Trasparenza economica e controllo democratico del capitale
Più in generale, mi pare importante insistere, per concludere, sul fatto che uno dei grandi obiettivi del futuro è sicuramente lo sviluppo di nuove forme di proprietà e di controllo democratico del capitale. Il confine tra capitale pubblico e capitale privato è tutt’altro che netto: non così netto come si è stati inclini a pensare dopo la caduta del Muro. Come abbiamo notato, esistono già ora molti settori di attività – istruzione, sanità, cultura, media – in cui le forme prevalenti di organizzazione di proprietà non hanno nulla a che vedere con i due paradigmi, antitetici, del capitale puramente privato (con il modello della società per azioni, interamente nelle mani degli azionisti) o del capitale puramente pubblico (con una logica ugualmente top/down, secondo la quale l’amministrazione deciderebbe in piena sovranità l’investimento da realizzare). Esistono, infatti, molti organismi d’intermediazione che aiutano a impiegare utilmente le informazioni e le competenze di ciascuno. Il mercato e il voto sono solo due modi, antitetici, per organizzare le decisioni collettive: altri modi, nuove forme di partecipazione e di governance, sono da inventare.56
Il punto essenziale è che queste diverse forme di controllo democratico del capitale dipendono in larga parte dal grado d’informazione economica di cui disponiamo. La trasparenza economica e finanziaria non è più solamente un obiettivo fiscale. È anche, e forse soprattutto, un obiettivo di governance democratica e di partecipazione alle decisioni. Da questo punto di vista, l’obiettivo non è più tanto la trasparenza finanziaria sui patrimoni e sui redditi a livello individuale – di per sé non di grandissimo interesse, salvo che in circostanze molto particolari,57 come per i responsabili politici, o in un contesto in un cui la mancanza di fiducia non può essere contrastata altrimenti.58 Come regola generale, l’obiettivo più importante per l’iniziativa collettiva riguarda la pubblicazione di bilanci dettagliati delle società private (come pure delle amministrazioni pubbliche), conti che nella loro attuale forma pubblica non consentono assolutamente ai salariati o ai semplici cittadini di farsi un’idea sulle scelte in corso, e a maggior ragione di intervenire sulle decisioni. Per fare un esempio pratico, già citato all’inizio del libro, i bilanci pubblicati dalla società Lonmin, proprietaria della gigantesca miniera di platino di Marikana – dove nell’agosto 2012 le pallottole hanno ucciso trentaquattro scioperanti – non consentono nemmeno di calcolare con esattezza la distribuzione delle ricchezze prodotte tra profitti e salari. Si tratta di una caratteristica generale dei bilanci pubblicati dalle società di tutto il mondo: i dati vengono raggruppati in categorie statistiche talmente ampie da riuscire a dire il meno possibile sugli obiettivi reali, o da riservare le informazioni che contano ai soli investitori.59 È molto comodo, poi, dire che i salariati e i loro rappresentanti non sono abbastanza a conoscenza delle realtà economiche dell’impresa cui appartengono. Senza una vera trasparenza contabile e finanziaria, senza un’informazione condivisa, non può esistere democrazia economica. Così come, senza veri diritti d’intervento sulle decisioni (come il diritto di voto per i salariati nei consigli di amministrazione), la stessa trasparenza non serve granché. L’informazione deve trarre alimento dalle istituzioni fiscali e democratiche: non è fine a se stessa. Affinché la democrazia riesca un giorno a riprendere il controllo del capitalismo, bisogna innanzitutto partire dal principio che le forme concrete della democrazia e del capitale sono ancora e sempre da reinventare.60
1 Cfr. in particolare Parte seconda, cap. 3, tabella 3.1.
2 Aggiungiamo che, se consideriamo gli attivi detenuti dalle famiglie europee nei paradisi fiscali, la posizione patrimoniale reale dell’Europa rispetto al resto del mondo diventa nettamente positiva: le famiglie europee possiedono l’equivalente di tutto ciò che c’è da possedere in Europa e in una parte del resto del mondo. Cfr. Parte terza, cap. 12, grafico 12.6.
3 Così come il prodotto della vendita di attivi finanziari pubblici (anche se questi, rispetto agli attivi non finanziari, sono meno rilevanti). Cfr. capp. 3-4, e allegato tecnico.
