3. ALTRE VALUTAZIONI DELLA VITA PSICHICA COLLETTIVA

Abbiamo utilizzato come introduzione l’esposizione di Le Bon perché, in virtù dell’importanza attribuita alla vita psichica inconscia, essa concorda in misura davvero assai rilevante con la nostra psicologia. Adesso dobbiamo però aggiungere che, propriamente parlando, nessuna delle affermazioni di questo autore apporta qualcosa di nuovo. Tutto ciò che egli dice a danno e a discredito delle manifestazioni dell’anima delle masse è già stato detto prima di lui da altri, con altrettanta precisione e altrettanta ostilità, e fin dai primordi della letteratura viene ripetuto nei medesimi termini da pensatori, statisti e poeti.279 I due enunciati che contengono le più importanti tesi di Le Bon, quello relativo all’inibizione collettiva delle capacità intellettuali e quello relativo all’accrescersi dell’affettività nella massa erano stati formulati non molto tempo prima da Sighele.280 In sostanza appartengono propriamente a Le Bon solo le due tesi – esse pure, come è ovvio, più volte adombrate prima di lui – concernenti rispettivamente l’inconscio e il parallelismo con la vita psichica dei primitivi.

Ma c’è di più: la descrizione e la valutazione dell’anima delle masse, nei termini in cui Le Bon e altri le hanno formulate, non sono rimaste affatto incontrastate. È fuori discussione che tutti i fenomeni dell’anima delle masse sopra descritti sono stati osservati in maniera corretta; è però possibile individuare anche altre manifestazioni della formazione collettiva, operanti in maniera esattamente opposta e da cui siamo poi costretti a derivare una valutazione assai più favorevole dell’anima delle masse.

Anche Le Bon era disposto ad ammettere che in talune circostanze la moralità della massa potesse essere superiore a quella dei singoli individui che la compongono e che le collettività soltanto sono capaci di grande disinteresse e dedizione:281 “L’interesse personale è di rado una molla potente presso le masse, mentre costituisce la molla quasi esclusiva dell’individuo isolato.” Altri autori sostengono che comunque solo la società prescrive al singolo le norme della moralità, laddove di regola il singolo si mantiene in un modo o nell’altro al di sotto di queste esigenze superiori; altri ancora dicono che in circostanze eccezionali ha luogo in una collettività quel fenomeno dell’entusiasmo che ha reso possibili le più grandiose imprese collettive.

Riguardo all’alacrità intellettuale, è un fatto che le grandi decisioni del lavoro della mente, le scoperte e le soluzioni di problemi gravide di conseguenze sono consentite unicamente al singolo che lavora in solitudine. Eppure anche l’anima delle masse è capace di creazioni spirituali geniali, ciò che è dimostrato anzitutto dalla lingua, e in secondo luogo dal canto popolare, dal folklore eccetera. Resta poi da assodare fino a che punto il singolo pensatore o poeta sia debitore ai suggerimenti della massa in cui vive, e se cioè egli non si sia magari limitato a portare a compimento un lavoro mentale cui anche gli altri hanno dato un contributo.

Tenuto conto di queste tesi del tutto contraddittorie, il lavoro della psicologia delle masse appare destinato a rimanere sterile. È però facile trovare una via d’uscita più promettente. Sono state probabilmente classificate “masse” formazioni assai diverse che occorre sceverare le une dalle altre. Le affermazioni di Sighele, Le Bon e altri fanno riferimento a un tipo di masse di breve durata [folle], composte d’individui eterogenei e formatesi affrettatamente a causa d’un interesse transitorio. Non si può non riconoscere che le caratteristiche delle masse rivoluzionarie, in particolare di quelle della grande Rivoluzione francese, hanno influito sulle loro descrizioni. Le affermazioni contrarie scaturiscono dalla considerazione di quelle masse o associazioni stabili entro cui gli uomini trascorrono la loro vita e che si incarnano nelle istituzioni della società. Le masse del primo tipo stanno a quelle del secondo tipo come i marosi brevi, ma altissimi, stanno alle lunghe ondate del mare grosso.

