Nel dicembre 1937, poco dopo Analisi terminabile e interminabile, Freud pubblicò questa nota (a quella strettamente collegata e scritta anch’essa nei primi mesi dell’anno) nella “Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse”, vol. 23(4), pp. 459-69 (1937), con il titolo Konstruktionen in der Analyse. Lo scritto è stato riprodotto in Gesammelte Werke, vol. 16 (1950), pp. 43-56.
Freud fa riferimento alla obiezione mossagli da un amico, il quale osservava che gli analisti, quando il paziente consente con una loro interpretazione, rimangono senz’altro soddisfatti; ma esprimono soddisfazione anche quando il paziente rifiuta il consenso, spiegando in tal caso che quel rifiuto è indice di una resistenza, e costituisce quindi una indiretta conferma della loro interpretazione. In tal modo non vi è maniera di provare mai nulla.
Freud risponde che il sì e il no dei pazienti non hanno di per sé alcun significato, e che la prova della validità o meno di ciò che egli non vuol più chiamare interpretazione – “brutta parola”, come aveva osservato in Il problema dell’analisi condotta da non medici (1926), in OSF, vol. 10, par. 5 – ma costruzione, si ottiene per vie tutt’affatto diverse.
La costruzione psicoanalitica si distingue dall’interpretazione perché mentre quest’ultima si limita a rendere palese il significato di un singolo elemento del materiale clinico, mediante la “costruzione” l’analista elabora una serie complessa di congetture riguardanti un brano della vita passata del paziente. Si tratta naturalmente di congetture polivalenti e talora contraddittorie, in attesa di verifiche o di smentite.
L’opera dell’analista è paragonata in questo scritto a quella dell’archeologo, il quale si avvale nel suo lavoro di ricostruzione e ricomposizione del passato di scarsi resti delle civiltà sepolte (nel caso dell’analista i resti consistono in associazioni, sogni, atti mancati, sintomi, comportamenti del paziente verso lo stesso analista influenzati dalla traslazione, e tutto ciò che in un modo o nell’altro si riesce a sapere dell’infanzia del soggetto).
Il controllo della validità del lavoro dell’analista si ottiene prendendo in esame il modo con cui il paziente reagisce in generale alle costruzioni che gli vengono prospettate; ma ciò che conta non sono le sue reazioni dirette (il no o il sì), bensì le sue reazioni indirette, come ad esempio il nuovo materiale che porta in analisi in seguito a una certa costruzione o il modo in cui modifica il proprio comportamento (il suo agire) nei confronti dello stesso analista.
D’altra parte, ciò che l’analista vuole “costruire” non è la “verità materiale” degli avvenimenti passati che riguardano il paziente, ma piuttosto la “verità storica” di essi: come il paziente li ha soggettivamente vissuti nel passato, perché li ha rimossi e dimenticati. Esempi di “costruzioni” nell’analisi sono rintracciabili in alcuni importanti casi clinici di Freud. Si veda, ad esempio, Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva. (Caso clinico dell’uomo dei topi.) (1909), in OSF, vol. 6, par. 1, sottoparr. d e g, Appendice. Appunti di lavoro del 1907-1908, 12 ottobre, Dalla storia di una nevrosi infantile. (Caso clinico dell’uomo dei lupi.) (1914), in OSF, vol. 7, par. 5 e lo scritto sulla Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile (1920), in OSF, vol. 9, par. 1.
La traduzione italiana è di Renata Colorni.