4 La riduzione del carico di interessi del debito pubblico consentirebbe in parte di ridurre le imposte e in parte di finanziare nuovi investimenti, in particolare nel campo della formazione (cfr. più avanti).
5 Affinché l’equivalenza sia completa, si dovrebbero imporre i patrimoni in funzione della localizzazione degli attivi immobiliari e finanziari (compresi i titoli del debito pubblico localizzati in Europa), e non solo sulla base della residenza dei detentori. Torneremo oltre su questo tema.
6 Sulla questione del livello ottimale d’indebitamento pubblico a lungo termine – che non può essere risolta indipendentemente da quella del livello di accumulazione di capitale pubblico e privato – torneremo più avanti.
7 Si possono simulare anche altre aliquote utilizzando la tabella S15.1.
8 Cfr. cap. 10.
9 Sui “fondi di redenzione”, cfr., “Annual Report 2011”, German Council of Economic Experts, novembre 2011; e “The European Redemption Pact: Questions and Answers”, gennaio 2012. Tecnicamente, le due idee possono conciliarsi perfettamente. Tuttavia, politicamente e simbolicamente, è possibile che la nozione di “redenzione” (la quale sembra rimandare a una sofferenza lunga e condivisa dall’insieme della popolazione) si coniughi a fatica con quella dell’imposta progressiva del capitale, e che il termine “redenzione” non sia il più adatto.
10 Dopo la seconda guerra mondiale, oltre a essere stata ridotta dall’inflazione, una parte rilevante del debito tedesco è stata puramente e semplicemente annullata dagli Alleati (o, più esattamente, rinviata in vista di un’eventuale unificazione tedesca, e mai più rimborsata). Secondo i calcoli dello storico tedesco Albrecht Ritschl, si arriverebbe a degli importi sostanziosi, se la cifra venisse ricapitalizzata a un tasso ragionevole. Una parte di questi debiti risale alle spese di occupazione prelevate alla Grecia durante l’occupazione tedesca: da qui, una serie interminabile di controversie che non hanno portato ad alcun risultato. Il che, ancora oggi, complica ancor più l’applicazione di una mera logica di austerità e di rimborso del debito. Cfr. in proposito A. Ritschl, “Does Germany Owe Greece a Debt? The European Debt Crisis in Historical Perspective”, London, LSE, 2012.
11 Se il PIL cresce del 2% annuo e il debito dell’1% annuo (supponendo di partire da un debito totale vicino al PIL), il debito espresso in percentuale del PIL diminuisce di circa l’1% annuo.
12 Il prelievo eccezionale o decennale sul capitale descritto sopra è una forma di eccedenza primaria finalizzata alla riduzione del debito. La differenza sta nel fatto che si tratta di una risorsa nuova, che non pesa sulla maggioranza della popolazione e non pesa nemmeno sul resto dei bilanci pubblici. Esiste in pratica una linea di continuità tra le diverse soluzioni (imposta sul capitale, inflazione, austerità): tutto dipende dal dosaggio e dal modo in cui il peso dell’aggiustamento viene ripartito tra i vari gruppi sociali. L’imposta sul capitale fa pagare maggiormente lo sforzo ai detentori di patrimoni cospicui, mentre le politiche di austerità tendono spesso a risparmiarli.
13 Il risparmio finanziario nel periodo 1920-30 era stato certamente distrutto dal crollo dei mercati azionari. Nondimeno l’inflazione tra il 1945 e il 1948 causa uno choc supplementare. La risposta è stata la creazione di un’indennità minima di vecchiaia (creata nel 1956) e lo sviluppo di un sistema pensionistico basato sulla ripartizione (varato nel 1945, ma destinato a svilupparsi molto progressivamente).
14 Esistono modelli teorici fondati su tale punto di vista. Cfr. allegato tecnico.
15 Cfr. in particolare i risultati presentati nel cap. 12.
16 Lo stesso fenomeno si verificherebbe nel caso di un ritorno alla moneta nazionale. È sempre possibile ridurre il debito pubblico sia stampando moneta sia con l’inflazione, ma è poi difficile padroneggiare le conseguenze distributive di un tale processo, che sia con l’euro o con il franco, il marco o la lira.
