticamente significativa tra il calo del tasso marginale il tasso di crescita; in particolare, il fatto che il punto di partenza si collochi negli anni ottanta e non negli anni sessanta o settanta non cambia niente. Per il tasso di crescita dei vari paesi ricchi nel periodo 1970-2010, cfr. anche cap. 5, tabella 5.1.
40 Il che porta a escludere un’elasticità dell’offerta di lavoro superiore a 0,1-0,2 e a ipotizzare il tasso marginale ottimale sotto indicato. Per tutti i dettagli del ragionamento teorico e degli esiti teorici cfr. Piketty, Saez, Stantcheva, “Optimal Taxation of the Top Labor Incomes: a Tale of Three Elasticities”, cit., e allegato tecnico.
41 Affinché i raffronti sui tassi di crescita abbiano un senso è importante stabilire delle medie su periodi relativamente lunghi (almeno dieci o vent’anni). Nell’arco di pochi anni i tassi di crescita variano per qualsiasi motivo, ed è impossibile concluderne alcunché.
42 Il divario del PIL pro capite deriva a sua volta da un numero di ore lavorate pro capite che oltreoceano è più alto che in Europa. Secondo dati internazionali standard, il PIL per ora lavorata è, negli Stati Uniti e nei paesi più ricchi dell’Europa continentale, sostanzialmente lo stesso (è tuttavia significativamente più basso nel Regno Unito: cfr. allegato tecnico). Il divario nel numero di ore si spiega, in Europa, con congedi più lunghi e settimane di lavoro più corte (il divario nel tasso di disoccupazione, quasi inesistente se si confrontano gli Stati Uniti con la Germania o i paesi nordici, conta relativamente). Senza pretendere di trattare qui una questione delicata come questa, ci limiteremo a notare che la scelta di passare meno tempo a lavorare quando si diventa più produttivi è legittima quanto la scelta opposta. Mi si consenta di aggiungere il seguente punto: il fatto che la Germania e la Francia, malgrado un investimento molto più basso nell’istruzione superiore (e un sistema fiscale e sociale terribilmente complicato, soprattutto in Francia), maturino lo stesso livello di PIL per ora lavorata degli Stati Uniti ha qualcosa di miracoloso, e si può spiegare verosimilmente solo con un sistema educativo primario e secondario più ugualitario e più inclusivo.
43 Cfr. in particolare cap. 2, grafico 2.3.
44 Negli Stati Uniti, tra il 1950 e il 1970, il tasso di crescita del PIL pro capite è del 2,3% annuo, del 2,2% tra il 1970 e il 1990, e dell’1,4% tra il 1990 e il 2012. Cfr. cap. 2, grafico 2.3.
45 L’idea secondo cui l’America innova a favore del resto del mondo è stata formulata di recente da D. Acemoglu, J. Robinson, T. Verdier, Can’t We All Be More Like Scandinavians? Asymmetric Growth and Institutions in an Interdependent World, Working Papers, Cambridge (MA), MIT Department of Economics, 2012. Si tratta di un articolo essenzialmente teorico, il cui principale elemento concreto è il fatto che il numero di brevetti per abitante è più alto negli Stati Uniti che in Europa. Si tratta di un fatto interessante, ma che, almeno in parte, sembra rimandare a prassi giuridiche distinte e che, in ogni caso, dovrebbero permettere al paese innovatore di mantenere un livello di produttività sostanzialmente superiore (o un reddito nazionale più alto).
46 Cfr. Piketty, Saez, Stantcheva, “Optimal Taxation of Top Labor Incomes: a Tale of Three Easticities”, cit., figura 5, tabelle 3-4. I risultati qui riassunti si fondano su dati dettagliati riguardanti quasi 3000 imprese estratte da 14 paesi.