McDougall, che nel suo libro La psiche collettiva,282 prende come punto di partenza la contraddizione sopra menzionata, ne trova la soluzione nel fattore dell’organizzazione. Nel caso più semplice, sostiene, la massa (group) non possiede alcuna organizzazione o ne possiede una che difficilmente può meritare questo nome. A una simile massa egli dà il nome di folla (crowd).283 Egli ammette però che una folla di uomini stenta a formarsi se in essa non si costituiscono almeno i primi rudimenti di un’organizzazione, e che proprio in tali masse semplici possono essere individuati con particolare facilità taluni fatti fondamentali della psicologia collettiva.284 Perché i membri casualmente assembratisi di una folla umana costituiscano qualcosa come una massa in senso psicologico, si richiede come condizione che tali singoli abbiano qualcosa in comune, un interesse comune per un oggetto, un analogo orientamento sentimentale in una data situazione e (aggiungerei: per conseguenza), entro una certa misura, la capacità d’influenzarsi reciprocamente (“Some degree of reciprocal influence between the members of the group285). Quanto più marcati sono tali tratti comuni (“this mental homogeneity”), tanto più facilmente una massa psicologica si forma a partire dai singoli e tanto maggior spicco assumono le manifestazioni di una “psiche collettiva”.

Il fenomeno più sorprendente e a un tempo più importante della formazione d’una massa è l’esaltazione, prodotta in ogni singolo, dell’affettività (“exaltation or intensification of emotion”).286 Possiamo dire, ritiene McDougall, che in altre condizioni raramente gli affetti umani acquistano proporzioni quali quelle che si producono in una massa, e che per i membri di questa è una gradita sensazione quella di cedere in maniera così smodata alle loro passioni e, incorporati nella massa, perdere il senso della loro limitatezza individuale. Questa sensazione degli individui di essere travolti tutti quanti insieme è secondo McDougall dovuta a ciò che egli chiama il “principle of direct induction of emotion by way of the primitive sympathetic response”,287 ossia al contagio emotivo che già conosciamo. Si tratta del fatto che i segni percepiti di uno stato affettivo si prestano a destare automaticamente in chi li percepisce il medesimo affetto. Tale costrizione automatica diviene tanto più forte quanto maggiore è il numero delle persone in cui il medesimo affetto risulta simultaneamente osservabile. Tace allora la critica del singolo, il quale si lascia scivolare nel medesimo affetto accrescendo però simultaneamente l’eccitazione degli altri che avevano influito su di lui; è così che il carico affettivo del singolo viene incrementato da un’induzione reciproca. Innegabilmente è operante qualcosa come una costrizione a fare ciò che fanno gli altri, a rimanere all’unisono con i molti. Gli impulsi emotivi più rozzi e più semplici sono quelli che hanno le maggiori probabilità di diffondersi in tal modo in una massa.288

Questo meccanismo dell’esaltazione dell’affetto viene del pari favorito da alcune altre influenze provenienti dalla massa. La massa fa al singolo l’impressione di una potenza illimitata e di un pericolo invincibile. Si è momentaneamente sostituita alla società umana nel suo insieme: essa è il fondamento dell’autorità e le sue punizioni vengono temute e per amor suo tante inibizioni sono state accettate. È palesemente rischioso opporsi ad essa, e ci si tranquillizza adeguandosi all’esempio che si mostra tutt’intorno e magari addirittura “ululando con i lupi”. Per obbedire alla nuova autorità è lecito mettere a tacere la propria precedente “coscienza morale” e cedere all’allettamento dell’acquisto di piacere che senza dubbio si otterrà a patto di liberarsi delle proprie inibizioni. Non deve quindi sorprendere che nella massa l’individuo compia o approvi cose da cui si terrebbe lontano nelle condizioni di vita normali, e, tenendo conto di questa circostanza, possiamo addirittura sperare di dissipare parte dell’oscurità che suole venir celata da quell’enigma che è la parola “suggestione”.