17 Un esempio storico ricordato spesso è quello della leggera deflazione (ribasso dei prezzi e dei salari) dei paesi industrializzati alla fine del XIX secolo. La deflazione, in genere, è male accettata, sia dai produttori sia dai salariati, i quali sembrano voler aspettare che prezzi e salari altrui diminuiscano per accettare che prezzi e salari propri scendano in ugual misura: da qui, uno stato di sostanziale inerzia, quella che a volte viene definita “rigidità nominale”. L’argomento più importante a favore di un’inflazione debole ma positiva (tipicamente del 2%) è che essa permette un aggiustamento più facile di salari e prezzi relativi rispetto a un’inflazione nulla o negativa.
18 La teoria classica del declino spagnolo chiama in causa le facilitazioni indotte dall’oro.
19 Cfr. M. Friedman, A. J. Schwartz, A Monetary History of the United States, 1857-1960, Princeton (NJ), Princeton University Press, 1963 (trad. it. Il dollaro. Storia monetaria degli Stati Uniti, 1857-1960, Torino, Utet, 1977).
20 È importante notare che la “stampa della moneta” pura e semplice non esiste. In questo senso. Quando una banca centrale crea moneta per prestarla al suo governo, la cosa avviene sempre sotto forma di prestito (di cui resta traccia nella contabilità della banca centrale, anche in periodi di caos, come nella Francia tra il 1944 e il 1948) e non di una donazione. Tutto dipende, anche qui, da quanto accade in seguito: se la creazione di liquidità porta a un rialzo dell’inflazione, il fatto può comportare redistribuzioni molto forti (per esempio il valore reale del debito pubblico può ridursi a poca cosa, a scapito degli attivi nominali privati). L’effetto complessivo sul reddito nazionale e sul capitale nazionale dipende dall’impatto di questa politica sul livello globale degli attivi economici del paese. In teoria, può essere sia positivo sia negativo, proprio come i prestiti accordati agli attori privati. Le banche centrali redistribuiscono il capitale monetario, ma non hanno la facoltà di creare immediatamente nuova ricchezza.
21 Viceversa, nel biennio 2011-2012, i tassi d’interesse dei paesi giudicati meno sicuri hanno raggiunto livelli molto elevati (6-7% in Italia o Spagna, 15% in Grecia). Il che testimonia lo stato di fibrillazione in cui si muovono gli investitori e le loro incertezze per l’immediato futuro.
22 Il totale degli attivi e dei passivi finanziari lordi è ancora più elevato: nella maggioranza dei paesi sviluppati raggiunge dieci-venti annualità di PIL (cfr. cap. 5). Oggi, nei paesi ricchi, le banche centrali detengono quindi solo poche percentuali del totale degli attivi e dei passivi finanziari. I bilanci delle varie banche centrali sono disponibili online ogni settimana o ogni mese. È possibile conoscere il dettaglio per ogni categoria di attivi e di passivi (anche se non a livello di ogni società o paese a cui sia stato prestato denaro). I contanti equivalgono solo a una piccola parte del bilancio (in genere appena il 2% del PIL) mentre la parte essenziale corrisponde a pure scritture contabili, come per i conti in banca delle famiglie, delle società e dei governi. In passato, il bilancio delle banche centrali ha raggiunto a volte il 90-100% del PIL (per esempio in Francia nel periodo 1944-45, dopo che il bilancio è stato ampiamente eroso dall’inflazione). Nell’estate del 2013, il bilancio della Banca del Giappone si è avvicinato al 40% del PIL. Per le serie storiche dei dati relative ai bilanci delle principali banche centrali, cfr. allegato tecnico. L’esame di tali bilanci è istruttivo e ci aiuta a capire come le banche centrali siano ancora ben lontane dall’aver recuperato gli alti livelli del passato. Del resto, l’inflazione dipende da forze molteplici, in particolare dalla concorrenza internazionale su prezzi e salari, la quale tende oggi a tenerli bassi e a orientare verso l’alto il prezzo degli attivi finanziari.
23 Come abbiamo notato nel cap. 15, le discussioni sui possibili cambiamenti da apportare alle regole europee sulla trasmissione automatica delle informazioni bancarie sono iniziate nel corso del 2013 e sono ben lontane dal giungere a conclusione.
