Che cos’è il capitale?
Ricapitoliamo. A livello di bilancio – di un’impresa, di un paese considerato nel suo insieme o dell’intero pianeta –, il prodotto e i redditi che ne derivano possono scomporsi come la somma di redditi da capitale e redditi da lavoro:
Reddito nazionale = redditi da capitale + redditi da lavoro
Ma che cos’è il capitale? Quali sono esattamente i suoi limiti e le sue forme, e com’è andata trasformandosi nel corso del tempo la sua composizione? La domanda, cruciale per la nostra ricerca, verrà considerata in dettaglio nei prossimi capitoli. Ma è utile precisare fin d’ora i seguenti punti.
Tanto per cominciare, nel corso di tutto il libro, quando parliamo di “capitale”, senza altra precisazione, escludiamo sempre quello che gli economisti chiamano spesso – secondo noi abbastanza impropriamente – “capitale umano”, ossia la forza lavoro, le competenze, la formazione, le capacità individuali. Nel quadro di questo libro, il capitale è, per definizione, l’insieme degli attivi non umani che possono essere posseduti o scambiati sul mercato. Il capitale comprende in particolare l’insieme del capitale immobiliare (immobili, abitazioni) impiegato per l’alloggio privato e del capitale finanziario e professionale (edifici, infrastrutture, macchinari, brevetti ecc.) impiegato dalle imprese e dalle amministrazioni.
Esistono molte ragioni per escludere il capitale umano dalla nostra definizione di capitale. La più evidente è che il capitale umano non può essere posseduto da un’altra persona, né scambiato sul mercato, o comunque non su base permanente. Il che costituisce una differenza essenziale rispetto alle altre forme di capitale. Nel quadro di un contratto di lavoro, si possono certo affittare i servizi assicurati dal proprio lavoro. Ma, in tutti i sistemi legali moderni, la cosa può avvenire solo su base temporanea e limitata nel tempo e nell’uso. Salvo che, evidentemente, nelle società schiaviste, in cui è consentito possedere in maniera piena e completa il capitale umano di un’altra persona, e anche dei suoi eventuali discendenti. In società del genere, è possibile vendere schiavi su un mercato e trasmetterli per successione, ed è ordinaria amministrazione sommare il valore degli schiavi agli altri elementi che compongono il patrimonio. Lo vedremo quando studieremo la composizione del capitale privato nel Sud degli Stati Uniti prima del 1865. Ma, al di fuori di questi casi particolari e risolti in se stessi, non ha molto senso tentare di sommare il valore del capitale non umano con quello del capitale umano. Le due forme di ricchezza hanno svolto, nel corso della storia, ruoli fondamentali e complementari nel processo di crescita e di sviluppo economico, e continueranno a svolgerlo anche nel XXI secolo. Ma, per capire bene il processo e la struttura delle disuguaglianze che esso produce, conviene distinguerle e trattarle separatamente.
Il capitale non umano, che nel contesto del volume chiameremo “capitale” tout court, raggruppa dunque tutte le forme di ricchezza che possono essere possedute in sé e per sé dagli individui (o da gruppi di individui) e trasmessi o scambiati sul mercato su base permanente. In pratica, il capitale può essere posseduto sia da privati (nel qual caso parliamo di capitale privato) sia dallo Stato o dalle pubbliche amministrazioni (nel qual caso parliamo di capitale pubblico). Esistono anche forme intermedie di proprietà collettiva a beneficio di enti morali che perseguono obiettivi specifici (fondazioni, chiese ecc.), forme sulle quali torneremo. Va da sé che il confine tra ciò che può essere posseduto da soggetti privati e ciò che non può esserlo evolve notevolmente nel tempo e nello spazio, com’è appunto dimostrato dal fenomeno estremo della schiavitù. La stessa cosa vale per l’aria, il mare, le montagne, i monumenti storici, le conoscenze. Determinati gruppi d’interesse privato vorrebbero poterli possedere, magari non solo a proprio vantaggio, avanzando a volte propositi di maggiore efficienza. Ma non è affatto sicuro che il loro interesse coincida con l’interesse generale. Il capitale non è un concetto immutabile: rispecchia lo stato di sviluppo e i rapporti sociali che reggono una determinata società.