47 X. Gabaix e A. Landier difendono l’idea secondo cui l’escalation delle retribuzioni derivi automaticamente dall’aumento del volume delle società (che farebbe crescere la produttività dei dirigenti più “talentuosi”). Cfr. X. Gabaix, A. Landier, “Why Has CEO Pay Increased So Much?”, in Quarterly Journal of Economics, 2008. Il problema è che questa teoria, interamente fondata sul modello della produttività marginale, non ci aiuta in alcun modo a spiegare le importanti variazioni internazionali osservate (il volume delle società è aumentato un po’ dappertutto nelle stesse proporzioni, salvo che nelle retribuzioni). Gli autori utilizzano esclusivamente dati americani, il che limita purtroppo le possibilità del test empirico.
48 L’idea secondo cui una maggiore concorrenza potrebbe aiutare a ridurre le disuguaglianze è spesso sostenuta dagli economisti (cfr. R. Rajan, L. Zingales, Saving Capitalism from the Capitalists, New York, Random House, 2003, trad. it. Salvare il capitalismo dai capitalisti, Torino, Einaudi, 2004); L. Zingales, A Capitalism for the People, New York, Basic Books, 2012, trad. it. Manifesto capitalista: una rivoluzione liberale contro l’economia corrotta, Milano, Rizzoli, 2012; Acemoglu, Robinson, Why Nations Fail. The Origins of Power, cit.) e a volte dai sociologi (cfr. D. Grusky, “What to Do About Inequality?”, in Boston Review, 2012).
49 Precisiamo in proposito che, contrariamente a un’idea spesso trasmessa ma verificata di rado, nessun dato indica che gli alti dirigenti degli anni nel periodo 1950-80 compensassero i loro guadagni, più bassi di quelli attuali, con vantaggi conseguenti in natura. Tutto invece, fa pensare al contrario che questi vantaggi – jet privati, uffici sontuosi ecc. – si siano incrementati essi stessi dagli anni ottanta.
50 L’82%, per essere precisi. Cfr. Piketty, Saez, Stantcheva, “Optimal Taxation of Top Labor Incomes”, cit., tabella 5.
51 Si noterà che nel modello teorico da noi proposto, l’imposta progressiva svolge due ruoli ben distinti (come li ha svolti nella storia stessa dell’imposta progressiva): i tassi confiscatori (tipo l’80-90% applicato all’1% o allo 0,5% dei più ricchi) servono a porre termine alla prassi delle retribuzioni indecenti e inutili; i tassi elevati ma non confiscatori (tipo il 50-60% applicato al 10% o al 5% dei più ricchi) permettono di raccogliere entrate fiscali e a contribuire al finanziamento dello Stato sociale, in concomitanza con i prelievi fiscali pagati dal 90% della popolazione meno ricca.
52 Cfr. J. Hacker, P. Pierson, Winner-Take-All Politics. How Washington Made the Rich Richer. And Turned its Back on the Middle Class, New York, Simon & Schuster, 2010; K. L. Schlozman, S. Verba, H. Brady, The Unheavenly Chorus: Unequal Political Voice and the Broken Promise of American Democracy, Princeton (NJ), Princeton University Press, 2012; T. Noah, The Great Divergence, New York, Bloomsbury, 2013.
53 Cfr. ai riferimenti relativi ai lavori di Goldin, Katz, Blank e Rajan nel cap. 9.
54 I loro compensi vengono trascinati verso l’alto da quelli offerti nel settore privato – in particolare nel settore finanziario – per retribuire competenze analoghe. Cfr. cap. 8.
55 Per esempio attraverso modelli teorici astrusi, tesi a dimostrare che i più ricchi devono essere tassati a tasso zero, o addirittura sovvenzionati. Per un breve florilegio, cfr. allegato tecnico.
56 Secondo i dati raccolti dal Center for Responsible Politics e basati sulle dichiarazioni patrimoniali dei parlamentari eletti, il patrimonio medio dei 535 membri del Congresso americano avrebbe superato, nel 2012, i 15 milioni di dollari. Secondo i dati resi pubblici dal governo francese, il patrimonio medio dei 30 ministri e segretari di Stato sarebbe oggi di circa 1 milione di euro. Al di là di imprecisioni e inesattezze, si tratta di una disparità non da poco. In entrambi i paesi, il patrimonio medio per adulto si aggira sui 200.000 dollari o euro. Cfr. allegato tecnico.