24 In particolare, per applicare una aliquota progressiva, è indispensabile raccogliere informazioni su tutti gli attivi detenuti da una stessa persona su vari conti e in varie banche (idealmente, a Cipro e in tutta la Unione Europea). Il vantaggio della tassa non troppo progressiva è che si potrebbe applicare a livello di ciascuna banca a sé stante.
25 Per esempio, dal 1803 al 1936, per statuto, i duecento maggiori azionisti svolgono un ruolo centrale nel governo della Banca di Francia, determinando di fatto la politica monetaria del paese. Finché il loro ruolo non viene profondamente rivisto e modificato dal Fronte popolare (i governatori e i vicegovernatori, nominati dal governo, non hanno più bisogno di essere azionisti), artefice nel 1945 della nazionalizzazione completa e definitiva della Banca centrale. La quale, dopo il 1945, non conta più sull’apporto di azionisti privati ed è un’istituzione assolutamente pubblica, come sono pubbliche le banche centrali in tutto il mondo.
26 Uno dei momenti chiave della crisi greca è l’annuncio fatto dalla BCE nel dicembre 2009 del fatto che non accetterà più i titoli greci come garanzia, nel caso in cui la Grecia venga declassata dalle agenzie di rating (quando invece, nel suo statuto, non c’è nessuna clausola che la obblighi a procedere in tal senso).
27 L’altro limite, più tecnico, dei “fondi di redenzione” è il seguente: considerata l’ampiezza del roll over (una buona parte del debito pubblico ha una scadenza di pochi anni e deve essere regolarmente rinnovata, soprattutto in Italia), la soglia del 60% del PIL sarà raggiunta nel giro di alcuni anni, per cui l’intero debito pubblico dovrà essere condiviso.
28 Il parlamento potrebbe essere composto da una cinquantina di membri per ciascun grande paese dell’eurozona, in proporzione alla popolazione. I membri potrebbero essere un’emanazione dei rispettivi ministeri delle finanze e degli affari pubblici dei parlamenti nazionali, oppure essere scelti altrimenti. Il nuovo trattato europeo adottato nel 2012 prevede una “conferenza dei parlamenti nazionali”, ma si tratta di un’assemblea puramente consultiva, senza un potere proprio, e pertanto senza un debito comune.
29 Secondo la versione ufficiale, la quasi flat tax sui depositi è stata adottata su richiesta del presidente cipriota, il quale avrebbe voluto tassare pesantemente i piccoli depositi per evitare la fuga di quelli più cospicui. Ed è probabile che sia andata proprio cosi: la crisi cipriota, inoltre, evidenzia il dramma dei piccoli paesi nel quadro della globalizzazione. I piccoli, per salvare la propria pelle e trovare la propria nicchia, sono spesso disposti a lasciarsi andare alla concorrenza fiscale più feroce, pur di attirare capitali, anche poco puliti. Il problema è che non lo sapremo mai: tutte le contrattazioni, infatti, hanno luogo a porte chiuse.
30 Sotto la presidenza Hollande il governo francese è, almeno a parole, favorevole alla condivisione del debito, ma non ha mai formulato una proposta precisa, e finge di credere che ciascun paese potrebbe continuare a decidere per proprio conto quale quantità di debito comune intenda emettere, cosa ovviamente impossibile. La condivisione significa arrivare ad approvare un deficit comune (ogni paese potrebbe mantenere un proprio debito, ma solo se fosse di modeste proporzioni, come i debiti delle comunità locali e regionali o degli Stati americani). Ovviamente il presidente della Bundesbank fa regolarmente notare, attraverso i media, che non si può mettere in comune una carta di credito senza condividere anche le scelte sull’ammontare delle spese.
31 La spiegazione abituale è che i leader francesi sono usciti traumatizzati dalla disfatta subita al referendum del 2005 sul Trattato costituzionale europeo (TCE). Tuttavia l’argomento non convince del tutto, poiché il Trattato, le cui disposizioni sono state in realtà adottate in seguito, senza passare per l’esperienza referendaria, non conteneva alcuna innovazione democratica sostanziale e ribadiva l’onnipotenza del Consiglio dei capi di Stato e dei ministri, che è come dire l’impotenza dell’Europa attuale. È possibile che il motivo per cui, in Francia, la riflessione sull’unione politica europea sia meno avanzata rispetto alla Germania o all’Italia sia connaturato alla cultura presidenziale francese.