Neanche McDougall contesta la tesi dell’inibizione collettiva dell’intelligenza nella massa.289 Sostiene che le intelligenze più piccole attirano al loro livello quelle più grandi. Queste ultime vengono ostacolate nella loro attività perché l’esaltazione dell’affettività crea comunque condizioni sfavorevoli al lavoro intellettuale valido, perché i singoli sono intimiditi dalla massa e il loro ragionare non procede libero, e infine perché in ogni singolo individuo viene sminuito il senso di responsabilità per le proprie azioni.

Il giudizio d’insieme formulato da McDougall sul comportamento psichico di una massa “disorganizzata” non è più favorevole di quello di Le Bon. Una massa siffatta è “oltremodo eccitabile, impulsiva, violenta, volubile, incoerente, irresoluta e al tempo stesso estrema nelle proprie azioni, accessibile soltanto alle passioni più rozze e ai sentimenti più grossolani; straordinariamente suggestionabile, superficiale nel deliberare, avventata nei giudizi, capace di assimilare solo le forme di ragionamento più semplici e più rudimentali; facile da raggirare e da governare, priva di autocoscienza, di rispetto di sé e di senso della responsabilità, ma pronta a lasciarsi trascinare dalla consapevolezza della propria forza a tutti i misfatti che siamo soliti attenderci da ogni potenza assoluta e irresponsabile. Il suo comportamento è quindi simile a quello di un bambino indisciplinato o di un selvaggio passionale e senza istruzione in una situazione per lui inconsueta [...]; e, nei casi peggiori, più che a un essere umano la sua condotta assomiglia a quella di un animale selvaggio”.290

Dato che McDougall contrappone a quello qui descritto il comportamento delle masse altamente organizzate, siamo ansiosissimi di apprendere in che cosa tale organizzazione consista e di quali fattori costituisca il prodotto. L’autore enumera cinque di queste “principal conditions” indispensabili all’innalzamento del livello della vita psichica della massa.

La condizione prima e fondamentale è una certa continuità di esistenza della massa. La continuità può essere materiale o formale; il primo caso si ha quando le medesime persone rimangono nella massa per un tempo piuttosto lungo, il secondo quando nella massa si creano talune posizioni che vengono assegnate a persone che si succedono l’una all’altra.

La seconda condizione è che il singolo membro si sia formata un’idea ben precisa circa la natura, la funzione, le attività e le pretese della massa, da cui possa scaturire un suo rapporto emotivo nei riguardi della massa nel suo insieme.

La terza, che la massa venga a interagire con altre formazioni collettive analoghe ma per molti aspetti diverse: eventualmente rivaleggi con queste.

La quarta, che la massa possieda tradizioni, usi e istituzioni, attinenti soprattutto al rapporto reciproco tra i suoi membri.

La quinta, che la massa sia articolata, in modo che le prestazioni spettanti ai singoli membri risultino specializzate e differenziate.

L’adempimento di queste condizioni elimina secondo McDougall gli inconvenienti psichici della formazione collettiva. Contro il collettivo ridursi delle capacità intellettuali ci si difende sottraendo alla massa l’assolvimento dei compiti intellettuali e affidandoli invece ad alcuni singoli individui.

Ci sembra che la condizione designata da McDougall come “organizzazione” della massa possa esser descritta più legittimamente in altri termini. Occorre cioè dotare la massa precisamente di quelle prerogative che erano tipiche dell’individuo e che in costui furono cancellate a cagione del costituirsi della massa. Fuori dalla massa primitiva l’individuo aveva infatti la propria continuità, la propria autoconsapevolezza, le proprie tradizioni e abitudini, le proprie particolari attività lavorative e la propria collocazione sociale; inoltre si teneva a distanza da coloro che gli erano rivali. Tale modo d’essere andò temporaneamente perduto a causa del suo ingresso nella massa non “organizzata”. Accettando che la meta sia dunque quella di dotare la massa degli attributi dell’individuo, ci viene in mente una profonda osservazione di Trotter,291 il quale scorge nella tendenza alla formazione collettiva una continuazione biologica della pluricellularità di tutti gli organismi superiori.292

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