32 L’imposta progressiva sul reddito o sul capitale è preferibile all’imposta sul reddito d’impresa perché permette di graduare il tasso a seconda del livello di reddito o di capitale individuale (mentre l’imposta sulle società impone il medesimo tasso a tutti i profitti realizzati, a prescindere dal fatto che l’azionista sia grande o piccolo).
33 Stando a certe dichiarazioni di dirigenti di società, come Google, il ragionamento sembra essere più o meno il seguente: “Noi arricchiamo la collettività ben più di quanto i nostri profitti e i nostri salari facciano pensare, dunque pagare poche tasse è il minimo che possiamo fare.” Di fatto, se una società o una persona arreca al resto dell’economia un beneficio marginale superiore al prezzo che fattura per i propri prodotti, è perfettamente legittimo che paghi poche tasse, o che la si sovvenzioni (in gergo economico si parla di “esternalità positiva”). Il problema, evidentemente, è che tutti hanno interesse a ritenersi portatori di una considerevole esternalità positiva per il resto del mondo. Ora, Google non ha presentato come avrebbe dovuto, all’avvio, uno studio del tutto rassicurante in tal senso. In ogni caso, è chiara la difficoltà a organizzare un’esistenza collettiva in un mondo in cui ciascuno pretende di fissarsi da solo il proprio livello di tassazione.
34 Di recente è stata avanzata la proposta di versare agli organismi internazionali un’imposta mondiale sulla ricchezza, il cui vantaggio consisterebbe nel fatto che questa imposta diventerebbe indipendente dalle nazionalità e costituirebbe una salvaguardia del diritto alla multinazionalità. Cfr. in proposito P. Weil, “Let Them Eat Slightly Less Cake: An International Tax on the Wealthiest Citizens of the World”, in Policy Network, 2011.
35 Questa conclusione è abbastanza vicina a quella di D. Rodrik, secondo la quale, nel XXI secolo, lo Stato-nazione, la democrazia e la globalizzazione costituiscono un trinomio instabile (uno dei tre termini deve abdicare, almeno in parte, a favore degli altri due). Cfr. D. Rodrik, The Globalization Paradox: Democracy and the Future of the World Economy, New York, Norton, 2011.
36 Il sistema ACE, adottato in Belgio nel 2006 (con i conseguenti molteplici insediamenti fittizi di società), torna ad autorizzare una deduzione degli utili imponibili corrispondente al rendimento “normale” delle azioni. Il sistema viene presentato come l’equivalente della deduzione degli interessi, nonché come una soluzione tecnica per raggiungere uguali condizioni di fiscalizzazione delle azioni e delle obbligazioni. Tuttavia esiste un diverso modo di procedere, seguito dalla Germania (e recentemente dalla Francia): cioè limitare la deduzione degli interessi. Alcuni organismi intervenuti nel dibattito, come il FMI e in certa misura la Commissione europea, fingono di credere che le due soluzioni si equivalgano, mentre in realtà non si equivalgono affatto: se si deduce in pari misura il rendimento “normale” di azioni e di obbligazioni, è molto probabile che l’imposta sparisca.
37 In particolare, i tassi differenziati per tipo di bene di proprietà permettono solo una definizione di massima per classi di reddito. La ragione per cui l’IVA è tanto apprezzata dagli attuali governi europei è perché consente di fatto di tassare i beni importati e di procedere a delle minisvalutazioni. Anche se si tratta di una partita a somma zero (una volta che tutti fanno lo stesso, non esiste più alcun vantaggio competitivo), è un sintomo chiarissimo della scarsa cooperazione della nostra unione monetaria. L’altra giustificazione classica per motivare l’imposta sui consumi si basa sull’idea di favorire l’investimento, ma a mio avviso le basi concettuali di un simile approccio sono poco chiare (soprattutto in una fase storica in cui il rapporto capitale/reddito è relativamente alto).
38 La tassa ha l’obiettivo di diminuire il volume delle transazioni finanziarie ad altissima frequenza, il che è senza dubbio una buona cosa. Tuttavia, per definizione, è una tassa che non può produrre molti introiti, poiché lo scopo è quello di prosciugare la fonte stessa dei prelievi. Le stime dei ricavi realizzati con l’imposta peccano spesso di ottimismo. Di regola, essi non superano lo 0,5% del PIL, il che va benissimo per una tassa che, di per sé, non consente alcun obiettivo compatibile con il livello di reddito o di capitale individuale. Cfr. allegato tecnico.
39 Cfr. cap. 10, grafici 10.9-10.11. Per valutare la regola aurea, bisogna conteggiare il tasso di rendimento al lordo dell’imposta (supposto uguale alla produttività marginale del capitale).
40 L’articolo originale, scritto con un certo distacco ironico, in forma di aneddoto, merita di essere riletto: E. Phelps, “The Golden Rule of Accumulation: A Fable for Growthmen”, in American Economic Review, 1961. Un’idea analoga, espressa però in forma meno chiara, e senza che venga menzionata la espressione “regola aurea”, è reperibile nel libro di M. Allais del 1947 (Économie et intérêt, Paris, Imprimerie nationale, 1947) e negli articoli di Von Neumann del 1945 e di Malinvaud del 1953. Va segnalato che questi lavori (compreso l’articolo di Phelps) si collocano su un piano esclusivamente teorico e non tentano minimamente di discutere a quale livello di accumulazione capitalistica sarebbe possibile verificare l’uguaglianza tra r e g. Cfr. allegato tecnico.
41 La quota di capitale è data da α = r × β. Sul lungo termine, sarà β = r/g, quindi α = s × r/g. Quindi, ancora, α = s se r = g, e α > s se e solo se r > g. Cfr. allegato tecnico.
42 Le ragioni per le quali si tratta di un limite massimo sono spiegate con maggior precisione nell’allegato tecnico.
43 In pratica, sia l’imposta sul capitale sia la proprietà pubblica può fare in modo che la quota di reddito nazionale che concorre a formare i redditi da capitale privato (al netto delle tasse) sia inferiore al tasso di risparmio, senza che sia necessario accumularne altrettanto. È l’ideale socialdemocratico del dopoguerra: i profitti finanziano l’investimento e non il tenore di vita degli azionisti. Per usare la famosa frase pronunciata dal cancelliere tedesco Helmut Schmidt: “I profitti di oggi sono gli investimenti di domani e l’occupazione di dopodomani.” Il capitale e il lavoro si danno la mano. È però importante rendersi conto che tutto dipende da istituzioni come il fisco o la proprietà pubblica (salvo pensare a livelli di accumulazione finora sconosciuti).
44 In certo qual modo, la regola aurea, interpretata alla maniera sovietica, finisce per trasferire alla collettività la smania di accumulazione infinita di capitale tipica dei capitalisti. È interessante notate come nei passi della Teoria generale dedicati all’eutanasia dei rentiers (capp. 16 e 24) Keynes sviluppi un’idea prossima a quella della “saturazione del capitale”: accumulando troppo capitale i rentiers perderanno il loro rendimento e finiranno per “suicidarsi”. Tuttavia Keynes non precisa fino a che punto dovrà arrivare l’accumulazione (nessuna traccia dell’equazione r = g), e non prende in considerazione, in modo esplicito, un’accumulazione pubblica.
45 Per la soluzione matematica offerta al problema dagli economisti, cfr. allegato tecnico. Mi limito qui a riassumerla. Tutto dipende da quella che è stata chiamata, per convenzione, concavità della funzione di utilità (tramite la formula r = θ + γ × g, già ricordata nel cap. 10 e denominata a volte “regola aurea modificata”). Con una concavità infinita, si ritiene che le generazioni future non avranno più bisogno di un centesimo i-Phone supplementare, e quindi non si lascia loro alcun capitale. Nel caso opposto, si può soddisfare fino in fondo la regola aurea, cosa che può obbligare a lasciare loro decine di annualità di reddito nazionale in termini di capitale. La concavità infinita viene spesso associata a un obiettivo sociale di tipo rawlsiano, e può dunque sembrare attraente. La difficoltà è che, se non si lascia alcun capitale, non è affatto sicuro che la crescita della produttività continui allo stesso ritmo. Tutto ciò rende il problema irrisolvibile, e lascia perplesso tanto il ricercatore quanto il cittadino.
46 In generale, l’espressione “regola aurea” (golden rule, in inglese) rimanda all’idea di una regola morale che consenta di fissare i doveri di ciascuno nei confronti degli altri. È sovente utilizzata in economia e in politica per richiamare una serie di regole molto semplici che consentono di stabilire i nostri doveri nei confronti delle generazioni future. Purtroppo, però, non esiste una regola semplice che consenta di risolvere una volta per tutte questo problema esistenziale, che deve essere riproposto di continuo.
47 Le cifre sono state ribadite nel nuovo trattato concluso nel 2012, con l’aggiunta di un altro obiettivo: tendere verso un deficit “strutturale” inferiore allo 0,5% del PIL (a prescindere da eventuali effetti congiunturali) e infliggere sanzioni automatiche in caso di non rispetto di questi impegni. Nota bene: tutte le cifre relative ai deficit menzionati nei trattati europei riguardano il deficit secondario (gli interessi del debito sono inclusi nelle spese).
48 È stato notato, a volte, che un deficit del 3% equivale a stabilizzare un debito globale del 60% del PIL: se la crescita nominale del PIL è del 5% (per esempio, 2% d’inflazione e 3% di crescita reale), in base alla formula β = s/g applicata al debito pubblico. Ma il ragionamento, a mio avviso, è poco convincente (in particolare, non esiste nulla che giustifichi un tale tasso di crescita nominale). Cfr. allegato tecnico.
49 Negli Stati Uniti, la Corte suprema ha a lungo bloccato, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, l’imposta sul reddito, e, per tutti gli anni trenta, la concessione del salario minimo. Per non parlare del fatto che, per quasi due secoli, ha giudicato prima la schiavitù e poi la discriminazione razziale perfettamente compatibili con i fondamentali diritti dell’uomo. Stando alle ultime notizie, il giudice costituzionale francese avrebbe sviluppato una teoria eccezionalmente precisa circa il livello di tasso superiore d’imposta compatibile con la Costituzione. Alla conclusione di ragionamenti giuridici di alto profilo e noti a lui solo, il giudice sarebbe in dubbio tra un tasso del 65% e uno del 67%, e si starebbe chiedendo se sia opportuno o meno prendere in considerazione la carbon tax.
50 Si tratta di un problema analogo a quello, già notato, che riguarda il rendimento dei sistemi pensionistici basati sulla ripartizione. Finché la crescita è forte e le basi fiscali crescono con la stessa forza (o quasi) degli interessi sul debito, è relativamente facile ridurre il peso dell’indebitamento pubblico in percentuale di reddito nazionale. Se invece la crescita è debole, le cose vanno in modo diverso: il debito diventa un pesante fardello di cui è difficile disfarsi. Se stabiliamo una media sull’intero periodo 1970-2010, constatiamo che in tutti i paesi ricchi il carico degli interessi è molto più forte del deficit primario medio, quasi nullo in parecchi paesi, soprattutto in Italia, dove il carico medio degli interessi sul debito raggiunge in media, nel periodo indicato, il livello astronomico di 7 punti di PIL. Cfr. allegato tecnico, tabella S16.1.
51 Se si cerca di lasciare ai tribunali o costituzionalizzare questioni del genere, non è escluso che soluzioni come l’imposta progressiva sul capitale vengano giudicate impossibili da applicare.
52 Su come Stern e Nordhaus calcolano i rispettivi tassi di attualizzazione preferiti, cfr. allegato tecnico. È interessante notare come l’uno e l’altro utilizzino la stessa “regola aurea modificata” da noi descritta sopra, e come, nonostante ciò, finiscano su posizioni antitetiche circa la scelta del parametro di concavità della funzione di utilità sociale (Nordhaus, per giustificare lo scarso peso assegnato alle generazioni future, sceglie un parametro più rawlsiano di Stern). Un esito logico, secondo noi più soddisfacente, è il seguente: va tenuto conto del fatto (come fanno Roger Guesnerie e Thomas Sterner) che, sul lungo periodo, la fungibilità tra capitale naturale e le altre forme di ricchezza è tutt’altro che infinita. In altri termini, se il capitale naturale viene distrutto, non basterà ridurre il nostro consumo di iPhone per riparare i danni.
53 Come abbiamo già notato, questa situazione dei tassi d’interesse sul debito pubblico è in gran parte illusoria e transitoria: i tassi d’interesse attualmente sono molto alti per alcuni paesi, ed è poco probabile che i paesi che oggi prestano a meno dell’1% continuino a trarne vantaggio per decenni (l’analisi del periodo 1970-2010 suggerisce che il tasso d’interesse reale a lungo termine del debito pubblico per i paesi più ricchi è dell’ordine del 3%; cfr. allegato tecnico). In ogni caso, si tratta di un argomento economico tra i più convincenti a favore dell’investimento pubblico (almeno finché dureranno i tassi attuali).
54 Negli ultimi decenni l’investimento pubblico annuo (al netto della svalutazione degli attivi pubblici) si è mantenuto, nella maggioranza dei paesi ricchi, sull’1-1,5% del PIL. Cfr. allegato tecnico, tabella S16.1.
55 Compresa, ovviamente, la carbon tax, che fa pagare più cari i differenti consumi energetici in base alla loro emissione di CO2 (e non in base a calcoli previsionali del tutto aleatori sui bilanci, come nel caso delle accise sulla benzina). Però, tutto fa pensare che si tratti solo di un segnale, con effetti sulla riduzione delle emissioni molto inferiori a quelli che si potrebbero registrare con nuovi investimenti pubblici e nuove norme di costruzione (isolamento termico ecc.).
56 L’idea secondo cui sono sufficienti il mercato e la proprietà privata a coordinare e a impiegare efficacemente (a certe condizioni) le informazioni e le competenze di milioni di individui è un’idea classica, che possiamo trovare in Smith come in Hayek, in Arrow come in Debreu. L’idea secondo cui i meccanismi di voto rappresentano un altro modo efficace di aggregazione delle informazioni (e più in generale delle idee, delle opinioni ecc.) possedute da ciascuno è anch’essa molto antica: risale a Condorcet. Per ricerche recenti sull’approccio costruttivista delle istituzioni politiche e dei sistemi elettorali, cfr. allegato tecnico.
57 Per esempio, è importante poter studiare quale posizione occupano i responsabili politici dei vari paesi nella gerarchia dei redditi e dei patrimoni del proprio tempo (cfr. capp. precedenti). Va sottolineato che sono comunque sufficienti tavole statistiche dettagliate: le informazioni strettamente individuali non sono in genere necessarie.
58 È interessante notare come una delle prime iniziative delle assemblee rivoluzionarie del biennio 1789-90 sia stata la stesura di un Grand livre des pensions (Grande libro dei contributi), contenente la lista nominativa completa delle rendite versate dalla monarchia (rendite che mescolano rimborsi di debiti, pensioni a vecchi funzionari del regno e a semplici favoriti). La lista nominativa, di 1600 pagine, comprendente 23.000 nomi, con tutti i particolari sugli importi (le rendite multiple sono state raggruppate in una sola dicitura individuale), il ministero competente, l’età, l’anno di liquidazione, i motivi della concessione ecc., è stata pubblicata nel mese di aprile del 1790. Sull’interessante documento, cfr. allegato tecnico.
59 Il fenomeno è soprattutto legato al fatto che i salari vengono in genere raggruppati in una stessa dicitura insieme ai consumi intermedi (ossia gli acquisti compiuti da altre imprese, abituate anch’esse a remunerare insieme lavoro e capitale). La conseguenza è che i bilanci pubblicati non permettono né di calcolare la divisione profitti-salari né di verificare gli eventuali abusi in merito ai consumi intermedi (che possono essere una forma per garantire un complemento importante dei compensi degli alti dirigenti o degli azionisti). Per l’esempio dei bilanci di Lonmin e della miniera di Marikana, cfr. allegato tecnico.
60 Il punto di vista esigente sulla democrazia, espresso da un filosofo della statura di Jacques Rancière, è qui un punto di riferimento indispensabile. Cfr. in particolare J. Rancière, La haine de la démocratie, Paris, La Fabrique, 2005.